CULTURA  
venerdì 10 novembre 2000, S. Leone Magno  
   
Storia. L'incredibile vicenda della Fredensborg

Su quella nave c'erano
gli schiavi dei norvegesi




di Alessandro Dell'Aira


 
 


La Fredensborg alla fonda nell'aprile del 1768
Dipinto di Ants Lapson (1996)






QUANDO SI SEPPE delle scoperte subacquee di Svalesen e dei suoi amici, i norvegesi stentavano a crederci. Non avrebbero mai detto che i loro avi fossero implicati nella tratta atlantica. Possibile che la Fredensborg, quella fregata di quasi trecento tonnellate di stazza e trenta metri di lunghezza, di proprietà di una Compagnia di Copenhagen e naufragata nei pressi di Arendal, nello Skagerrak, fosse una nave negriera? Che venisse dalle Isole Vergini, carica di prodotti coloniali? Che stesse per imbarcare merce europea da barattare ad Accra con centinaia di schiavi? E che quegli schiavi li avrebbe portati nei Caraibi?
La vicenda della Fredensbord è diversa da quella della nave spagnola Amistad, ricostruita da Spielberg in uno dei suoi più famosi film. Nel 1839 l'Amistad aveva preso a bordo all'Avana una cinquantina di schiavi della Sierra Leone, deportati a Cuba da un negriero portoghese quando gli accordi tra la Spagna e l'Unione degli Stati americani avevano ormai messo fine a quel traffico. Gli africani si impadronirono dell'Amistad nella speranza di sottrarsi al loro destino. Catturati dalla guardia costiera del Connecticut, processati ed assolti perché riconosciuti titolari del diritto di aspirare alla libertà, tornarono in Africa. Di lì a pochi anni, nel 1772, una sentenza inglese avrebbe condannato per la prima volta la schiavitù, per ragioni umanitarie ma anche per contrastare il vantaggio economico di chi aveva schiavi e li impiegava nella produzione, rispetto a chi non li aveva.
Gli studi sulla tratta atlantica e l'olocausto degli africani si sono moltiplicati in questi ultimi anni. Leif Svalesen, per esempio, nel 1996 aveva già pubblicato il suo libro in Norvegia, aiutandosi con un libro più antico: il giornale di bordo della Fredensborg, portato in salvo con altri documenti dal suo capitano Johan Frantzen Ferentz e dal sottocapo Christian Hoffman. Svalesen ha cercato quelle carte presso gli archivi danesi e norvegesi, finché non le ha scovate. E' sempre così: gli scavi, le immersioni migliori si fanno nei fondi delle biblioteche e nei faldoni degli archivi. Se poi a studiare le carte è la stessa persona che sa come leggere il suolo o il sito sommerso, i risultati vengono.
La Fredensborg si incagliò sugli scogli dell'isola di Tromoy presso Arendal. A terra, di fronte a quel tratto di mare, oggi c'è un tumulo di pietre grezze con una targa. Tra gli oggetti ripescati, una macina di pietra calcarea proveniente dalla regione di Accra, zanne di elefante e di ippopotamo, ceppi, catene. Al momento del naufragio, la nave aveva a bordo zucchero, legno pregiato, tabacco, cotone. Le raffinerie di zucchero di Halden e Trondheim erano in chiara relazione con quel commercio. Stando al diario del capitano, la Fredensborg aveva trasferito dal Ghana alle Isole Vergini duecentosessantacinque schiavi, trenta dei quali erano morti durante la traversata. La stessa sorte era toccata a sedici dell'equipaggio e a due passeggeri. Ogni viaggio era un'incognita, ma c'erano istruzioni precise su come mantenere «la pace e l'ordine» a bordo. Poi, quel naufragio sottocosta, in acque basse, durante una tempesta di vento. Si salvarono tutti: trentanove tra marinai e ufficiali, tre passeggeri e due schiavi.
Svalesen ha rimesso insieme il puzzle. Ha fatto un bilancio del traffico di schiavi gestito da Danimarca e Norvegia, stimandolo in centomila unità. Ha indagato sulle malattie dei deportati, le armi e i regolamenti di bordo, gli scali, gli scambi, le merci, fino all'ultimo barilotto di rum. Si è messo sulla scia della Fredensborg e ne ha ripercorso la rotta triangolare, trovando tracce della presenza norvegese nel Ghana e nei Caraibi. In questi giorni è ad Accra a presentare il suo libro, uscito in versione inglese qualche settimana fa per i tipi dell'Indiana University Press. Dal 1974, anno della scoperta del relitto, la sua vita è cambiata. L'Unesco, nel 1995, gli ha chiesto di curare per le scuole una storia a fumetti sull'ultimo viaggio della Fredensborg. Una mostra tematica: «Schiavi, Avorio, Oro», ha girato i musei navali della Scandinavia. Un'altra mostra, permanente, è stata allestita a Fort Frederick nelle Isole Vergini.
Il relitto di Arendal, per datazione, ubicazione e dovizia di materiale, è il più interessante della categoria. È curioso come nell'arco di tre anni se ne siano ritrovati altri due, in luoghi lontanissimi tra loro: nel 1972, il relitto della nave negriera inglese Henrietta Marie, affondata nel 1700 presso le coste della Florida; e nel 1973 quello della Don Francisco, del portoghese Francisco Feliz de Souza, con base nell'attuale Benin, sequestrata nel 1837 nei Caraibi con un carico di 433 schiavi africani, rimessa in mare a Londra con il nome di James Matthew e affondata nel 1841 presso Freemantle in Australia. Frammenti di rotte e di storie da ricomporre, in un mondo tutt'altro che immune da schiavitù antiche e nuove.










Il sito
del naufragio