Come il fante Endrizzi
vestito da tedesco sfuggì
alla strage di Cefalonia
Il diario di un trentino
capitato suo malgrado nell'inferno dell'isola
greca dopo l'armistizio
Sul dramma di Cefalonia, quando tra
il 20 e 21 settembre del 1943 6.500 uomini della
divisione Acqui furono selvaggiamente trucidati
dai tedeschi dopo essersi arresi, sono stati
scritti molti studi storici e politici. Di
recente dalle pagine dell'Espresso il senatore
Paolo Emilio Taviani ha rivelato che negli anni
del dopoguerra concordò con l'allora ministro
degli Esteri Martino (era il 1956) di porre il
veto al processo contro i 31 militari tedeschi
responsabili dell'eccidio. Decise in pratica di
affossare la richiesta di giustizia da parte dei
familiari delle vittime in nome della ragion di
Stato, per non infierire ulteriormente sulla
Germania. Una strage, insomma, le cui ferite sono
ancora da rimarginare. Sulla vicenda ora si
aggiunge nel panorama letterario il diario di
Guglielmo Endrizzi. Un libro unico per genuinità
ed originalità del protagonista, sempre
controcorrente.
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Endrizzi
da spazzacamino
a fante in Etiopia
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di Alessandro Dell'Aira
Guglielmo Endrizzi, classe 1921, stava in guardia
anche da chierichetto. Il suo nemico più feroce
era il padrone del campo del ciliegio dove lui
portava i compagni dopo la messa, dicendo che era
roba sua e che suo padre aveva detto che potevano
mangiarne fino a scoppiare, non come il padre di
un altro chierichetto che di ciliegie ne aveva ma
era avaro. Il nemico veniva a stanarlo alla
scuola di Fai della Paganella dove lui andava
vestito non tanto bene ed era mal visto per la
sua vivacità. La maestra fermava il nemico sulla
porta e lui se la dava a gambe.
Un altro maestro ebbe Guglielmo Endrizzi da Fai.
Lui e gli amici lo sassarono il giorno che prese
la funivia di Zambana e se ne andò per sempre.
Così fu suo padre a fargli da maestro di vita
prima di governare le vacche. Lo faceva tremare
senza picchiarlo.
1935. Finisce la guerra di Guglielmo con la
scuola. Mussolini se la prende col Negus e lui
parte con altri per l'Appennino, dove ci sono
camini da raschiare anche con i gomiti, e un
soldo da chiedere ad ogni porta per amor di Dio.
Il sacco del pane è il suo sacco da dormire.
Quattro anni di stenti e si torna, è tempo di
naja, altro che aspetta e spera, sta per
scoppiare un'altra guerra mondiale. Divisione
Acqui, quarta compagnia, plotone mitraglieri,
Silandro. Un compagno gli fa: vieni in Russia con
noi volontario, e lui parte, in quaranta per
vagone, divisione Pasubio, diciassettesimo
fanteria. A Brindisi salpa per l'Albania, passa
lo Ionio in piedi sul ponte come nel vagone, con
il mulo e il salvagente. A Durazzo l'ufficiale lo
chiama: "Endrizzi, c'è una denuncia per
furto di legna sulla Paganella. Bravo, quando
torni ne fai quanta ne vuoi. Fatti onore, si va a
Cefalonia".
L'isola è quella che è. Gugliemo passa l'inverno
ad Argostòli, a fare il brusca e striglia a
cinque muli. In primavera, è il 1942, vede un
albero carico di arance, per lui sono ciliegie
giganti, una tentazione. Come sempre beccato, non
si scherza, cinque giorni di cella, siamo al
fronte, né ciliegie, né legna, né arance. Una
notte sente un botto che viene dal mare. E' un
siluro tedesco contro la Galileo, carica di
alpini della Julia. La guerra lo sta cercando,
senza fretta, gli lascia un po' di tempo per l'amore.
A Itaca Guglielmo fa il filo alla bella figlia di
un contadino, più bella dell'orto di suo padre.
Lui per mesi corteggia un po' l'orto un po' la
figlia, stessa faccia stessa razza. Le isole
greche sono piene di storie come la sua. Una è
quella famosa dell'ufficiale italiano e della
ragazza di Cefalonia, ricostruita da John Madden,
il regista di "Shakespeare in love",
con un occhio al romanzo di Louis de Bernières
sul capitano Corelli e il suo mandolino. Gabriele
Salvatores, in "Mediterraneo", ne ha
raccontato un'altra quasi felice, dedicata a
coloro che fuggono.
Guglielmo torna a Cefalonia. Un casino dopo l'altro
fino all'otto settembre. Armistizio, i greci
suonano le campane. Undicimila italiani e
millecinquecento tedeschi. E adesso? Contro i
tedeschi, con i tedeschi o disarmati? Prima che
arrivi l'ordine di non arrendersi, il generale
Gandin fa un referendum. Decisione finale: si
combatte. Il fante Endrizzi, addetto ai
rifornimenti, va e viene dalla linea di fuoco.
Poi vince l'istinto. Si sottrae alla carneficina
sicura. Ancora in tempo, fa incetta di revolver
tra i morti. E' preso da cinque Alpenjaeger
bolzanini, dice di essere di Bolzano e salva la
vita. Le armi non può più deporle, contro i
tedeschi non può mettersi. Lo invitano a passare
dalla loro, come quelli di Trento, Bolzano e
Belluno. Gugliemo passa, e con lui altri venti.
Non gli importa né di fascisti, né di nazisti.
Gli importa solo di portare a casa la pelle. In
cento lasciano quell'inferno per Patrasso,
destinati al rastrellamento.
A Fai della Paganella tutti credono che Guglielmo
sia morto, ma lui è in Grecia, in Albania, in
Iugoslavia con i tedeschi. In agguato sulle
montagne, con la divisa tedesca sulle braghe di
tela italiane, parlando greco in casi estremi.
Nei boschi ci sono corniole come ciliegie, non c'è
bisogno di rubarle. Guglielmo passa dalla parte
dei russi, prigioniero della guerra. La guerra,
dice, non uccide tutti, anche se tutti sono suoi
prigionieri. E' il 1945, si litiga a sangue anche
per una coperta asciutta. Giannina, Atene,
Taranto, da un merci all'altro, da un campo all'altro,
fino al caffè Perlot di Mezzolombardo. A due
anni dall'eccidio, la vita ricomincia il 7
settembre del 1945. Ma si è mai fermata?
I libri dei reduci di Cefalonia sono tanti. Pochi
però come questo. Per una ragione semplice: il
sopravvissuto, narrante, è uno che da bambino
faceva dispetti a tutti, e da soldato ha
continuato a cavarsela. Cioè, come si legge in
quarta di copertina dal negativo del suo
manoscritto, quando era piccolo e veniva fatto
qualche cosa di male era sempre stato lui, anche
se non c'entrava per niente.
Gugliemo Endrizzi. En braghe de
tela... taliàne. L'odissea di un trentino
sopravvissuto all'eccidio di Cefalonia. A
cura della Biblioteca Intercomunale «Altopiano
Paganella Brenta». Rielaborazione del
manoscritto, note e introduzione storica a cura
di Graziano Cosner, Marilena Faoro e Sandro Osti.
Curcu & Genovese, Trento, 2000. 128 pagine.
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