CULTURA  
venerdì 4 febbraio 2000, S. Gilberto V  
   
LIBRI / STORIA
Byron italiano, donne e cavalli

Alessandro Dell'Aira

George Washington Caucamán, un personaggio di Luis Sepulveda, scendendo da un taxi a Santiago del Cile si chiede se il paesaggio di una città non sia fatto di persone. Una domanda simile dovette porsi Lord George Gordon Byron a Ravenna nel 1820, pensando a Teresa Guiccioli, quando scrisse all'amico Hobhouse che la città era "terribilmente morale... non devi guardare la moglie di nessuno tranne quella del tuo vicino".


   


Non c'è straniero che non legga in un paesaggio o in una città gli aspetti più congeniali alla propria natura. Ciascuno osserva da un'angolazione diversa, e il risultato dell'osservazione coincide quasi sempre con ciò che la percezione del tempo e del luogo suggerisce alle inclinazioni e al background dell'Io viaggiante. La prima cosa che Goethe faceva in una città che non aveva mai visto era di recarsi nel punto più alto, alla ricerca del paesaggio: per dominarlo con la mente, per farsene un'impressione e quindi l'Idea. Lord Byron invece, dovunque andasse, in qualsiasi circostanza, si specchiava negli occhi di una donna. Besoin d'aimer, di possedere un luogo attraverso le sue donne. La sua Italia di gran viaggiatore con servitori ed animali al seguito è costellata di presenze femminili vissute come paesaggio. Perché quando lord Byron viaggiava era in balìa di quell'ossessione. Soprattutto in Italia, e in Italia soprattutto a Venezia, ma anche a Ravenna: chi cerca tracce del Mausoleo di Galla Placidia o di altri noti monumenti nel "Don Giovanni" o nell'Epistolario, perde tempo. Conversazioni estenuanti, passeggiate in carrozza, gare di serventismo: lo scialle della dama da piegare al dritto e non al rovescio, svenimenti evitati o agevolati con il Sal Volatile, cavalcate in pineta sfidando gli improbabili agguati di un sicario armato di stiletto, incontri con i Carbonari durante le pause del suo duro servizio di cicisbeo della moglie del conte Guiccioli, nel suo stesso palazzo. E il padrone di casa che si dimostra un perfetto marito di mondo, tanto da chiedere al poeta una sommetta in prestito, da invocarne gli uffici sognando la nomina a console onorario d'Inghilterra. E titubando l'inquilino più del previsto, viste anche le sue cattive compagnie, Guiccioli decide di porre fine all'idillio. Teresa, romantica, obietta che non intende passare in società per l'unica moglie di Romagna a non avere l'Amico. Umiliato da Byron, più che da Teresa, il signor conte e console mancato chiede il divorzio e invoca l'arbitrato del papa. E' solo uno scampolo del saggio che Peter Quennel ha dedicato a Byron in Italia, dopo le biografie di Shakespeare e Ruskin. In apparenza la ricostruzione è aneddotica, ma il vero tessuto è l'analisi psicologica, fondata sui documenti ed esauriente quanto basta. Sepulveda e Caucamán non hanno torto. Lo confermano Byron e Schopenhauer: una città vista dai viaggiatori consiste soprattutto in un misto di persone da incontrare o da evitare e di fantasmi familiari che si muovono in un paesaggio insolito.






PETER QUENNEL
Byron in Italia
il Mulino, pp. 232, lire 32.000