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 CULTURA

Il «ritorno al futuro» delle fortezze alpine, tra storia e memoria

di Alessandro Dell'Aira



 


Qui sopra, una vedetta;
sotto, ricostruzione del forte austriaco di Folgaria



Le fortezze, alla fine dell'Ottocento, nascevano vecchie. Non si faceva a tempo a posare l'ultima pietra che non erano più così funzionali agli scopi per i quali erano state costruite, per due ragioni: o restavano indietro rispetto al progredire micidiale delle armi, o erano rese obsolete dal variare degli scenari di guerra. Così ha spiegato Luciano Happacher, regista di due documentari dedicati a una ricognizione delle fortificazioni austriache del Trentino. L'operazione è finalizzata al censimento completo dei luoghi, a cura di Flavio Pontalti, e al ripristino di quelle strutture. Happacher, che si è avvalso della consulenza storica di Nicola Fontana, ne ha parlato a Trento in occasione del secondo incontro della serie di conversazioni "L'avvento del Moderno. La grande guerra".
La sequenza delle fortificazioni austriache, da Ovest a Est, parte da Forte Strino sul Tonale, oggi museo, nucleo centrale di un complesso che si sviluppa a quote variabili tra i 1800 e i 2000 metri, teatro della famosa Guerra Bianca. Passa per le Giudicarie, tocca quindi la regione rivana, Vallarsa, Cima Vézzena con il Forte Busa Verle, il Cima Campo di Luserna e gli altri degli Altipiani, per spingersi fino alla val di Fiemme. Questa cintura di pietra caratterizza in modo originale il paesaggio circostante e si manifesta mediante un sistema di strutture, ben conservate o ridotte in macerie, che restano e richiamano le lunghe vicende della guerra di posizione. Come è noto, all'interno di questo largo anello di difesa se ne costruì un secondo, che serrava il capoluogo, messo in opera quando ormai lo stesso modello di città-fortezza era da ritenere antiquato. Ma Trento, secondo il generale austro-ungarico Conrad Von Hötzendorf, era troppo strategica per non essere oggetto di attenzioni speciali: andava difesa a ogni costo. Queste sentinelle di pietra sono sorte in poco più di mezzo secolo: dal 1860 - anno in cui, dopo l'annessione della Lombardia al Piemonte, l'Austria sentì impellente la necessità di rafforzare il suo Quadrilatero -al 1915, quando quel che era fatto era fatto. Non si fece in tempo a costruire alcuni dei complessi progettati, per esempio lungo l'asta dell'Adige. In quegli undici lustri, nell'architettura militare, si ebbe un'evoluzione: dalle casematte di stile francese e trentino ai forti corazzati dell'ultima ora. Anche a giudizio di Happacher, il più pittoresco di questi complessi, incompiuto e mai armato, è quello di Valmorbia, tra Vallarsa e Pozzacchio. Eugenio Montale, ventunenne ufficialetto di complemento nel 1917, dedicò a Valmorbia alcuni versi dei suoi Ossi di Seppia: "Valmorbia, discorrevano il tuo fondo / fioriti nuvoli di piante agli àsoli. / Nasceva in noi, volti dal cieco caso, / oblio del mondo. / Tacevano gli spari, nel grembo solitario / non dava suono che il Leno roco. / Sbocciava un razzo su lo Stelo, fioco / lacrimava nell'aria. / Le notti chiare erano tutte un'alba / e portavano volpi alla mia grotta. / Valmorbia, un nome - e ora nella scialba / memoria, terra che non annotta".



 
 
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