WEIMAR
Il tallone d'Achille
di quella democrazia
nel cuore d'Europa
Trento, brillante lezione di
storia di Gian Enrico Rusconi,
politologo acuto
di Alessandro Dell'Aira
CHI HA DETTO che la storia non si fa con i «se»?
È stata questa la lezione trentina su Weimar di
Gian Enrico Rusconi, politologo acuto, docente di
Scienza della Politica a Torino. Dire che la
storia non si fa con i «se» è un pregiudizio,
come quello che si debba scrivere di storia «a
ragion veduta».
Le ragioni storiche di Rusconi sono molteplici,
indagate, vagliate con il metodo della cosiddetta
storiografia virtuale. Qualcuno, magari
Montanelli, non sarebbe d'accordo, ma questo è
scontato.
L'eredità di Weimar è un tema dibattuto, caro a
Rusconi che nel 1977 ha pubblicato per Einaudi un
saggio importante e fortunato: «La crisi di
Weimar. Crisi di sistema e sconfitta operaia».
Ora ha messo a fuoco le sue conclusioni alla luce
della più recente produzione storiografica.
COS'È dunque l'esperienza di Weimar? Un
laboratorio di modernità, di rottura? Un momento
di democrazia debole? Una questione irrisolta? L'agonia
di un fantasma? Dopo la Germania, il paese che
più si interroga è l'Italia. Ed è giusto così,
perché Weimar è una città simbolo per l'Europa
contemporanea. Luogo di nascita di Goethe e
Schiller, il suo nome riassume quindici anni di
storia incandescente, non solo tedesca, con molti
riflessi globali. Occasione mancata, rivoluzione
tradita? C'era o non c'era la possibilità, era
il momento o no di creare un sistema socialista?
La storiografia marxista non è stata mai tenera
con Weimar, repubblica borghese. In questo ha
pesato anche la parola, che non è un insulto, e
alla quale, ricorda Rusconi, va restituito il
senso di «liberale». A Weimar è nata la prima
Costituzione tedesca, una delle migliori, che ha
razionalizzato lo Stato sociale e il sistema
federale. Ricordando «La politica come
professione» di Max Weber, Rusconi ha
sottolineato come già quel sistema fosse una
Führerdemokratie, nel senso di «democrazia con
una guida».
Con un tallone d'Achille: il famoso articolo 48
della Costituzione, che autorizzava il Presidente
a formare un governo in caso di emergenza, a sua
discrezione. Sappiamo che quella formula,
ibernata dal 1919 al 1932, ebbe conseguenze e
risvolti tragici. Il presidente governava a
prescindere dal Parlamento. I tedeschi credevano
di avere un cancelliere e si ritrovarono un
Führer. Ma il modello prussiano-tedesco è
giuridicamente fondato sullo Stato di diritto e
la buona amministrazione. Se si è risolto come
via legale al nazismo, non è colpa di Weimar.
«Se» non ci fosse stato il Grande Crollo d'oltre
oceano, The Great American Desaster del 1929...
«Se» non ci fosse stata quella maledetta crisi
giocata sul piano finanziario, quasi come quelle
di oggi, e non sul piano della produzione...
Nell'esperienza di Weimar, il 1923 è un anno
cruciale. Un caporale boemo, in una birreria di
Monaco, arringa i suoi: ha un che di demoniaco,
che seduce. I comunisti insorgono in Turingia. La
rivoluzione non si fa con i fiori e Berlino
rischia di diventare San Pietroburgo.
Manifestazioni di giorno, morti di notte. La
delusione non digerita degli ex combattenti per
la «pugnalata alle spalle» del primo dopoguerra,
da un certo punto di vista era comprensibile.
Eppure il vecchio Hindenburg, che non amava il
Parlamento, non avrebbe mai voluto sospendere le
elezioni.
Nell'argomentare, Rusconi procede per parentesi e
divagazioni. Per semplificare adotta formule
familiari, senza banalizzare: dal 1919 al 1925 si
può parlare di un «centro-sinistra», dal 1925
in poi, fino al 1930, di un «centro-destra»;
poi di una «grande coalizione», in cui il
Parlamento non è in grado di esprimere un
governo a causa delle opposizioni di segno
diverso. Quasi a compenso di queste
semplificazioni, ecco i dati statistici sull'esito
delle consultazioni elettorali, con la finale e
irresistibile ascesa del partito
nazionalsocialista. Le lezioni di Weimar non
finiscono mai, conclude Rusconi, incondizionato
ammiratore della democrazia weimariana. E' il
caso limite di una forte crisi di sistema, in cui
giocano un ruolo notevole le influenze esterne.
Qualche riflessione, prima di dare spazio al
dibattito: la colpa di Weimar è un difetto di
costruzione, non di cultura politica. E' il
sacrificio consapevole degli ideali, quasi un
suicidio. Una tragedia della socialdemocrazia
tedesca (sotto gli occhi del centro, impassibile,
cinico). Weimar nasce da un patto, da una
contrattazione di importanza enorme, nella
persuasione di poter conciliare il potere con il
conflitto. La forza dell'instabilità: ecco il
suo grande segreto.
Il rinvio sine die delle elezioni è il
colpo definitivo alla sua Costituzione (un altro
luogo comune da sfatare: «Si va sempre a votare
come a Weimar»). Il Parlamento si autoemargina e
interviene la piazza. L'apparato amministrativo
sta a guardare. Si crea il cortocircuito tipico
di quando il sistema è inefficiente.
Weimar. De Fabula narratur, conclude
Rusconi richiamando un detto latino. La Germania
va capita.
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