Colombia, smeraldi in
offerta
ma solo con Ernesto si possono
evitare le pietre verdi false
DIARIO DI VIAGGIO / 3
di Alessandro Dell'Aira
ERNESTO è un esmeraldero di Bogotá.
Gli smeraldi li lavora in appartamento, tra il
frigorifero e la camera da letto. Abita in un
quartiere popolare con la moglie bambina, la
prole e la suocera, e non ha nulla a che spartire
con gli esmeralderos da strada che ti
rincorrono nel quartiere coloniale della
Candelaria con in pugno un cartoccio di carta
bianca gualcita pieno di pietruzze che hanno l'aspetto
e il fascino di scaglie di shampoo congelato. Né
con gli esmeralderos da bottega, che
tengono i grossi calibri in cassaforte e i pezzi
da poco nelle bacheche di vetro foderate di
stoffa nera, e quelli da niente stipati in
bottigliette di plastica mignon, ancore mignon,
crocifissi cavi mignon, e manciate di minutaglia
su una sagoma di cartone a comporre l'immagine di
una Colombia smeraldina e candita, trenta dollari
a lotto per un pugno di mosche che una volta a
casa ti tocca farne orecchini, anellini,
collanine, spillette, bracciali, e di lavoro
spendi un capitale, senza contare l'oro e i
brillantini. Lo smeraldo chiama oro e brillantini.
Ernesto non è un esmeraldero della
montagna di Muzo, di quelli con la licenza facile,
che gli smeraldi li cercano e sparano volentieri
dietro alle lepri e alla concorrenza. Ernesto si
è attrezzato in proprio con un banco e una mola
e gli smeraldi li lavora. Poi li rivende agli
amici degli amici, con la stima che parte da
lontano, tu tiri, lui tira, tu ribassi e quando
meno te l'aspetti lui molla e hai comprato uno
smeraldo tagliato, o un cabuchón
levigato a forma di goccia.
Se sei a casa tua o in albergo ti squaderna
cartocci e smeraldi sulla scrivania, ti viene la
paura di un colpo di tosse o di uno starnuto
improvviso e lo stomaco ti si chiude al pensiero
dei cataclismi che ne seguirebbero. Se sei a casa
sua ti fa accomodare davanti al banco di lavoro,
lo aggira, si siede sullo sgabello, fa la faccia
da furetto e ti rivela qualche segreto: liscia,
bagna, collima, brucia, ribagna, traguarda,
prende la pietra in una morsa, modifica l'angolo,
studia il taglio migliore, leviga, lucida con uno
spazzolino da denti, basta fregare come si
fregano le gengive, frega quanto vuoi ma non
ungere d'olio lo smeraldo, nossignore, è
disonesto, il lustro dura un po' di giorni e
sparisce. Una cosa è l'olio, una cosa è la vita
dello smeraldo, altra cosa è la luce, altra il
giardino. Se lo smeraldo ha un giardino dentro,
fatto di piccole impurità di carbone, puoi stare
tranquillo, è la garanzia migliore. Se lo
smeraldo è limpido i casi sono due: o vale un
occhio della testa o è la millesima parte del
fondo di una bottiglia di vetro da un litro.
Secondo Ernesto, il valore di uno smeraldo senza
giardino si colloca esattamente a metà tra il
valore di un occhio umano e il valore di un fondo
di bottiglia. Ma dice per dire: lui di smeraldi
così non ne ha, non ne vuole e non ne consiglia.
Ha una casa senza giardino, con una scala stretta
e una terrazza sgombra che guarda sulle terrazze
congestionate dei vicini occupati in faccende
davvero inesplicabili.
Ogni tanto, mentre Ernesto lavora alla mola, un
termostato scatta, un motore ronza e le mummie
precolombine di terracotta allineate in cima all'altipiano
del suo frigorifero hanno un fremito d'orgoglio
che presto si placa. Per arrotondare, Ernesto ha
deciso di trafficare in pezzi d'epoca. Lui non è
un guaquero che profana le guacas,
i tesori del sottosuolo. Lui è un pezzo di pane
di yuca e tiene il meglio che ha in cima al
frigorifero. In piedi davanti a quell'altarino,
è difficile trovare il coraggio di toccare a due
mani una mummia di Ernesto mentre vibra, o di
aprire lo sportello, versare un po' d'acqua
gelata da una bottiglia e fare la doccia a una
statuina di Tierradentro o a un vaso di San
Agustín, annusare e aspettare che si prigioni l'odore
di sottoscala bagnato, di stalla, di muffa d'appartamento,
quel tanfo leggero e rassicurante, il miglior
sistema (dicono) per riconoscere il pezzo vero da
quello falso, infallibile come il giardino di
carbone dentro gli smeraldi veri. Ernesto non ti
dice nulla. Ti dice solo: questo vale tanto,
questo tanto, e questo tanto. Negoziabile.
Aspetta che sia tu a fare la prova dell'acqua.
Non è un venditore di mummie del mercato delle
pulci di Usaquén, di quelli che dividono il
banco in due: di qua le imitazioni, di là i
reperti, in apparenza tutto assolutamente
identico di qua e di là, tranne il prezzo:
partorienti che partoriscono aiutate dal medico,
masticatori di coca con una guancia gonfia e più
tumefatta di quando ti si infiamma un molare, un
giaguaro in calore che strapazza una giaguara
innocente, vasetti con quattro scimmiette
dispettose al posto dei manici, sciamani-puffi
scialbi e senz'anima, formiconi-marines, hormigas
culonas caricature dell'ape Maia che solo
gli indios di una volta mangiavano e ora si
degustano nei locali d'alto bordo.
Niente di tutto questo qui, la casa è seria: e d'altra
parte Ernesto è un esmeraldero fidato e
non fa scherzi a nessuno, né con le pietre né
con le mummie. Con Ernesto non rischi. O se
rischi, è soltanto colpa tua.
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leggenda di Guatavita
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