Libri. Altri due volumi del
noto docente
Pirati e mercanti raccontati
da Carlo Maria Cipolla
Alessandro Dell'Aira
I quattordici libri di Carlo Maria Cipolla usciti
in questi ultimi anni per il Mulino, sei dei
quali in "Intersezioni", sono una
piccola flotta di brigantini d'epoca, allegri ma
non troppo, che anziché andare in disarmo
solcano ancora i mari editoriali. I titoli, da
soli, grondano materia e senso della storia.
L'autore, docente di storia economica dal 1949,
professore emerito a Berkeley e alla Normale di
Pisa, inossidabile e noto teorico della
stupidità umana, pioniere delle strade battute
da Carlo Ginzburg e Luther Blisset il fantomatico,
si destreggia tra i documenti come un pirata
maltese con le mani a bagno in un forziere di
talleri. Alcuni saggi risalgono a qualche anno
dopo che Braudel aveva dato vita a "Les
Annales", sono stati aggiornati e sembrano
chiusi ieri.
La prima cosa che si impara da Cipolla è che gli
archivi si possono leggere con arguzia e non solo
con acutezza. La seconda è che anche uno storico
economico può esprimersi con semplicità. La
terza è che nella ricognizione del passato c'è
sempre posto per i rinvii al presente e al futuro.
Una citazione: "Più potere si concentra
nelle mani di una burocrazia, più si creano i
presupposti per un suo degrado ed un processo di
sua corruzione". Di che si parla? Non di
tangenti e di mani pulite, ma di commercio con il
potere in un contesto in cui entrambe le parti,
il funzionario e l'interlocutore, hanno interesse
a non lasciare tracce. Problema: è sempre ottusa
e corrotta la burocrazia, sempre impegnata a
trafficare con vittime e complici? Dipende,
osserva l'autore, e narra che a Livorno, intorno
alla metà dei Seicento, i funzionari del
granduca di Toscana temevano la peste e
opponevano cavilli ragionevoli alla fretta dei
capitani inglesi che avevano merci da sbarcare, e
nello stesso tempo li torturavano con l'applicazione
fin troppo rigida della quarantena: la moglie del
console di Sua Maestà Britannica trasferita in
lazzaretto non appena sbarcata, il marito che
appena può va a trovarla, cena con lei e finisce
dentro anche lui per aver portato alla bocca il
cucchiaio d'argento della portata comune (o che
fosse smanioso della signora, e conoscendo i suoi
polli avesse cercato una scusa per restare?). Un
altro episodio di richiamo è il caricamento del
cannone dei turchi sui Dardanelli, capace di
lanciare contro i russi una palla di pietra
pesante più di mille libbre a trecento braccia
di distanza, un'impresa degna del barone di
Münchhausen (che in questo caso si chiama de
Tott, è tedesco come l'altro e della stessa
epoca ma non racconta balle, fa analisi
attendibili e fondate). Oltre agli aneddoti,
alcune immagini s'imprimono nella memoria per
velocità e vivacità, per consistenza e forza di
persuasione, come quella scelta per rendere il
rapporto stretto fra espansione marittima e
rivoluzione industriale anche se i primi
imprenditori non erano mercanti della Compagnia
delle Indie: negare ciò, osserva Cipolla, "è
tanto sensato quanto il negare ogni rapporto tra
la Rivoluzione Scientifica e quella Industriale
sulla base del fatto che né Galileo né Newton
crearono una manifattura tessile a Manchester".
Nemici visibili, amici invisibili, mercanti,
appestati, conquistatori, pirati, si affollano
intorno al lettore e lo conducono nel
retrobottega della storia moderna, per rivelargli,
ad esempio, che quel re Manuel di Portogallo,
gran promotore d'arte e cultura, per Francesco I
di Francia era un "re droghiere", e che
lo stesso si poteva dire degli Stati Generali d'Olanda,
dei re d'Inghilterra e degli Asburgo di Spagna. O
che la storia non è fatta anche dai droghieri?
Se l'espansione europea fu in primo luogo un'avventura
coloniale, non c'è da stupirsi per gli sviluppi
mercantilistici delle politiche estere di tutti i
tempi. E non c'è dubbio che il commercio
marittimo fosse sempre un buon affare, giacché
al tempo delle vele, a parte i naufragi (assicurabili)
o le quarantene (interminabili e tuttavia
passibili di sconti a seguito di trattativa), gli
unici costi erano la paga, il vitto dell'equipaggio
e il deperimento del vettore. Molti capitani
erano anche "padroncini" in
multiproprietà, perché detenevano quote di più
navi per non rischiare solo quella che
comandavano.
La flotta di Carlo Maria Cipolla naviga nel
mercato librario e sfrutta ogni soffio di vento.
Le note e la bibliografia sono ampie e discrete,
non zavorrano il testo, una manna per chi vuole
approfondire. Buone anche le traduzioni dagli
originali inglesi.
Carlo M. Cipolla, Il
burocrate e il marinaio. Il Mulino, Bologna,
1992. Pagine 136, lire 15.000. Vele e cannoni.
Il Mulino, Bologna, 1999. Pagine 174, lire 18.000.
|
|