domenica 28 gennaio 2001, S. Tommaso d'Aquino
   


I
l nostro modello
per la pace


Dellai e Durnwalder: la chiave
è l'autonomia, come da noi



Convegno «Organizzare la convivenza. L'esperienza
del Trentino Alto-Adige e le prospettive per i Balcani»
Trento, 27 e 28 gennaio 2001


Alessandro Dell'Aira







Gianni Bonvicini, presidente dell'Istituto Trentino di Cultura,
e Margherita Cogo, presidente della Regione Trentino Alto-Adige


TRENTO. Si è chiuso ieri sera a Trento il convegno «Organizzare la convivenza. L'esperienza del Trentino Alto-Adige e le prospettive per i Balcani». Una due giorni utile e importante, non solo come mercato delle opinioni ma soprattutto come laboratorio della politica. Nella sessione della mattina, presieduta dal rettore dell'Università di Trento Egidi, il caso Trentino Alto-Adige è stato esaminato anche dal sociologo Antonio Chiesi. La progressiva riduzione delle disuguaglianze economiche, ha detto Chiesi, ha creato un welfare individuale e collettivo che ha anticipato la stagione italiana del benessere.


Altri fattori di coesione hanno sostenuto e vagliato il quadro strutturale: le regole e la cultura della convivenza, e soprattutto le buone relazioni quotidiane interpersonali.
Ma la parte forse più interessante del convegno si è avuta nel pomeriggio, con la tavola rotonda coordinata da Gianni Bonvicini, presidente dell'Istituto Trentino di Cultura, esperto di politica internazionale, anche direttore dell'Istituto Affari Internazionali di Roma. La sua opinione è che le due province di Trento e Bolzano possano e debbano puntare molto sui rapporti con l'estero, e sul lavoro in rete con gli istituti e gli organismi internazionali. Un chiaro segnale di apprezzamento è venuto dalla partecipazione alla tavola rotonda del sottosegretario agli Esteri, Umberto Ranieri, delegato per l'Europa e i Balcani, che contrario all'ipotesi di una moltiplicazione di stati su base etnica, ha rimarcato un elemento di novità: il ruolo forte dell'Europa sullo scenario balcanico, come ancoraggio di una situazione fluida, di avvicinamento economico e commerciale all'Unione, che richiede una gradualità di interventi. Il sottosegretario ha confermato l'attenzione con cui, dalla Georgia al Kosovo, si guarda all'esperienza positiva della nostra regione, nella fase in cui nascono i primi accordi bilaterali tra nuovi stati sovrani.

Poi la parola è passata a chi l'autonomia trentina la governa. A Durnwalder e a Dellai. «La nostra autonomia - ha detto quest'ultimo - si caratterizza in modo particolare proprio per il quadro e il respiro internazionale dalla quale è nata ed è inscindibilmente inserita. Credo che dobbiamo essere orgogliosi di quanto fatto ed offrire la nostra esperienza senza presunzione, ma con umiltà alla riflessione internazionale». Luis Durnwalder, con molto pragmatismo, ha presentato una sorta di decalogo per la tutela delle minoranze. Come dire: da qui siamo partiti noi. Ed ha ricordato l'importanza della lingua, della scuola, cultura informazione, contatti internazionali, partecipazione alla pubblica amministrazione, economia, sviluppo naturale, riconoscimento dello Stato e dell'Europa. Insomma per Dellai e Durnwalder il modello è davvero qui, in Trentino Alto Adige.

E sembrava proprio parlasse di loro, il politologo Sergio Fabbrini, quando ha legittimato la «retorica consapevole» del politico, orgoglioso ciascuno del proprio modello, e ha riconosciuto la delicatezza del ruolo delle élites nel governo delle autonomie.

Tra i politici dei Balcani presenti alla tavola rotonda, il più sensibile a questa riflessione è stato Kiro Gligorov, ex presidente della Macedonia, che ha saputo evitare il coinvolgimento del suo paese nella tragedia dei Balcani. Ed è proprio in Macedonia, a Skopje, che il discorso iniziato nella sala di rappresentanza della regione Trentino Alto-Adige potrebbe continuare.

Anche il Dalai Lama, ha detto d'altra parte Durnwalder, guarda all'Alto Adige. Gli sembra una buona formula per un Tibet cinese, ma autonomo. Lo stesso Fabbrini, del resto, ha richiamato l'ambiguità del principio di autodeterminazione, così come è stato enunciato da Woodrow Wilson. Per usare le parole di Fabbrini, l'auspicio è che anche nei Balcani il metodo si trasferisca senza traumi nel modello, in una concezione dinamica del processo. Quello che si dice un «ever ended process». Un processo senza fine, o per essere esatti, un processo che non è mai finito.