HUBERT
JEDIN I
quattro volumi sul Concilio
hanno colmato un vuoto
e hanno riempito la sua vita
Ieri a Trento, all'Itc
ricordata la figura dello storico tedesco
Si è svolta ieri pomeriggio
a Trento, presso l'Aula Grande dell'Istituto
Trentino di Cultura, la celebrazione del
centenario della nascita di Hubert Jedin (1900-1980).
In programma, oltre al saluto delle autorità,
tra cui il presidente della Provincia Dellai e il
vescovo di Trento monsignor Bressan, un'introduzione
del direttore del Centro per gli studi storici
italo-germanici, Giorgio Cracco. Sono seguiti gli
interventi di monsignor Iginio Rogger, Giuseppe
Alberigo, Paolo Prodi. La celebrazione si è
tenuta nell'esatto anniversario della nomina di
Jedin a presidente dell'Istituto storico italo-germanico
(3 novembre 1973), da lui fortemente voluto.
Hubert Jedin è autore della famosa Storia del
Concilio di Trento (1949-1975), di una
monumentale Storia della Chiesa, in dieci volumi,
e di una nutrita produzione di saggi scientifici.
di Alessandro Dell'Aira
«DIO SA SCRIVERE ANCHE SU LINEE CURVE». Questa
frase di Hubert Jedin, il grande storico del
Concilio di Trento, avrebbe potuto fare da titolo
all'autobiografia, rivista dall'autore fino a
pochi mesi dalla morte, sopraggiunta nel 1980. Ne
fu poi scelto un altro: «Storia della mia vita»,
più laico e meno compromesso con la teologia,
nell'assoluta certezza che l'autore lo avrebbe
approvato. Hubert Jedin è stato il primo
presidente dell'Istituto storico italo-germanico
di Trento. I suoi quattro volumi sul concilio
hanno colmato un vuoto di tre secoli, e gli hanno
anche riempito la vita. Una vita accidentata,
segnata da tante curve. La sua missione di
ricercatore, come scrisse egli stesso nel 1939
all'ambasciatore tedesco presso la Santa Sede,
von Bergen, che non volle mai frequentarlo, era
di scrivere una storia «ampia e scientificamente
ineccepibile» di quell'evento miliare per la
storia d'Europa. Salesiano, archivista
arcivescovile a Breslavia, aveva al suo attivo
una lunga stagione di studio in Italia, culminata
in alcuni volumi preparatori della grande fatica.
Sperava di ottenere il visto di espatrio per
recarsi presso l'Archivio Vaticano, nei cui
ambienti era ben conosciuto.
Uno degli elementi favorevoli alla concessione
del visto fu che occorreva scrivere una storia
monumentale del Concilio di Trento prima dei
francesi, e che le fonti pubblicate erano tutte
di parte tedesca. Non c'erano oneri da coprire
per il suo soggiorno a Roma, si diceva in un
rapporto informativo stilato dall'Istituto
storico germanico di Roma: il cardinale Mercati
se li era assunti personalmente. D'altra parte,
la presenza di Jedin presso la Santa Sede avrebbe
discretamente bilanciato l'influenza del gruppo
di sostenitori del cardinale Tisserant.
Così diceva il rapporto. Ma il reverendo Hubert
non era incline a fare politica per conto terzi,
neppure sul terreno diplomatico. Nonostante le
umiliazioni inflittegli dal nazismo, che lo aveva
sospeso dall'insegnamento come «non ariano» per
le origini ebraiche della madre, si mantenne a
distanza ineccepibile da tutti. Evitò per un
soffio di essere deportato a Buchenwald. Cacciato
dall'università di Breslavia, trovò conforto
nello studio. A Roma si diede a comporre una
storia bibliografica completa e aggiornata del
«suo» Concilio. Tornò sulle proprie ricerche
degli anni Venti, durante le quali, a Napoli, gli
era anche accaduto di incontrare Benedetto Croce.
Nella primavera del 1940 fece una puntata a
Mantova, e a Trento per la prima volta.
La ricerca di Jedin si sviluppa nel corso di
eventi bellici che la mettono in forse ogni
momento. Ma è proprio quel ritmo di lavoro a
rendere i suoi giorni meno penosi e interminabili.
Nel 1946, a guerra conclusa, una lettera da Bonn
gli preannuncia la riabilitazione accademica,
sollecitata dal governo militare inglese. Jedin
chiede di lasciare l'Archivio Vaticano e di
trasferirsi a Bonn, visto che non può rientrare
a Breslavia, occupata dai russi. Ottiene anche
una deroga che gli consentirà di concludere una
fase delicata delle ricerche. A Bonn lo raggiunge
un'offerta del cardinale Mercati, suo garante
romano: una cattedra alla Sorbona di Parigi.
Jedin prende tempo e alla fine rifiuta,
nonostante le insistenze di Mercati. Il primo dei
suoi quattro volumi sul concilio di Trento è
uscito in mille esemplari, ha avuto un notevole
successo tra gli specialisti ed è già esaurito.
È tempo di pensare al secondo. D'ora in poi la
sua vita sarà una strada senza curve, da
percorrere con austerità fino alla meta. Il
mondo cambia. Jedin, che ha sempre rinviato l'acquisto
di una radio, non diffida del progresso: ne
avverte i pericoli, preferisce essere sobrio e
tale resta. Dai suoi scritti minori, alcuni dei
quali figurano in appendice all'edizione italiana
dell'autobiografia, riprendiamo un promemoria per
la Conferenza episcopale del 1968. Sia come
religioso, sia come studioso, Jedin sente l'urgenza
di pronunciarsi, nello spirito del Concilio
Vaticano II, poiché "quello che per il
singolo è l'esperienza di vita, per la comunità
ecclesiale è la storia della chiesa". E di
fronte alla crisi di quegli anni, non trova
migliore argomento dell'accostare l'Europa del
secolo sedicesimo alla realtà presente, in cui
la chiesa cattolica è in pensiero per i rischi
di lacerazioni interne. Il suo intervento è
politico, autonomo, sempre sostenuto da un'ineccepibile
distanza scientifica.
In piena coscienza, Jedin segue l'evolversi della
propria immagine pubblica. È legato a Trento da
forti vincoli d'affetto per la sua scuola, al
punto di fare del Trentino un suo luogo della
continuità nella memoria, come lo era la Slesia
che lo aveva visto nascere. Uno dei suoi incubi,
a Roma, nel 1944, era di svegliarsi e di non
trovare più i ponti sul Tevere. Una notte di
giugno quei ponti rischiarono di saltare davvero
per mano nazista. Ma non saltarono.
Simbolicamente, in quell'incubo di Jedin,
studioso tedesco innamorato dell'Italia, va letto,
in positivo, il suo sogno di continuità nell'attenzione
alla storia. Perché la storia per lui, com'è
stato ricordato ieri sera a Trento, era continua
verifica dell'ideologia alla luce dei fatti.
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