Dibattito.
A Trento interviene Sergio Romano
Tra caos
mondiale e pace
in cerca d'equilibri perduti
Sergio
Romano
e «La pace perduta»
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di Alessandro
Dell'Aira
SERGIO
ROMANO, ex ambasciatore italiano di prima
classe, storico contemporaneo, grande
firma del Corriere e di Panorama, sarà a
Trento domani 23 novembre, per parlare di
equilibri perduti e di guerre ritrovate.
Nella Sala del Falconetto di Palazzo
Geremia, alle 17.30, prenderà parte a un
incontro-dibattito pubblico organizzato
dal Centro Studi sulla Storia dell'Europa
Orientale e dalla Libreria Einaudi di
Trento, con Margherita Cogo, Mario
Cristofolini, Sergio Fabbrini, Mauro
Martini e Giuseppe Nesi. Sergio Romano,
lo scorso marzo, ha pubblicato per
Longanesi "La pace perduta
1989-2000. Il grande disordine mondiale:
guerre e crisi nel terzo dopoguerra,
dalla caduta del Muro al crollo delle
Twin Towers". La tesi di partenza
sembra quella degli antichi Romani: Vuoi
la pace? Prepara la guerra. La pace
perdura quando è armata. Antico slogan,
pragmatico, dissuasivo, scritto anche
sugli scudi spaziali e sul loro rovescio.
Vuoi la guerra? Prepara la pace. Gli
eventi storici di questi ultimi mesi, da
marzo a oggi, con il terrorismo che ha
assunto il ruolo di potenza organizzativa
e operativa in grado di moltiplicare il
Caos mondiale, sono materia della seconda
edizione del libro, aggiornata al 7
ottobre 2001.
Il solo ordine? La tenacia dei vinti
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Il Grande Ordine Morale, dei Grandi della
terra che si pentono pubblicamente per
gli errori del passato, secondo Romano è
una liturgia diplomatica mutuata
dall'esempio papale, che genera, da una
parte, una sorta di "rito dei
lavacri", e alimenta dall'altra il
mercato internazionale del perdono.
Chiedono perdono i governanti di oggi,
per le colpe dei governanti di ieri.
Offrono perdono i popoli vinti e i
perseguitati, agli eredi dei loro nemici
e persecutori. E intanto si combatte. Il
perdono, scrive Romano, è un concetto
più religioso che laico, celebrato anche
dagli Usa nel 1993, in occasione del
centesimo anniversario della conquista
delle Hawaii, di fronte a uno sparuto
gruppo di indigeni. Nel frattempo c'è il
Grande Disordine Mondiale: il Golfo
Persico, il Corno d'Africa, la ex
Iugoslavia, le Torri di Manhattan,
l'Afghanistan. E l'ordine yankee? Non
c'è mai stato, sostiene Romano, che
prima del tragico 11 settembre ha scritto
sul Corriere che Bush è un giovane
presidente che governa il mondo ma
conosce solo il Texas. Un solo elemento
d'ordine, se così si può dire, governa
il caos di una pace mille volte perduta:
la tenacia dei vinti, che non accettano
la sconfitta e non si rassegnano. Il
sogno frustrato di tutti i vincitori è
l'annientamento fisico o morale della
rassegnazione dei vinti. Tutto di nuovo
sottosopra, ogni volta. Il caos è dunque
di questo mondo. La pace, più che un
traguardo, è una chimera che sfugge di
continuo a chi la insegue.
L'aristocratico pessimismo verso la
democrazia
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Nel post-scriptum, l'autore trae alcune
brevi conclusioni. Sono di aristocratico
pessimismo, sia di fronte alla tragica
baldanza dei costruttori di guerra e di
terrorismo, sia di fronte alla tenacia di
chi difende l'idea e la speranza di una
pace permanente. Dopo aver ricostruito
gli ultimi tredici anni di storia
mondiale, Romano conclude che gli eventi
producono anche conseguenze indesiderate,
che gli statisti forti di ieri sono messi
non solo in discussione ma in stato
d'accusa, che gli uomini di Stato
governano alla giornata, che il corso
delle cose è inestricabile. Gli effetti
perversi del Grande Caos mondiale di oggi
sarebbero dunque la prova certa
dell'irrazionalità delle democrazie di
massa. Secondo alcuni è questo il limite
dell'analisi di Romano, testimone diretto
e protagonista di mezzo secolo di
politica estera italiana, dimessosi dalla
diplomazia nel 1989, pochi mesi prima del
crollo del Muro, quando era a Mosca. A
noi sembra che la posizione di Romano
esprima, coscientemente, il declino della
cultura politica e lo smarrimento
dell'uomo di cultura di fronte
all'incapacità di una buona politica.
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