DI BELLA: «Le mie ragioni»
Il professore dà fiducia, anche dopo
il fallimento della terapia
di Alessandro Dell'Aira
«DIO, COME S'È INCURVATO», commenta
una voce di donna mentre Di Bella entra nell'Auditorium
e si dirige al tavolo. In sala, a Verla di Giovo,
venerdì sera ci sono almeno quattrocento persone,
ciascuna con le sue ragioni. Il passa parola di
«Viva la Vita», l'Associazione comunale che
organizza l'incontro, ha funzionato. Di Bella,
proprio lui, accompagnato da uno dei figli, è
venuto a incontrare la gente e ad esporre le sue,
di ragioni, ricurvo ma deciso, con la chioma di
neve e il fazzoletto che sporge dal taschino
della giacca scura. Un mazzo di fiori e il saluto
della comunità. In questa sala non ci sono
piante, ha detto chi lo ha presentato. Volevamo
Di Bella di fronte alla gente, e basta.
«Le mie ragioni», non «La mia terapia».
Perché? Per prudenza, forse. Il «caso Di
Bella» è stato ed è molte cose insieme.
Anzitutto, è una voce di speranza contro il male
cosiddetto incurabile. In secondo luogo, è
tuttora materia di indagine per gli antropologi.
In terzo luogo, è stato e potrebbe ancora essere
un tema di confronto, se non di scontro tra
politici. Insomma, è ciascuna delle tre cose e
tutte tre le cose insieme.
A parte il caso, e i commenti sul caso, l'uomo
Luigi Di Bella, fisiologo, catanese d'origine e
trapiantato a Modena, è un ex libero docente
universitario, in pensione dal 1984. Ha
ottantotto anni compiuti e non ha mai preso un
antibiotico. Ha dedicato la vita a sperimentare
una terapia contro il cancro, alternativa alla
chemioterapia. Se c'è bisogno, lavora ancora
diciotto ore al giorno e si cura da sé. È molto
noto in Italia e presso le comunità italiane all'estero,
soprattutto a New York e a Rio de Janeiro. Nel
1997 e nel 1998 il suo trattamento, a base
prevalente di vitamine, somatostatina, retinoidi,
melatonina e bromocriptina, divenne popolarissimo.
Un dosaggio da somministrare con sapienza, ha
detto a Verla Di Bella, che può funzionare come
no. Da cosa dipende il successo? Da tante cose,
ha risposto. E gli insuccessi? Spesso si devono
alla nostra incapacità di guarire un male che
prima o poi sarà sconfitto.
Nel dicembre del 1997 il pretore di Maglie
decretò che si rimborsassero ai genitori di un
piccolo paziente, in seguito deceduto, i farmaci
che Di Bella gli aveva prescritto. In quei mesi
la somatostatina era introvabile e carissima.
Sull'onda della pressione popolare, il piccolo
medico e il ministro della Sanità Rosy Bindi si
diedero un appuntamento sofferto davanti alle
telecamere. Il dibattito ebbe un'audience da
record e qualche caduta di stile. Il ministro s'impegnò
a disporre un controllo sperimentale, con la
collaborazione del medico. Nel frattempo i
sostenitori di Di Bella scendevano in strada e
invocavano libertà di trattamento. Dopo qualche
mese, ed esiti alterni, la medicina ufficiale
giudicò il Multitrattamento Di Bella - Mdb - un'associazione
irrazionale di farmaci, fondata su dati e prove
non attendibili, viste anche le cartelle dell'archivio
di Modena. Nel novembre del 1998 un'ordinanza del
Ministro della Sanità decretò che la terapia
non era efficace.
Spentisi i riflettori, calata la
speranza generale, l'attesa individuale e di
gruppo sull'efficacia del multitrattamento
resiste. L'Associazione dei dibelliani di Trento,
che prima del responso ufficiale aveva finanziato
un libro sul medico e il suo metodo, si sta
riorganizzando e guarda alle consorelle di Arezzo,
Modena, Mantova, Brescia e Mentana. Lo stesso Di
Bella non ha mai smesso di incontrare la gente.
Anche solo per sentire le ragioni dolorose degli
altri e rispondere con le proprie, per scambiare
parole di conforto. Per dire, ad esempio, che la
tendenza a generalizzare è espressione di
ignoranza. Anche senza parlare di somatostatina -
mai nominata a Verla di Giovo, ci abbiamo fatto
caso, né da lui né dal pubblico.
Una
ragione ci sarà stata. O forse due: la prudenza
e la speranza, un atteggiamento e un sentimento
molto difficili da conciliare. I più anziani,
nati nella prima metà del secolo scorso,
certamente ricordano i nomi di Aldo Vieri e di
Liborio Bonifacio, il veterinario di Agropoli che
non aveva mai visto una capra ammalata di cancro
e partendo da quella constatazione aveva
brevettato un farmaco contro il cancro dell'uomo.
Anche allora vi furono levate di scudi dei
parenti, cedimenti dei ministri, polemiche con
accademici e lobbies. Allora i media erano meno
potenti di oggi, la new age era di là da venire
e c'era più consenso sociale per la medicina
costituita. Ora la situazione è diversa, i media
sono una cassa di risonanza che può far bene
come può far male alla ricerca in atto. Nel
frattempo, come sempre, una buona dose di
prudenza non guasta. Con tutto il rispetto per la
ricerca, e con più rispetto ancora per le attese
della gente e per la speranza di vita.
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