I LIBRI, VITA DI
PIU'
"Francesca
e Isabella, piacevoli ricordi
madrileni"
Incontri. Almudena Grandes, la dolcezza
allegra, la Neri e...
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Francesca Neri
Almudena Grandes
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di Alessandro
Dell'Aira
Nel
suo italiano fluido e caldo, corposo,
venato di Spagna e di nicotina, Almudena
Grandes dice una verità di getto: i
libri sono vita di più. Una perla che le
ruberanno. E' dolcemente allegra, parla
come pensa, perciò siamo certi che
scriva di gusto e a occhi aperti. Cos'è
per lei la scrittura? Un lavoro, un
piacere? Se scrive per i giornali si
tortura da sola: sto scrivendo quello che
voglio, o ciò che la gente vuole sapere?
Se scrive per sé, si interroga in modo
più pacato e si sente a suo agio, allo
specchio. O meglio, si diverte a bucare
lo specchio. Ama moltissimo leggere, da
sempre. Da lettrice bambina a scrittrice
di classe, un salto che provano in molti
e riesce a pochi. Almudena è stata uno
degli eventi del Festivaletteratura di
Mantova. Era qui per il suo ultimo libro,
un sistema di storie a quattro voci
narranti, Fran, Ana, Rosa, Marisa, grosso
modo quarantenni come lei. Quattro donne
inventate che curano l'edizione di un
atlante geografico e ne compongono un
altro per la quinta, senza saperlo. Un
Atlante di geografia umana.
Incontriamo Almudena appena finito di
parlare a un pubblico partecipe,
sbilanciato, più femminile che maschile.
Ha lasciato l'ambaradan dell'arena in cui
sta per scendere il filosofo Massimo
Cacciari. Ci dedica un po' del suo tempo
programmato, di nascosto. Ricorda due
donne trentine che ha incrociato quasi
per caso, tra cinema e letteratura. Una
è Isabella Bossi Fedrigotti, che negli
anni trascorsi a Madrid le era amica e
seguiva da vicino il personaggio della
sua Malena, la bambina di un'esemplare
famiglia borghese, dal nome di tango.
L'altra è Francesca Neri, che ha portato
sullo schermo Le età di Lulù, tratto
dal suo primo romanzo con la sua
sceneggiatura. Due ricordi piacevoli, che
ne tirano altri. Libri, motori di altri
libri. Appena un accenno a Fernando
Savater, spagnolo del nord anche lui,
teorico del sopravvivere anche lui, e si
scopre all'improvviso uno scarto di senso
tra sopravvivere alla vita e nella vita.
Quante sfumature, quanti percorsi. Le
donne dell'atlante sopravvivono
all'epicentro di una catastrofe. Hanno
vissuto più della metà della loro vita,
da vent'anni coltivano l'utopia di un
mondo migliore, una specie di roseto
all'erta tra i rovi. Una si indigna col
mondo, un'altra va dall'analista. Donne
simbolo di un paese e di un'età, l'età
di Almudena che non è più quella di
Lulù. L'età di Almudena è quella di
tutti gli spagnoli che avevano quindici
anni alla morte di Franco, cresciuti
tutti, o quasi, con una voglia tremenda
di mangiarsi il mondo, un po' malati di
movida, la dolce vita notturna del fine
settimana da vivere in quarantott'ore
piene di sogni che perdono colore ogni
notte. Si sta facendo sempre più tardi?
Da quando? Diamo a Tabucchi quel che è
di Tabucchi: il suo è un altro tardi,
pieno di frattempi di un uomo che si
analizza attraverso le proprie lettere
sentimentali e si rispecchia in mille
donne, in mille frattempi di un'altra
età. Il fatto è che Almudena crede
ancora nei sogni, tutto sommato. Ama i
figli, che sono come i denti, sono solo
tuoi e faticosi da crescere, i figli che
ti sorridono (finché sanno farlo) e ti
riempiono la vita, ed è attratta dai
sogni di quanti si contraddicono,
iniziano sempre da un desiderio e
invecchiano da principianti. Ha affidato
un messaggio che è suo a una delle
quattro donne dell'Atlante: non c'è
rischio più mortale per un sogno, per un
desiderio, che la sua rapida
realizzazione.
Poco lontano ecco Massimo Cacciari, barba
pettinata, già sul palco. Stesso
cortile, altro pubblico, più uomini che
donne. Rientriamo nell'arena dalla porta
dei tori, con discrezione. Dell'inizio,
del punto di partenza. Cacciari è in
cattedra e spiega alla platea la sua
filosofia neoplatonica. Dalla teologia
naturale di Aristotele, da Dio causa
della molteplicità degli eventi, al
cosmo creato e destinato a morire.
Dall'inizio incondizionato all'origine
degli enti. La verità va indagata, noi
siamo quelli che vivono interrogandosi,
con Agostino. E l'abisso che c'è tra
Aristotele e San Tommaso. E i percorsi
della teologia e della filosofia, della
fede e della ragione che non si ignorano.
La fede come brama di sapere,
l'inadeguatezza della conoscenza di
fronte all'inconoscibile, in Dante come
in Isaia, profeti entrambi. Fino alla
teosofia e alla conversione come ritorno.
Dobbiamo tornare all'anima.
Sì, nei giorni scorsi, a Mantova, nei
giorni di Festivaletteratura, è stato
così. Una Piedigrotta dei libri e degli
autori. Una macchina che piace, dalla
prima alla quarta età di massa. Non puoi
seguire tutto, i percorsi vanno
confezionati: ogni cosa fa effetto, non
ci sono effetti speciali. Intellettuali e
scrittori, sul palco, in fiera e anche al
bar, incanalati e gestiti in modo
perfetto da quattrocento volontari,
inflessibili onnipresenti indispensabili
guardie in maglietta blu.
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