Anche
Madruzzo
tra i mostri
del parco di Bomarzo
L'artefice.
Il principe Vicino Orsini lo realizzò in
gara con Caprarola e Soriano
Nel 1940, poco prima
che l'Italia entrasse in guerra, il
signor Maurizio Maraviglia - dal cognome
gentile e un po' ingombrante - acquistò
dai Borghese una certa estensione di
terreno agricolo fra Orte e Viterbo, con
un bel po' di macigni che rendevano ardua
la semina e la coltivazione. Gli eventi
che seguirono tolsero altro valore a
quelle terre, tanto che un giorno il
signor Maraviglia decise di disfarsene.
Si fece avanti una coppia di paesani che
si svenarono volentieri per l'affare,
innamorati come tortore l'uno dell'altra
e invaghiti del luogo. In verità non era
solo romanticismo: di lì a quattro anni
la principessa Margaret in persona si
scomodò d'oltre Manica per venire a
Bomarzo dai signori Bettini, a inaugurare
"Il Parco dei Mostri". Era il
1958. Tony Blair e Cherie Booth erano
ancora felici all'asilo, da qualche parte.
di Alessandro
Dell'Aira
Magie di Bomarzo.
Incantesimi tra arte e letteratura,
direbbe Calvesi. La magia più ardita è
una casetta fortemente sbilanciata che
opprime un arco mascherato da passerella.
Sulla facciata opposta, sotto il sole che
sorge ogni giorno e alla fine tramonta
sul parco e sul resto del mondo, dentro
un cartiglio si legge: "Crist[ophoro]
Madrutio, Principi Tridentino, Dicatum".
Una dedica al primo dei quattro principi
tridentini, successore del Clesio,
trasferitosi a Roma dopo quasi due anni
di governatorato milanese, vescovo di
Trento fino al 1567, ideatore di castelli
e ville - tra cui le Albere di Trento e
il castello di Nanno -, morto a Tivoli a
Villa d'Este nel 1578 e sepolto a Roma
nella chiesa di Sant'Onofrio. Una seconda
scritta bilancia la prima, sulla stessa
facciata della casetta: "Quiescendo
Animus Fit Prudentior Ergo". Libera
traduzione: "L'animo, riposando,
diventa migliore, e allora...". E'
un invito svagato a sedersi sul sedile
basso che gira intorno alla casetta,
coerentemente sbilenco e mezzo affondato
nel terreno. Per nulla banale, il
messaggio: fa il verso ad Aristotele. Fra
le tante iscrizioni del parco, le due
sole frasi in latino sono qui, sulla casa
storta, forse perché da questo piano una
volta si entrava nel sacro bosco ai piedi
dell'abitato di Bomarzo, che crebbe un
pezzo alla volta, in quattro fasi che
inglobano il concilio di Trento
pressoché per intero: dal 1547 in poi,
fino al 1580. |
Una
delle statue del parco tra le
tante di animali mitici,
raffigurante il drago. Sotto, la
casa pendente che riporta la
scritta dedicata al principe
vescovo Madruzzo
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La
scritta scolpita all'entrata del
parco tra Orte e Viterbo recita
"Crist(ophoro) Madrutio,
Principi Tridentino, Dicatum"
in carica fino al 1567 per poi
trasferirsi a Tivoli, dove morì
nel 1578 a Villa d'Este
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Un
parco nato, o quasi, "sol per sfogare il
core", come ha lasciato scritto, un po'
oltre le due iscrizioni latine, il principe Pier
Francesco Orsini, detto Vicino, l'artefice. Il
principe Orsini è l'umanista del "bosco",
buon amico di papi e imperatori, in concorrenza
spietata, umanisticamente parlando, con altri due
mecenati, cardinali e proprietari di parchi fuori
dell'ordinario, anche se non meravigliosi come il
suo: quello di Caprarola di Alessandro Farnese, e
l'altro di Soriano nel Cimino, acquistato a buon
prezzo dal Madruzzo nel 1561.
Quell'impudente di Orsini
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Con la solita impudenza di maniera, Vicino Orsini
paragonava Caprarola e il suo vino alla Domus
Aurea di Nerone, e Soriano, con la fonte Papacqua,
all'antidoto di Caprarola. I prodotti del
viterbese, per i tre amici in villa lontani da
Roma, erano gustosi quanto le lattughe di Spalato
dei giardini di Diocleziano, o per l'Ariosto le
rape del piccolo orto di Ferrara. Il "bosco",
circo di pietra e di muschio che invecchia con
Vicino e si complica con il dispiegarsi della sua
vicenda mondana, è davvero meraviglioso e
incantato. Romantico in apparenza, come le
antichità riscoperte e interpretate da chi non
sa, si va rivelando grazie alle fonti d'epoca,
come un negativo in camera oscura. La ribollente
fantasia di Vicino, il genio - si dice - di Pirro
Logorio e del Vignola, l'esperienza degli
scalpellini locali, probabilmente attivi in tutte
e tre i luoghi ricordati, nel giro degli anni
modellarono i massi e i mascheroni ispirandosi
alla mitologia classica, ma anche a ciò che si
sapeva a Roma del Nuovo Mondo e dell'arte azteca.
Bettini parla delle "sue" statue
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Prima di Maurizio Calvesi, che ha pubblicato nel
2000 una lettura interdisciplinare del parco di
Bomarzo, il luogo è stato studiato a fondo da
Horst Bredekamp, docente di storia dell'arte dell'università
di Amburgo, e splendidamente illustrato dalle
immagini fotografiche di Wolfram Janzer, in
bianco e nero e a colori. Questi due libri sono
un buon viatico per capire Bomarzo. Anche se il
modo migliore per rendersi conto di cosa si
tratta è visitare il luogo. E alla fine, magari,
scambiare due parole con l'attuale proprietario:
Paolo Bettini, figlio di Giovanni. Due lapidi del
1997, nel pronao del tempietto che domina la
collina più alta, ricordano i suoi genitori come
persone benemerite del luogo e anche dell'arte,
visto il totale disinteresse durato quattro
secoli. Paolo Bettini parla volentieri delle
"sue" statue: Proserpina, Persefone, la
Sirena, Nettuno, l'Amazzone, l'Elefante, la
Testuggine, l'Orca, la Bocca dell'Inferno, le
pigne e le ghiande giganti (alcune disperse nel
territorio fino a poco tempo fa). Il piccolo
museo è quasi ultimato: raccoglie oggetti d'epoca
trovati nel parco e varie testimonianze sulla sua
rinascita, nella migliore tradizione inglese dell'antica
Society of Dilettanti, o dell'instancabile
Athanasius Kircher. Nel frattempo, all'esterno,
in una gabbia doppio-volume del parco giochi per
bambini e turisti in merenda, una tortora cova le
sue uova invisibili mentre al piano di sotto una
faraona ne ha scodellate tre in un cestino. Magia
di questo parco dedicato anche al Madruzzo,
incanto della casa pendente e dei giganti di
pietra che divertono i passanti di tutte le età
ed entusiasmano i critici, anche quelli da
viaggio. A ciascuno il suo.
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