Rossi,
scacchi
trentini |
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Storia di un
tipografo che in pieno 600
«cambiò» le regole di un gioco
La storia. Nuove tracce da un antico
manuale |
di Alessandro Dell'Aira
GIOVANNI DE' ROSSI DA TRENTO. Di lui non
si sa quasi nulla, ma gli storici dell'arte
tipografica associano il suo nome al ponderoso
manuale scritto dall'abate siciliano Pietro
Carrera da Militello, e stampato nel 1617: "Il
Gioco de gli Scacchi, diviso in otto libri".
Il tipografo era lui, Giovanni de' Rossi. Sul
frontespizio, una scacchiera vuota. Sul verso del
titolo, lo stemma nobiliare del signore del luogo,
Francesco Branciforte, grande di Spagna, principe
di Pietraperzia e marchese di Militello. Un'altra
scacchiera vuota, a ottanta case, campeggia su
una delle ultime pagine dispari del volume. Sul
mercato antiquario, il valore odierno del "Gioco
de gli Scacchi" supera i trenta milioni di
lire.
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Rocco, Centauro, Cavallo, Alfino, Donna, Re, e
dopo il Re, Alfino, Cavallo, Campione, Rocco.
Così si contempla ai margini della scacchiera
deserta a pagina 531. Se il Rocco è una Torre, l'Alfino
è un Alfiere. Il Centauro e il Campione (in
disuso) si fronteggiano sui due schieramenti tra
Rocco e Cavallo. Giovanni de' Rossi era sceso in
campo a Militello proprio in quell'anno, il 1617."Il
Gioco de gli Scacchi" e l'abate Carrera
sembravano aspettare lui per la prima mossa.
Occorreva un tipografo impeccabile. Quel libro
intendeva diffondere "i precetti, le uscite,
e i tratti posticci del gioco", con un
preambolo sulla sua autentica origine,"cavata
dalle tenebre dell'antichità".
Il principe Branciforte, dopo aver bazzicato la
corte madrilena di Filippo III, era tornato nel
suo feudo ai piedi dell'Etna. Cultore di
filosofia, appassionato di libri (ne raccolse
più di dodicimila), era esperto di ritratti e di
codici. Mandava in giro i suoi agenti per fiere
ad acquistare i pezzi più preziosi. Costruì il
nuovo acquedotto di Militello, ma il suo cuore
pulsava per l'arte di Gutenberg, e fu così che
fondò una stamperia, affidandola a un gruppo di
artigiani fatti venire dal Veneto e guidati dal
trentino Giovanni de' Rossi. Lo racconta un
cronista del tempo, Filippo Caruso, da cui
apprendiamo pure della gran fama di teorico degli
scacchi riconosciuta all'abate Carrera, il quale
si recava spesso da Militello a Palermo e a
Napoli, per aggiornarsi e confutare le teorie dei
rivali, come fece poi per iscritto sotto il falso
nome di Valentino Vespaio.
Alla morte del principe, nel 1622, la vedova
Branciforte, Giovanna d'Austria, vendette la
bottega per centodieci onze al libraio Francesco
Petronio. Giovanni de' Rossi, che continuava a
dirigere il gruppo dei tipografi, divenne socio
del nuovo proprietario. Lo deduciamo dal fatto
che i nomi degli stampatori Petronio e de' Rossi,
sul frontespizio di una pubblicazione minore dell'abate
Carrera, sono associati alla data 1622, mentre
nell'ultima pagina, accanto al luogo di stampa (Militello),
compare la scritta latina:"Typis Jo. Rossi,
1623". Negli anni seguenti la stamperia è
attiva a Catania, con i sussidi del Senato etneo:
la scomparsa del mecenate, evidentemente, aveva
indotto i soci a mettere radici nella vicina
città, in cerca di affari sicuri.
Nella celebre sfida di Baguio, nelle Filippine,
finale mondiale di scacchi dell'agosto 1978,
Karpov sconfigge Korcnoj grazie a una serie di
mosse elaborate da Pietro Carrera: la famosa
"difesa siciliana", una strategia che
consente al nero di occupare posizioni solide al
centro della scacchiera. Karpov ebbe ragione di
Korcnoj anche nel 1981, a Merano. Parte del
merito di Karpov spetta dunque non solo a Carrera,
ma a Giovanni de' Rossi, di cui gli studiosi
trentini cercano in patria tracce anche più
esili di quelle rinvenute a Militello e a Catania.
Perchè il de' Rossi avesse deciso di trasferirsi
in Sicilia, non si sa. C'è chi sostiene che la
sua strada, partita dal Veneto, sia passata per
Roma. È quasi certo per che ad attirare il
trentino alla piccola corte polverosa di un ex
grande di Spagna sia stata la proposta di
dedicarsi a un corposo manuale di scacchi.
Impresa ardua, per una stamperia aperta da poco.
Ma non in quel caso, perché le forze in gioco
erano possenti: un mecenate generoso, un autore
brillante e un artigiano di solide basi
professionali.
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