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Metti lo zampino
di Carducci
fra Trento e Bolgheri
Scoperte. L'idea del gemellaggio
ispirata alla lettera del poeta

 
     
 


Il celebre viale alberato di Bolgheri
e la lettera scritta da Carducci a Pranzelores
(a sinistra, fra i genitori)


di
Alessandro Dell'Aira


«Bolgheri, Bulgari castrum, castello antichissimo, in possesso della più antica e gloriosa prosapia longobardo-toscana. Fu veramente chiamato così fino al 23 gennaio 1158 (prima era detto Sala del duca Allonte). Se fosse vero è senza esitanza dimostrato che Bolgheri trasse il nome dal giuresconsulto Bulgaro, sarebbe un lustro di più per questo antichissimo castello». Giosuè Carducci, vate ufficiale d'Italia, filologo insigne, premio Nobel in pectore, maestro di Pascoli il socialista che sta per succedergli sulla cattedra di letteratura italiana nell'università felsinea, il 9 marzo 1906 è intento a rispondere da Bologna a una lettera del signor Antonio Pranzelores di Trento, studente universitario fuori corso. Di lui non sa quasi nulla. Antonio Pranzelores, curioso della sua città, studioso di Nicolò d'Arco, amico di Cesare Battisti, laico irriducibile, è il nipote di un calzolaio di via del Suffragio che ha lasciato al figlio Giuseppe una bottega avviata in via Lunga, evolutasi in fiorente negozio di calzature. Le cantine di quel negozio, nell'attuale via Manci, ospitano molti consessi di poeti famosi, fra cui Berto Barbarani e Antonio Salustri, più noto come Trilussa.
Bolgheri, Bulgari castrum. Se fosse vero. Il ventiseienne Pranzelores ha chiesto aiuto al mostro sacro, al filologo più che al Vate ufficiale. E il mostro sacro, paziente e compiaciuto, ora risponde a quel giovane curioso, lieto di apprendere che in terra irredenta c'è qualcosa di affine al castello antichissimo a lui caro.


«Abita in Bolghera». Questa frase, un tempo pronunciata con sufficienza dai censiti del centro, designava chi risiedeva in una località «fuori porta»: il Bolgher. Da cui via Bolghera, registra Antonio Pranzelores in «Trento nei nomi delle sue strade», sulle orme di Lamberto Cesarini Sforza, a più di vent'anni da quel prezioso appunto giuntogli da Bologna. Per amore di precisione, l'autore aggiunge che si tratta di una contrada a sinistra della Fèrsina e a monte del ponte di corso Tre Novembre (i tempi cambiano, e pure gli spazi, e i simboli di stato: nel sito web dell'ITAS,
http://www.trentinovolley.it, il 6 ottobre 2000, trionfalmente si annuncia: «È giunto questa notte in auto da Budapest il primo campione olimpico della società trentina; Djula Mester, che abiterà in Bolghera, nel quartiere residenziale nei pressi dell'ospedale S. Chiara»).


Nel medioevo, i Bulgari passavano tutti per eretici, sodomiti, usurai, portatori di manicheismo, gente di cattive strade e cattive contrade, pataccari. Buggerare viene da Bulgarus. A Pranzelores, così, rispolverare quell'imbeccata carducciana torna due volte utile. Filologicamente parlando «sarebbe forse il caso di aggiungere la vocale i come in Toscana a questo nome di aspetto piuttosto rude» (viene in mente il ribrezzo del Giusti, che a Milano entra nella chiesa di Sant'Ambrogio tenendo per la manina il figlio del Manzoni, e si ritrova in mezzo a una marmaglia di militari settentrionali boemi e croati, e forse bulgari). Per altro verso, che possiamo solo arguire, sarebbe un salto di qualità: qualcuno a Trento mormora che le vie Bolghera e Mantovana si chiamino così, a ricordo di due comari allegre che tenevano casa, e bottega, al di là delle mura merlate e della Fèrsina, che ai tempi del pincipe vescovo Clesio scorreva all'altezza di piazza di Fiera.
Bulgaro, Bolgher, Bolghera, Bolgheri. C'è forse materia per un gemellaggio fra il parco dei cipressi alti e schietti e un quartiere di Trento, città sul punto di farsi più grande proprio come Pranzelores voleva, con un progetto di ferrovia interrata e l'espansione vesso il Doss. Potenza augurale della filologia e della toponomastica. Con una sola riserva, tassativa: niente buggerate, più alberi e meno quartieri.

 
 
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