CULTURA  
martedì 9 gennaio 2001, S. Giuliano
   
DE VILLE LIST

Don Giovanni De Ville, il prete ladino inviato
dagli Usa in Belgio per espatriare i profughi

Le memorie. La scoperta in rete del libro finora ignorato in Trentino


Prima la scoperta casuale di un opuscoletto di memorie scritto negli ultimi mesi di vita. Ora del padre originario di Moena, Giovanni De Ville, si scopre via Internet un libro autobiografico e la sua missione segreta durante la Grande guerra.






di Alessandro Dell'Aira


ESTATE 1915, GRANDE GUERRA. Don Giovanni De Ville da Moena, quarantadue anni, in America dal 1892, ha fama di grande esperto in studi sociali, in particolare di immigrazione europea negli Stati Uniti. La Germania ha invaso il Belgio e lo occupa militarmente da quasi un anno. Laggiù c'è bisogno di qualcuno che coordini l'espatrio di donne e bambini e li aiuti a imbarcarsi in Olanda per raggiungere i parenti negli Usa. Ma la frontiera del nord è chiusa da tempo. La missione si presenta alquanto rischiosa in tutte le sue fasi: i mille morti del «Lusitania», affondato dai sottomarini tedeschi, sono un incubo per tutti.
Di ritorno da quell'inferno, nel 1918, il sacerdote pubblica a New York le proprie memorie di guerra, rimaste finora stranamente ignorate in Trentino: «Back from Belgium», la storia segreta di tre anni passati in quelle terre neutrali e martoriate, di cui i tedeschi si servirono per aggredire la Francia. Lo scorso novembre, sulle colonne di questo giornale, abbiamo riassunto la vita di don De Ville con l'aiuto di un documento di prima mano: una sua breve autobiografia illustrata, scritta in inglese a Fiera di Primiero pochi mesi prima della morte e pubblicata a Trento, ad esequie avvenute, nel 1933.

Abbiamo rintracciato via Internet e acquistato una copia di «Back from Belgium» presso un antiquario della Pennsylvania. Da queste intense 268 pagine, e dalle immagini fuori testo, ci siamo fatti un'idea della personalità di De Ville. La sua strada s'incrocia a Bruxelles, in un giorno d'ottobre del 1915, con quella di Edith Cavell, l'infermiera inglese giustiziata come spia dai tedeschi per essersi votata a una missione ancora più ardua: favorire il passaggio in Olanda, al di là dalle linee nemiche, di centinaia di militari suoi compatrioti rimasti per mesi intrappolati in Belgio dopo la battaglia di Mons.



   



Fu il «Chicago Herald», in accordo con la Belgian-American Alliance, a proporre che De Ville si recasse ufficialmente prima in Olanda e poi in Belgio come suo corrispondente, con le credenziali del Dipartimento di Stato. Il governo informò l'ambasciata tedesca a Washington e il console tedesco a Chicago dell'appello presentato da 187 famiglie belghe residenti negli Usa. I diplomatici di Gugliemo II, pur non gradendo l'iniziativa, non si opposero.
Perché fu inviato proprio De Ville, che non conosceva il francese? A nostro parere, perché era uno studioso di prestigio, nato in terra d'Austria e di formazione italiana, già parroco di comunità cattoliche nelle zone carbonifere della Pennsylvania e collaboratore di un belga, padre Julius DeVos, presidente della Catholic Colonization Society di Chicago. Su quella scelta, forse, influì il suo cognome ladino dal suono francese. Un americano, al suo posto, probabilmente non sarebbe stato gradito.

