CULTURA |
|
martedì 4 aprile 2000, S. Isidoro |
|
|
|
CONVEGNO
Balcani e guerra
bestialissima pazzia
di Alessandro Dell'Aira
Mostar. Il ponte com'era e
ciò che ne resta.
L'ISTITUTO UNIVERSITARIO DI
ARCHITETTURA DI VENEZIA (Iuav) ha
alle spalle una lunga tradizione d'impegno
didattico e civile. Un ponte non solo ideale che
collega generazioni di intellettuali, voluto e
realizzato da maestri solidi come pilastri:
Benevolo, Zevi, Tafuri.
In questo 2000 consacrato alla cultura della pace,
l'Iuav ha organizzato nella sua sede di Palazzo
Badoer un vivace convegno, "Guerra e beni
culturali", dedicato ai Balcani devastati da
dieci anni di conflitti. Sergio Pratali Maffei e
Benedetta Rodeghieri, del Dipartimento di Storia
dell'Architettura, membri della Commissione
Balcani dell'Iuav, hanno preparato e orientato i
lavori di un nutrito gruppo di teorici del
restauro e della conservazione, di intellettuali
italiani e balcanici, di operatori dell'Unesco,
di responsabili di enti culturali e associazioni
non governative. E nel Salone del Piovego di
Palazzo Ducale, la mostra "Tra le due sponde
dell'Adriatico" con 25 copie ottocentesche
di affreschi serbi del XIII secolo. La
dissoluzione della ex Jugoslavia, iniziata nel
marzo del 1991 con il distacco della Slovenia,
non si è ancora conclusa. Il virus della guerra,
che Leonardo definiva bestialissima pazzia, non
è ancora sconfitto e incombe soprattutto nel
Kosovo. A onta dei costruttori di pace, è
descritto, giudicato e vissuto da molti come una
tara, una deformità genetica indomabile e
inestirpabile. Una maledizione di cui si possono
solo contenere gli effetti. Al conflitto delle
ragioni, all'aggressione sistematica ai corpi,
alle tradizioni e ai beni di altri uomini, al
fuoco di armi sempre più potenti, presiede oggi
una nuova e scientifica forma di pazzia: l'informazione
inquinata, immessa da più parti nei principali
canali della comunicazione per avvelenare le
coscienze e i sentimenti del mondo. Dieci anni di
guerra hanno annichilito la vita, aggredito la
storia e inferto colpi selvaggi a un patrimonio
storico-artistico secolare. Sarajevo e Mostar
sono le ferite più grosse, le più evidenti, ma
il corpo dei Balcani è martoriato in centinaia
di punti. Il convegno di Venezia ha analizzato lo
stato dei luoghi e delle cose, dedicando un terzo
del tempo al censimento dei danni, un altro terzo
a un campionario degli interventi realizzati e le
ultime ore al ruolo delle organizzazioni
internazionali. Con una speranza: non aggiornare
la mappa dei danni, ma solo quella degli
interventi di recupero. Nel poster del convegno
di Venezia c'è un'immagine eloquente. Una
cicatrice italiana che fa sentire più nostra la
ferita dei Balcani: il ponte di Santa Maria delle
Grazie a Firenze, distrutto da mani bestiali e
finito a pezzi nell'Arno. E' un messaggio preciso:
c'è chi collega due sponde, c'è chi le separa
per isolare e umiliare i costruttori. C'è chi
distrugge per annientare e ricostruire alla sua
maniera. La convenzione internazionale dell'Aia
del 1954, ratificata dall'Italia nel 1958 e
rinnovata nel 1999, è un ponte ideale che ancora
non collega perché manca il riconoscimento di
grandi potenze come Usa e Regno Unito.
Nel frattempo, che fare di un ponte di pietra
come quello di Mostar, ridotto a un moncherino?
Ricostruirlo identico, ossificarlo in una
struttura funzionale e allusiva, conservarne il
rudere come monito e denuncia? Dietro queste
alternative, tutte discusse, c'è parte del
dramma dei Balcani. Dramma dell'Europa d'oggi,
idealmente orientata a gettare ponti e a tenere
porte aperte nella casa comune, ma anche incerta
nella sua sfida della ragione alla pazzia
bestialissima della guerra.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|