LIBRI / STORIA
Byron italiano, donne e
cavalli
Alessandro Dell'Aira
George Washington Caucamán, un personaggio di
Luis Sepulveda, scendendo da un taxi a Santiago
del Cile si chiede se il paesaggio di una città
non sia fatto di persone. Una domanda simile
dovette porsi Lord George Gordon Byron a Ravenna
nel 1820, pensando a Teresa Guiccioli, quando
scrisse all'amico Hobhouse che la città era
"terribilmente morale... non devi guardare
la moglie di nessuno tranne quella del tuo vicino".
Non c'è straniero che non legga in un paesaggio
o in una città gli aspetti più congeniali alla
propria natura. Ciascuno osserva da un'angolazione
diversa, e il risultato dell'osservazione
coincide quasi sempre con ciò che la percezione
del tempo e del luogo suggerisce alle
inclinazioni e al background dell'Io viaggiante.
La prima cosa che Goethe faceva in una città che
non aveva mai visto era di recarsi nel punto più
alto, alla ricerca del paesaggio: per dominarlo
con la mente, per farsene un'impressione e quindi
l'Idea. Lord Byron invece, dovunque andasse, in
qualsiasi circostanza, si specchiava negli occhi
di una donna. Besoin d'aimer, di
possedere un luogo attraverso le sue donne. La
sua Italia di gran viaggiatore con servitori ed
animali al seguito è costellata di presenze
femminili vissute come paesaggio. Perché quando
lord Byron viaggiava era in balìa di quell'ossessione.
Soprattutto in Italia, e in Italia soprattutto a
Venezia, ma anche a Ravenna: chi cerca tracce del
Mausoleo di Galla Placidia o di altri noti
monumenti nel "Don Giovanni" o nell'Epistolario,
perde tempo. Conversazioni estenuanti,
passeggiate in carrozza, gare di serventismo: lo
scialle della dama da piegare al dritto e non al
rovescio, svenimenti evitati o agevolati con il
Sal Volatile, cavalcate in pineta sfidando gli
improbabili agguati di un sicario armato di
stiletto, incontri con i Carbonari durante le
pause del suo duro servizio di cicisbeo della
moglie del conte Guiccioli, nel suo stesso
palazzo. E il padrone di casa che si dimostra un
perfetto marito di mondo, tanto da chiedere al
poeta una sommetta in prestito, da invocarne gli
uffici sognando la nomina a console onorario d'Inghilterra.
E titubando l'inquilino più del previsto, viste
anche le sue cattive compagnie, Guiccioli decide
di porre fine all'idillio. Teresa, romantica,
obietta che non intende passare in società per l'unica
moglie di Romagna a non avere l'Amico. Umiliato
da Byron, più che da Teresa, il signor conte e
console mancato chiede il divorzio e invoca l'arbitrato
del papa. E' solo uno scampolo del saggio che
Peter Quennel ha dedicato a Byron in Italia, dopo
le biografie di Shakespeare e Ruskin. In
apparenza la ricostruzione è aneddotica, ma il
vero tessuto è l'analisi psicologica, fondata
sui documenti ed esauriente quanto basta.
Sepulveda e Caucamán non hanno torto. Lo
confermano Byron e Schopenhauer: una città vista
dai viaggiatori consiste soprattutto in un misto
di persone da incontrare o da evitare e di
fantasmi familiari che si muovono in un paesaggio
insolito.
PETER QUENNEL
Byron in Italia
il Mulino, pp. 232, lire 32.000
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