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Pollice verde
a Lavis

Il giardino dei Ciuciòi, una storia napoleonica
La storia. Le vicende di una «fortezza» alberata


Il Comune di Lavis ha, finalmente, comprato il giardino dei Ciuciòi. Eccone una breve rievocazione storica.

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di Alessandro Dell'Aira


Due mesi dopo la battaglia, i francesi sgombrarono Lavis. Il sangue e le violenze avevano tolto il fiato alla gente. Il 5 settembre Bonaparte era salito in cima al campanile di Gardolo per misurare a occhio le distanze. Sapeva già che all'imbrunire, al riparo di quel fronte di case sul torrente, gli austriaci si sarebbero accaniti a fucilate, e anche peggio, contro le sue truppe che dovevano passare, assolutamente. Alcuni assaltarono il ponte, una colonna guadò l'Avisio ai Vodi. I cannoni risposero ai cannoni. Napoleone avrebbe voluto incendiare tutto, ma si lasciò commuovere da Francesco Filos. I soldati saccheggiarono l'abitato. Uno di loro, quarantacinque anni dopo, espiò per corrispondenza la razzia di un candelabro d'argento con la bellezza di cento fiorini inviati al parroco della chiesa spogliata. Nella reggia di Versailles c'è un quadro del torinese Giuseppe Pietro Bagetti, capitano ingegnere-topografo al seguito dell'Armata d'Italia, dove le case e l'altura del Bristol fumano ancora.

Il 9 novembre 1796, a Lavis, Caterina Brugnara, moglie di un benestante del luogo proprietario di vari edifici e di una casa detta del Ciuciol, diede alla luce un bambino che si chiamò come il padre, Tomaso Bortolotti, venuto al mondo la notte stessa dello sgombero dei francesi, come attesta un registro della parrocchia. Questo commento a margine del nome e cognome del neonato finì per entrare nel suo destino. Da lì a poco i francesi tornarono, per andarsene subito dopo e ripresentarsi nel 1809, quando il paese fu sconvolto da un altro scontro campale. Trecento morti, sessanta insorti tirolesi passati per le armi. Un luogotenente di Andreas Hofer accusò gli invasori di pura barbarie.

Al tredicenne Bortolotti Tomaso, nato quando era nato, vale a dire la storica notte in cui l'armata di Bonaparte aveva tolto le tende, il ritorno dei francesi a Lavis dovette pesare come un incubo. Una cappa di tristezza nera schiaritasi con la fine del Congresso di Vienna, e fattasi grigia, senza svanire del tutto, con l'annuncio della morte di quel terribile ometto senza cuore, confinato su un'isola senza alberi e piena di vento. Era quello che l'imperatore si meritava, per il male che aveva fatto a Lavis, per aver detto a Francesco Filos: «E voi, chi siete?», e per quello che poteva succedere se avesse ordinato, come minacciava, di fare del paese una fornace.

Il brutto incendio di via Molini fu un'altra batosta, per tutti. Era il 1825. Il giovane Bortolotti dovette pensare che lo spettro di Bonaparte stesse godendosi lo spettacolo a Spini di Gardolo. Si gettò tra le fiamme con furia, si tirò dietro un bel po' di gente, spense l'incendio e si meritò un diploma di coraggio. Quell'encomio, nel 1830, gli valse la nomina a primo cittadino di Lavis, sommato al dettaglio non da poco che in contrada Bristol, a spese sue e per motivi suoi, stava architettando un giardino turrito che neppure Murat avrebbe mai potuto espugnare.

Il figlio di Brugnara Caterina resse la carica fino al 1832, con in testa le terrazze, i merli e le torri del Bristol, perché ciascuno ha il suo chiodo: c'è chi ruba candelieri e si pente in punto di morte, c'è chi pianta alberi e mette una pietra sull'altra e non desiste. Una torre oggi, una domani, una dopodomani. Alberi, piante, verde a mai finire, di tutte le specie: agrumi, palme, magnolie, nespoli del Giappone (dove l'ometto di Ajaccio non era mai giunto), e in cima alla collina i cipressi, che non guastavano. Archi, serre, facciate finte, gallerie, grotte, loggiati pensili: una nuova, aurea Lavis, costatagli un patrimonio, sessantamila fiorini, qualcosa come seicento candelieri d'argento messi in fila lungo l'Avisio, e almeno trent'anni di lavoro. I principi che passavano sullo stradone si chiedevano di chi fosse quel giardino delle meraviglie. È il giardino dei Ciuciòi, rispondeva la gente di Lavis. Il giardino del signor Bortolotti, spazzato via come una foglia da una folata d'aria di quelle che neppure Napoleone a Sant'Elena. Nell'aprile del 1872, Bortolotti Tomaso, senza eredi e vestito di nero come usava da anni, precipitò da una scala a pioli mentre armeggiava intorno alla finestra spalancata di una serra, che lo attendeva al varco, e ci restò secco.

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Della sfida tra il signor Bortolotti Tomaso e lo spettro di Napoleone Bonaparte, oggi non resta molto di palpabile. Quattro ruderi. Il Comune di Lavis, finalmente, ha comprato il Giardino dei Ciuciòi.



 

Questa breve rievocazione è ispirata alle notizie storiche e ambientali raccolte da Luigi Sette, Antonio Zieger, Albino Casetti e Giovanni Gozzer. Quanto alle autentiche ragioni che indussero Tomaso Bortolotti a rovinarsi per costruire la fortezza-giardino dei Ciuciòi, sarà molto difficile recuperarle.

 

Il giardino dei Ciuciòi a Lavis