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Mercoledí 24 aprile 1985



 

Esposte in Campidoglio le statue frontonali
del tempio di Apollo Sosiano


In mostra un'arte
di venti secoli


Alessandro Dell'Aira


Un fronte di amazzoni angloamericane, stravaccate
in ordine sparso sugli scalini mozzafiato dell'Aracoeli,
offre al sole pastello (è quasi il Natale di Roma) una veduta
un po' di maniera. Viene il sospetto che il Marc'Aurelio a cavallo,
assente per restauri, sia appena zompato giú, vinto dalla voglia o dall'imbarazzo.
Sono le sei del pomeriggio: piazza del Campidoglio è percorsa da un'aria che è qualcosa di piú di una brezza. Nella Sala degli Orazi e Curiazi, salotto del Palazzo dei Conservatori, in piedi sulla pedana di diciassette metri che affetta in diagonale il salone affrescato, Renato Nicolini, assessore alla cultura e alle antichità del Comune di Roma, abbronzato come un centurione e con la chioma saponosa da Gallo circonfusa di luce fredda e radente, inaugura una mostra che ha fatto e farà molto parlare: "Amazzonomachia", ovvero le sculture frontonali del tempio di Apollo Sosiano.Un pubblico illustre gli si affolla ai piedi sotto la passerella, che è anche la base di un frontone ideale. Le forme esposte, impassibili e diafane, galleggiano quasi nel vuoto, ma il trucco c'è: gli steli d'acciaio che sbocciano dai plinti di basaltina martellata color cenere. Da entrambi i lati, simulando il timpano e iscrivendo tutto in un triangolo isoscele, spiovono alcune funi metalliche ritorte, tese come corde di lira.
Il prologo di Nicolini-soubrette si chiude con una battuta: se non si trova un posto degno di questi marmi, rintracciati qua e là e ricomposti come un puzzle in parecchi anni di lavoro, a mostra chiusa farà di tutto per portare in cantina gli Orazi e i Curiazi. Il pubblico rispettabile ride e applaude: una raffica di lampi, l'assessore scende dall'Olimpo. La mostra è ufficialmente aperta.
La storia di questo frontone è incredibile (per meglio dire: esemplare). Ne ha cantato l'odissea Eugenio La Rocca, direttore dei Musei Capitolini e cervello di tutta l'operazione. È probabile che il gruppo, di undici personaggi almeno, dieci dei quali documentati, sia opera di un allievo di Fidia e risalga alla seconda metà del quinto secolo avanti Cristo, e che fosse destinato in origine al tempio di Apollo Daphnephoros di Eretria, nell'isola di Eubea. Daphnephoros vuol dire "coronato d'alloro": l'Apollo Daphnephoros dei Greci corrisponde all'Apollo Medico dei Romani. La fronda bronzea che gli orna la fronte è un trofeo maschio, tuttora verde del sacrificio di una ninfa che osò resistere al fascino di una profferta che non doveva rifiutare. Oltre che dare gloria, però, l'alloro fornisce medicamenti e decotti; e la violenza si stempera nell' impiego balsamico e gastronomico, genuino, popolare.
Quando queste figure presero forma in terra greca, Apollo Medico era già venerato a Roma nei Prata Flaminia, che corrispondono all'odierna Via dei Fori Imperiali nel tratto compreso tra il Teatro di Marcello e il Portico di Ottavia. Apollo Medico guariva le pestilenze, come ricorda Tito Livio. Il culto iniziò su consiglio di una megera, che a suo tempo aveva venduto i testi sacri del futuro a Tarquinio il Superbo. Dicevano che la vecchia s'era fatta pagare i volumi a peso d'oro, e che forse era la Sibilla Cumana in persona. Cuma, presso Napoli, era una colonia greca fondata da gente che proveniva dall'isola di Eubea: come queste statue, che secondo La Rocca furono recuperate ad Eretria in una fossa votiva e trasferite a Roma da Caio Sosio, vincitore dei Giudei nel 37 avanti Cristo, console nel 32, partigiano di Antonio e avversario di Ottaviano, il futuro Augusto, con cui si riconciliò dopo la vittoria di Azio. Sotto Augusto, con le decime di guerra, gli toccò di restaurare il tempio, che da quel giorno fu ricordato col suo nome, associato a quello di Apollo: il tempio di Apollo Sosiano.



  Roma.
Il tempio di Apollo Sosiano
ai Fori Imperiali.



