SCIENZA  
domenica 21 gennaio 2001, S. Agnese
   
DI BELLA: «Le mie ragioni»


Il professore dà fiducia, anche dopo
il fallimento della terapia




di Alessandro Dell'Aira








«DIO, COME S'È INCURVATO»,
commenta una voce di donna mentre Di Bella entra nell'Auditorium e si dirige al tavolo. In sala, a Verla di Giovo, venerdì sera ci sono almeno quattrocento persone, ciascuna con le sue ragioni. Il passa parola di «Viva la Vita», l'Associazione comunale che organizza l'incontro, ha funzionato. Di Bella, proprio lui, accompagnato da uno dei figli, è venuto a incontrare la gente e ad esporre le sue, di ragioni, ricurvo ma deciso, con la chioma di neve e il fazzoletto che sporge dal taschino della giacca scura. Un mazzo di fiori e il saluto della comunità. In questa sala non ci sono piante, ha detto chi lo ha presentato. Volevamo Di Bella di fronte alla gente, e basta.

«Le mie ragioni», non «La mia terapia». Perché? Per prudenza, forse. Il «caso Di Bella» è stato ed è molte cose insieme. Anzitutto, è una voce di speranza contro il male cosiddetto incurabile. In secondo luogo, è tuttora materia di indagine per gli antropologi. In terzo luogo, è stato e potrebbe ancora essere un tema di confronto, se non di scontro tra politici. Insomma, è ciascuna delle tre cose e tutte tre le cose insieme.
A parte il caso, e i commenti sul caso, l'uomo Luigi Di Bella, fisiologo, catanese d'origine e trapiantato a Modena, è un ex libero docente universitario, in pensione dal 1984. Ha ottantotto anni compiuti e non ha mai preso un antibiotico. Ha dedicato la vita a sperimentare una terapia contro il cancro, alternativa alla chemioterapia. Se c'è bisogno, lavora ancora diciotto ore al giorno e si cura da sé. È molto noto in Italia e presso le comunità italiane all'estero, soprattutto a New York e a Rio de Janeiro. Nel 1997 e nel 1998 il suo trattamento, a base prevalente di vitamine, somatostatina, retinoidi, melatonina e bromocriptina, divenne popolarissimo. Un dosaggio da somministrare con sapienza, ha detto a Verla Di Bella, che può funzionare come no. Da cosa dipende il successo? Da tante cose, ha risposto. E gli insuccessi? Spesso si devono alla nostra incapacità di guarire un male che prima o poi sarà sconfitto.

Nel dicembre del 1997 il pretore di Maglie decretò che si rimborsassero ai genitori di un piccolo paziente, in seguito deceduto, i farmaci che Di Bella gli aveva prescritto. In quei mesi la somatostatina era introvabile e carissima. Sull'onda della pressione popolare, il piccolo medico e il ministro della Sanità Rosy Bindi si diedero un appuntamento sofferto davanti alle telecamere. Il dibattito ebbe un'audience da record e qualche caduta di stile. Il ministro s'impegnò a disporre un controllo sperimentale, con la collaborazione del medico. Nel frattempo i sostenitori di Di Bella scendevano in strada e invocavano libertà di trattamento. Dopo qualche mese, ed esiti alterni, la medicina ufficiale giudicò il Multitrattamento Di Bella - Mdb - un'associazione irrazionale di farmaci, fondata su dati e prove non attendibili, viste anche le cartelle dell'archivio di Modena. Nel novembre del 1998 un'ordinanza del Ministro della Sanità decretò che la terapia non era efficace.

Spentisi i riflettori, calata la speranza generale, l'attesa individuale e di gruppo sull'efficacia del multitrattamento resiste. L'Associazione dei dibelliani di Trento, che prima del responso ufficiale aveva finanziato un libro sul medico e il suo metodo, si sta riorganizzando e guarda alle consorelle di Arezzo, Modena, Mantova, Brescia e Mentana. Lo stesso Di Bella non ha mai smesso di incontrare la gente. Anche solo per sentire le ragioni dolorose degli altri e rispondere con le proprie, per scambiare parole di conforto. Per dire, ad esempio, che la tendenza a generalizzare è espressione di ignoranza. Anche senza parlare di somatostatina - mai nominata a Verla di Giovo, ci abbiamo fatto caso, né da lui né dal pubblico.

Una ragione ci sarà stata. O forse due: la prudenza e la speranza, un atteggiamento e un sentimento molto difficili da conciliare. I più anziani, nati nella prima metà del secolo scorso, certamente ricordano i nomi di Aldo Vieri e di Liborio Bonifacio, il veterinario di Agropoli che non aveva mai visto una capra ammalata di cancro e partendo da quella constatazione aveva brevettato un farmaco contro il cancro dell'uomo. Anche allora vi furono levate di scudi dei parenti, cedimenti dei ministri, polemiche con accademici e lobbies. Allora i media erano meno potenti di oggi, la new age era di là da venire e c'era più consenso sociale per la medicina costituita. Ora la situazione è diversa, i media sono una cassa di risonanza che può far bene come può far male alla ricerca in atto. Nel frattempo, come sempre, una buona dose di prudenza non guasta. Con tutto il rispetto per la ricerca, e con più rispetto ancora per le attese della gente e per la speranza di vita.