Testo autobiografico
edito dalla roveretana Nicolodi
Sepe, un
neosensismo alchemico
fra ricordi e odori dell'adolescenza
di Alessandro
Dell'Aira
LA CASA di Franco è un paesaggio
borghese, decentrato, distante. Fondi, il
paese sull'Appia, è famoso per il
cécubo, vino antichissimo. A Fondi è
nato Giuseppe De Santis, uno dei maestri
del neorealismo italiano, regista di
"Riso amaro" e "Non c'è
pace tra gli ulivi". Dal balcone
della sua casa di Fondi, in una sera
estiva degli anni Sessanta, il piccolo
Franco sbircia verso il cinema all'aperto
dove proiettano un film di De Santis,
ambientato a Fondi: "Giorni
d'amore". Gli innamorati sono il
giovane Mastroianni e la giovanissima
Marina Vlady.
Il piccolo Franco è l'infanzia di Franco
Sepe, autore di "Autobiografia dei
cinque sensi". La sua famiglia è
una vaporiera instancabile, condotta
dalle zie damigelle che dettano legge
dentro e fuori, dall'uscio di casa alla
chiesa e ritorno. Senza di loro, zia
Assia e zia Etta, nulla si crea e nulla
si distrugge. I sensi di Franco,
ammaestrati alla legge della rinuncia e
del rifiuto, esplorano il mondo dalla
casa-tana come i cinque tentacoli di un
animale curioso. Arroccato sul balcone,
con le provviste, il piccolo stacca lo
sguardo dai giorni d'amore di Marcello e
Marina. È attratto dal fascio fumigante
che inonda lo schermo di sequenze e
passioni paesane. Risale con gli occhi
fino alla cabina di proiezione. Consulta
il suo repertorio di simboli elementari e
ne ricava una corrispondenza tra il
fascio di luce spiovente e la creazione,
tra la proiezione e il creato.
Il paese, di sotto, è un'entità
invisibile, indesiderabile. La realtà di
Franco è casa sua, un paesaggio con
giardino dove a tempo debito, con la
regia delle zie, ogni anno si imbottiglia
la conserva di pomodoro. L'adolescenza,
parola difficile per Franco, percepita
male le prime volte, gli resta dentro
come dolescenza. Odori e sapori vivaci
come i venti nel vaso di Pandora,
incontaminati e distinti nella memoria
più degli odori e dei sapori nelle
magiche pentole a pressione delle
dimostrazioni casalinghe, che in
commercio non si trovano.
Quello di Franco Sepe è un neosensismo
alchemico tra Proust e De Santis, metà
cinema e metà letteratura. Fondi non è
il profondo sud. Il suo cinema all'aperto
degli anni Sessanta non è il Nuovo
Cinema Paradiso di Tornatore. Il piccolo
Franco è solo con se stesso: l'arena non
ha un operatore-padrone che taglia le
scene dei baci di celluloide e le tiene
per sé. L'arena di Fondi ha solo due
gestori, marito e moglie, che ogni tanto
rattoppano lo schermo come se fosse un
lenzuolo matrimoniale. È Franco il
censore di se stesso: bambino per bene,
pupillo di zia Assia e zia Etta,
Pinocchio in incognito figlio del sarto
del paese, nipote dell'organista della
chiesa. Eterno Pinocchio in ostaggio
della fata Turchina, che accumula
materiali sensibili, li archivia, li
seleziona, li monta e se li proietta
dentro, ricreando emozioni da riversare
in una prosa cristallina, fin troppo
nitida, dietro la quale la tensione è
fortissima. Oggi Franco vive in Germania.
Psicologo, italianista, fa di mestiere lo
scrittore e l'operatore culturale di
rango. Ha ricreato in letteratura la
preistoria di se stesso. Frittelle di
baccalà leggere come nuvole, telefoni da
muro venerati come acquasantiere, un
antico e legnoso apparecchio radio, il
gioco ardito del meccano. Per mettere a
fuoco la sua infanzia, l'autore ha messo
all'indice i sensi: audire, videre,
olfacere, tangere, gustare. In latino.
Una scelta lucida, un effetto decentrato
e suggestivo.
FRANCO SEPE
Autobiografia dei cinque sensi
Nicolodi editore, 22.000 lire
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