Con distacco, nel catalogo, La Rocca modera gli entusiasmi e si limita a scrivere (p. 24): "Le sculture, databili entro il terzo venticinquennio del V secolo a.C., sono state prelevate da un tempio greco di una città filo-ateniese e trasferite sul timpano del tempio romano della fase augustea". E con la scioltezza di un cronista sportivo, continua: "Il gruppo, in marmo pario, raffigura un combattimento tra Greci ed Amazzoni alla presenza di Athena che campeggia al centro del fronte in qualità di protettrice dei Greci. Alla destra di Athena è Eracle che combatte contro un'Amazzone in peplo attico, nella quale si dovrà forse riconoscere Hippolyte, la regina delle Amazzoni. Alla sinistra di Athena una Nike librata in aria ha incoronato Teseo, che avanza verso un'Amazzone a cavallo. Alle spalle di Eracle, un'altra Amazzone a cavallo sta per colpire un Greco caduto in ginocchio il quale scarta di fianco in posizione di difesa. All'angolo di sinistra, giace per terra un Greco morente". Mancano all'appello almeno due figure, ma si ha la certezza che il gruppo rappresenti l'impresa di Themiskyra, protagonisti il dio Eracle e l'eroe Teseo, con maggior gloria di quest'ultimo se a lui va l'omaggio che spetta ai vittoriosi.
Il programma culturale di Augusto è trasparente, la sua identificazione con Teseo altrettanto ovvia. Augusto, come Teseo, è un salvatore della Patria. Era grato ad Apollo del sostegno ricevuto ad Azio, la sua personale Amazzonomachia. Antonio invece era devotissimo a Venere: secondo Plinio aveva abbellito i lobi di un simulacro della dea con le due metà di una perla vinta a Cleopatra, che per la rabbia ne aveva inghiottita un'altra dissolta nell'aceto.
Tre anni dopo Augusto dispose di trasferire i libri sibillini dal tempio di Giove Capitolino al nuovo tempio di Apollo, all'interno delle mura fortificate, nella Roma Quadrata, presso la casa di Romolo e la dimora propria: la reggia del nuovo fondatore di Roma, pacificatore dell'universo. Il tempio di Apollo Sosiano, fuori del pomerio, a ridosso del Teatro di Marcello, fu lasciato ai destini di sempre: riunioni straordinarie del Senato, celebrazione di trionfi, sacra assistenza all'attività circense e terapeutica.
Le avventure del gruppo marmoreo, finalmente riunito come un vecchio ceppo paesano dopo una diaspora, non si concludono con Augusto. Il tempio di Apollo Sosiano deperisce con la gloria di Roma imperiale, finché non crolla addosso al Teatro di Marcello, sotto il peso dell'Impero marcito.
Il caso, dopo quasi due millenni, ha voluto che il maquillage fascista (1926-1940), rivisitando Roma antica con l'efficienza e la fretta dei palazzinari, nel dissotterrare e scarnificare un'ala di quel teatro in funzione della nuova arteria di scorrimento (Via dei Fori Imperiali), si imbattesse in un basamento e in alcune macerie, in parte proiettate all'interno dei fornici, forse a causa di un terremoto. Poco prima della dichiarazione di guerra e in occasione del Natale di Roma, tre colonne dell'elevato furono rimontate in angolo, rivoltate come un calzino, a sud-est anziché a sud-ovest, sul lato che dava meno impiccio: molto simili al modellino di sughero del tempio agrigentino di Castore e Polluce, allora di casa nei salotti pirandelliani dei ministeriali inurbati, sempre in moto come la torre degli scacchi sulla mensola liberty del salotto, tra una spolverata e l'altra, dalla fruttiera alla foto in cornice e ritorno.
Si rinvennero alcune statue in frantumi: la meglio conciata, una figura maschile priva dell'arto destro e bloccata in una posa dinamica, col braccio e la gamba sinistra in avanti e il busto sbilanciato, fu battezzata "Apollo arciere" (invece era Teseo) e ospitata nel Braccio Nuovo del Palazzo dei Conservatori, a poca distanza dalla Sala degli Orazi e Curiazi. Athena riparò in un palazzo di piazza Campitelli che attualmente è la sede della decima ripartizione del Comune di Roma. Due quarti di cavallo spettarono all'Albergo della Catena, le frattaglie ai depositi dei Musei Capitolini e a varie cantine. Un pezzo piú incrostato degli altri (la testa della Nike) finí incastrato sotto una cassa ricolma di frammenti minuti, con altre pietre. Qualche settimana prima dell'apertura della mostra, setacciando il terriccio dei fornici del Teatro di Marcello, si è trovato un brandello del peplo di Athena e lo si è incorporato al pilastrino che le fa da base in questa occasione.



  Frontone del tempio di Apollo Sosiano. Athena.



L'impressione che resta al visitatore è di un palinsesto greco-romano, in cui la simulazione delle strutture architettoniche è linguaggio culturale, frutto di un lavoro comune ed esente da personalismi (l'idea della provenienza euboica delle statue è di Luigi Beschi; il catalogo di Eugenio La Rocca; le foto di Barbara Malter). L'allestimento ha il sapore e il mestiere della teatralità più che della fredda exhibition: si tratta di una mostra in situazione, nata per tentativi ed errori, suscettibile di nuove ipotesi ricostruttive.
Usciamo. Il vento non disordina più le fontane ai piedi della cordonata capitolina. Un fiume a motore lambisce le lastre bagnate dagli spruzzi e si incanala, furente, verso Via dei Fori Imperiali. Le giovani amazzoni dell'Aracoeli, paghe del tramonto romano - "a 'sto prezzo...", commenta un venditore di cartoline, Minitéseo e non Minotauro - si allontanano onuste di frutta nostrana, piú un ananas e un cocco. Alloro non se ne trova: s'è tutto bruciato con il freddo di gennaio.


 
Roma. Sculture frontonali
del tempio di Apollo Sosiano.
Nike.






























 
 
   
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