Immagini.
Un fotografo simbolo
Un ciak sul
Che
L'icona
rivoluzionaria di Korda
di Alessandro
Dell'Aira
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ALBERTO DÍAZ GUTIÉRREZ detto Korda,
settantadue anni, è morto di infarto
qualche giorno fa a Parigi. Il famoso
ritratto del comandante, con la stella al
centro del basco, la chioma folta e lo
sguardo che vive, è roba sua. Persona
amabile, Korda andava in bestia solo
quando lo chiamavano "il paparazzo
di Fidel e del Che", e non senza
ragione, dato che nessuno al mondo gli ha
mai riconosciuto un centesimo dei diritti
che gli spettavano per tutti i poster,
gli adesivi, le magliette e le copertine
della rivoluzione circolanti sul mercato.
Era il 5 marzo del 1960, una nave
francese all'Avana era saltata in aria
per un sabotaggio. Centotrentasei morti.
Alberto Díaz Gutiérrez, titolare di un
negozio dell'Avana, battezzato Studio
Korda perchè quel nome faceva venire in
mente le pellicole Kodak, si accorse di
avere il dottor Ernesto Guevara, detto
Che, a portata d'obiettivo. Lo inquadrò,
prima in verticale, poi in orizzontale,
negativi 39 e 40. Dalla seconda
inquadratura, un primo piano americano
che raramente si è visto come lo vide
lui nel mirino della sua macchina, e
cioè per intero, è nata l'icona del
Sessantotto.
L'essenziale è invisibile agli occhi.
Alberto Korda amava citare questa frase
dal Piccolo Principe di Saint-Exupéry.
Quel 5 marzo famoso aveva in mano una
Laika e doveva catturare qualche ritratto
di personaggi in tribuna per il giornale
Revolución. Non era ancora molto
conosciuto, Korda. L'anno prima era
andato in Venezuela con la delegazione di
Fidel, ma niente di speciale. A un certo
punto vide Ernesto Guevara alzarsi dal
suo posto un po' defilato e venirgli
casualmente incontro. Fu colpito dal suo
sguardo essenziale. Il dottor Guevara era
anche lui un bravo fotografo e sapeva
gestire bene il mito della propria
immagine. Korda portò le sue foto al
giornale, ma nessuno pensò di pubblicare
quella. Poi, sul fare dell'estate del
1967, quattro mesi prima che il Che
venisse ucciso in Bolivia - questo almeno
ha dichiarato l'anno scorso Alberto Korda
a un settimanale cubano -, si presentò
nel suo studio dell'Avana un editore
europeo, un certo Giangiacomo Feltrinelli,
italiano, inviatogli da Hayde Santamaría,
direttrice della Casa de las Américas.
Lo straniero si presentò come un
ammiratore del Che, e chiese a Korda se
aveva una sua foto da mostrargli. Korda
gli indicò quella che aveva scattato
sette anni prima. Nessuno l'ha mai vista,
gli disse. Feltrinelli ne chiese due
copie, disposto a pagarle, ma Korda
gliele regalò.
Questa è la storia della fotografia di
un comandante con lo sguardo che vive.
Una foto essenziale, che fu resa visibile
agli occhi del mondo per esorcizzare l'immagine
di un corpo inerte dagli occhi di vetro,
diffusa dai boliviani. Da Milano, la
stessa immagine si diffuse in Europa, in
un lampo. Coincidenze? Chissà. Lo stesso
Korda ha dichiarato di non saperne
parlare. Una scelta politica, ma anche un'operazione
commerciale, di cui nessuno, né in
patria né fuori, si ricordò di
riconoscergli i diritti d'autore. Alberto
Korda si paragonava a García Márquez,
prigioniero del mito dei Cent'anni di
solitudine. Era diventato famoso anche
lui, anche se non come García Márquez.
La sua fama di fotografo del Che si era
diffusa e lo aveva portato a visitare
molte capitali mondiali con le sue
immagini d'arte, fino all'ultima
personale di Parigi. Sempre dietro alle
mostre di fotografia e agli incontri
pubblici, ma dietro anche a quell'immagine
di uomo-simbolo, che aveva rubato al caso
e di cui si era casualmente disfatto. Un'immagine
mitica, di cui Korda si sentiva un po'
prigioniero, e di cui gli era quasi
venuto il desiderio impossibile di
riappropriarsi, soprattutto quando la
ritrovava su oggetti che non gli
garbavano come supporti del mito: le
bottigliette di profumo, le scatole di
fiammiferi, o certe confezioni alimentari
poco essenziali, anzi per nulla
essenziali e così visibili agli occhi.
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