Il 30 agosto 1915, a due mesi dal disastro del «Lusitania», De Ville salpa per Rotterdam da New York. Da più di tre settimane Edith Cavell è rinchiusa nella prigione di St. Gilles. Forse a causa della protezione che gli americani le stanno garantendo, e del guastarsi delle già compromesse relazioni tra Stati Uniti e Germania, la legazione Usa in Olanda non è più in grado di procurare a De Ville un lasciapassare. Lui decide di prendere il treno per Colonia e va a Berlino, a farsi autorizzare dal Ministero degli esteri tedesco. I servizi segreti del Kaiser lo scambiano per l'inviato del «New York Herald» (non del «Chicago Herald»), quotidiano inviso al governo tedesco. Dopo due settimane, e con l'impegno di non portare notizie fuori dal Belgio senza avvertire la censura, De Ville è finalmente autorizzato a recarsi a Bruxelles. Il Belgio gli appare come una grande prigione, la capitale soprattutto. L'Olanda e la libertà sono oltre quei trespoli avvolti dal filo spinato elettrizzato, i micidiali cavalli di Frisia. Nelle Fiandre l'atmosfera è pesantissima. Il cibo è razionato, i camini non fumano. Il Belgio, gran produttore di carbone, è nudo di fronte al mondo. Una tonnellata di carbone vale ormai cifre enormi.
I «diavoli verdi», così i belgi chiamano i soldati tedeschi, vanno in giro a requisire oggetti di zinco e monete di nichel. A fine settembre del 1915, De Ville ottiene un permesso di tre giorni per recarsi nelle Fiandre. Consulta gli indirizzi in suo possesso, rintraccia gli interessati e organizza il rilascio dei permessi d'espatrio. Ma una volta raggiunta l'Aia, scopre che dagli Usa non è ancora giunto l'accredito per l'imbarco e si ritrova con più di quattrocento persone a carico. Nel giro di tre ore ottiene fiducia e risolve il problema.
A Bruxelles, il giorno prima di partire per l'Olanda con il gruppo, De Ville si imbatte nei manifesti che annunciano l'esecuzione di Edith Cavell. I dettagli sul caso gli saranno riferiti al ritorno. La Cavell, volontaria, insegnava in una scuola per infermiere della città. De Ville si informa presso una delle sue allieve, che gli consegna una delle ultime lettere scritte in carcere da Edith. Ma sebbene nel libro se ne annunci la trascrizione, il testo della Cavell non c'è. Da una relazione del ministro americano Brand Whitlock, scritta a guerra finita nel 1919, risulta che molte sue lettere, filtrate dal carcere e in mano tedesca, dovevano ancora essere consegnate ai destinatari. Whitlock afferma di aver dato ai tedeschi la sua parola: una volta consegnate, quelle missive non sarebbero state pubblicate. Forse è questa la ragione dell'omissione nel testo di De Ville.


 
 
Londra. Il Monumento a Edith Cavell,
tra la National Gallery e St. Martin-in-the-Fields
 

La relazione di Whitlock è reperibile in rete:
http://www.firstworldwar.com/source/cavell_whitlock.htm


Dato il successo della prima missione, se ne organizza una seconda con una lista di 1500 nomi, su richiesta di cittadini belgi residenti in vari stati degli Usa e perfino in Canada. Ma il ruolo di De Ville si fa sempre più ingrato anche presso i belgi: come inviato di un paese straniero neutrale, si mantiene in apparenza equidistante ed è accusato talora di essere favorevole all'una o all'altra parte.
In realtà garantisce una fitta corrispondenza tra parenti, anonima e cifrata, dalle Fiandre a Bruxelles. In qualche caso, per ragioni umanitarie, è coperto da una persona nota agli occupanti. Da certe allusioni di De Ville, sembra si tratti del suo interprete Bayer, un ex ufficiale tedesco. Bayer è ritratto seduto accanto a De Ville al centro di una delle foto del libro. Molto anziano - ha combattutto la guerra del 1866 -, ha moglie e figli cittadini belgi.



 
 


Nel febbraio del 1917, poco prima che gli Usa dichiarino guerra alla Germania, il cardinale Désiré Joseph Mercier, arcivescovo di Malines, caposcuola dell'Unione Internazionale di Studi sociali cristiani, affida a padre De Ville, l'«american priest» che sta per dire addio al Belgio, un messaggio per il presidente Woodrow Wilson.
Il presidente riceve De Ville alla Casa Bianca e nel mese di luglio risponde al cardinale Mercier, menzionando con simpatia il latore della lettera. Quando esce il libro la guerra non è ancora finita. Anzi, è scritto nell'ultima pagina, potrebbe durare ancora a lungo. L'autore non ha mai ricordato le proprie origini ladine, né il presente di guerra che interessa le terre da cui è partito nel 1892. Sarebbe stato fuori luogo.
Father Jean de Ville, autore di «Back from Belgium», ha studiato al liceo Prati di Trento ma ormai da tempo è un prete americano dal nome francese: la persona giusta cui affidare, come corrispondente di guerra, una rischiosa missione oltre l'Atlantico, in un paese occupato dai tedeschi, tra le rovine di Lovanio, l'affondamento del Lusitania e il sacrificio di Edith Cavell.













































Un prete
nella Chicago
di Al Capone