CULTURA |
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mercoledì 19 luglio 2000, S.
Simmmaco |
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Colombia, istruzioni per l'uso
tra i falsi poliziotti di Bogotá
e taxi che fuggono con le valige
DIARIO DI VIAGGIO / 1
di Alessandro Dell'Aira
TERESA ha lasciato Buenaventura,
il primo porto colombiano sul Pacifico. Per i
suoi ventitrè anni si è regalata un viaggio in
Europa. Maestra d'asilo, trentacinque mocciosi da
accudire, paga modesta e una gran voglia di
cambiare. È partita con la mamma, tre ore d'auto
sulla cordigliera occidentale. A Cali ha preso l'aereo
per Bogotà e da lì un altro per Caracas. Ora è
sul jet Alitalia diretto a Milano, dove l'aspetta
una cugina sposata con un italiano. Due settimane
a casa dei parenti, poi con loro in vacanza a
Madrid. L'Europa è la terra delle cugine di
Teresa: un'altra vive in Germania, sposata anche
lei, bada ai bimbi e alla casa. Teresa vorrebbe
restare in Europa come le cugine, lo fa capire
con gli occhi e non lo dice. In mano ha un libro
con dentro un santino del Cuore di Gesù e un
foglietto con quattro numeri di telefono
interminabili, più preziosi dei suoi anellini d'argento.
Il libro si intitola «Perorata». Più che
perorazione, vuol dire discorso molesto. L'autore
è un colombiano coraggioso, spiega Teresa, un
politico che scrive directo, parla
chiaro e si arrabbia se lo chiamano novelista,
scrittore di romanzi. È finito in galera con l'accusa
di avere preso soldi dalla guerriglia. Lui non
scrive romanzi, difende le sue verità. Accusa
García Márquez di machismo. Punti di
vista, dice Teresa, e dirotta il discorso sulle
balene gibbose che vengono dall'Antartide e
incrociano nella Baia di Buenaventura.
Teresa è bella, la sua voce è dolce. Si mette a
dormire. La lingua dei colombiani è il migliore
spagnolo dell'America Latina. Tutte le stelle
delle telenovelas parlano con la voce di Teresa.
Le stelle del cielo brillano nell'oblò come
gelsomini. La più lucente, in cima all'ala, è
quella del jet che sta portando in Europa i sogni
di Teresa. L'Atlantico resterà preso nei suoi
due agili segni di croce, uno al decollo e l'altro
all'atterraggio. Milano non è grande come
Bogotà ma ci si può perdere, ci si è persa una
volta anche una Tigre Reale. A Milano le strade
hanno nomi e cognomi come le persone. Solo le
case hanno i numeri, le strade no. A Roma, a
Milano, a non perdersi come fanno? Non è come a
Bogotà, dove in un lampo trovi il rondò della
Calle 100: sta tra la 99 e la 101, sull'Avenida
15. Come a New York.
Sul jet di Teresa c'è una coppia di sposi romani
in gran forma. Capelli d'argento, loquaci come
ragazzini. Hanno lasciato ottanta dollari sotto l'Hotel
delle Ande di Bogotà, sul rondò della Calle 100.
Alleggeriti, con quel modo elegante che i
colombiani chiamano paquete chileno, per
pura modestia o per prendere le distanze da un
classico pacco sovranazionale. Alcune varianti
sono riportate in chiaro nelle guide turistiche,
compresa quella dei due romani. Una guida non si
legge mai tutta. Ora lo ammettono: non era il
caso di sbandierarla davanti al pensionato che li
ha abbordati sul rondò, brontolando qualcosa.
Prudenti, non gli hanno badato, si sono messi
sulle strisce e sono finiti dall'altra parte dell'Avenida
15, contro un poliziotto in borghese che ha
esibito il tesserino e li ha trapanati con lo
sguardo. Si sono girati e hanno visto il
pensionato arrancare sulle strisce, sospinto da
un altro poliziotto in borghese che ha salutato
militarmente il collega anziano: Mayor, è lui
che ha offerto la droga agli stranieri, è
venezuelano, spaccia. Vuotati le tasche, fa secco
il Mayor al pensionato, che a testa bassa si
sgrava del passaporto e del portafoglio gonfio di
dollari. Il Mayor passa tutto al sottoposto, che
affronta il traffico e torna sui suoi passi verso
il comando, per un controllo. Europei? Chiede il
Mayor ai romani, per intrattenerli. Il comando è
qui dietro, per vostra fortuna. Mastica un po' di
italiano, spiega che la droga è una piaga aperta,
soprattutto a Bogotà, anche tra i giovanissimi.
Scusateci, dobbiamo identificare anche voi. Il
colpevole attende, imbarazzato, affranto. Il
sottoposto torna, di corsa, dribblando le auto.
Ridà tutto al capo che fulmina il pensionato e
gli dice: Volpone, sappiamo chi sei, abbiamo le
serie dei tuoi dollari, ecco la roba tua,
sparisci e riga dritto, se no guai a te. E mentre
dice: Riga dritto, porta una mano alla fronte di
taglio e l'allontana di colpo sulla verticale del
naso. E poi: Signori, prego, i vostri passaporti.
Solo fotocopie? Prudenza, va bene, qui però
manca il visto d'ingresso. Avete valuta? Quanta?
Dobbiamo accertarlo, seguitemi. Ferma il fiume di
auto e di bus con il tesserino, avvia gli
stranieri sulle strisce e tende l'altra mano,
loro gli porgono i dollari e lui «si dà» sulla
100 nella direzione opposta. Sparito. Con gli
ottanta verdoni, i compari e le fotocopie.
A Bogotà lasciate i passaporti in albergo,
raccomandano le guide. Portatevi dietro una
fotocopia, suggeriscono. Attenti ai falsi
poliziotti. Se avete bagagli, evitate di scendere
dal taxi in panne e di spingerlo per dare una
mano al conducente. Lo perdereste, valige
comprese. E se sperate di ritrovarle, sappiate
che a Bogotà ci sono decine di migliaia di taxi.
Passate la voce. Molti ricchi sfondati, pochi
turisti, e troppa gente che muore di fame.
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