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 CULTURA

«Beata» quella scuola

Stefano Bellesini tra cultura e fede
Un «venerabile» ancora attualissimo

   

di Alessandro Dell'Aira


Si celebra oggi la «memoria liturgica», una sorta di compleanno, di Stefano Bellesini, figura mitica della scuola trentina e anche, nella storia della Chiesa, il primo parroco a essere nominato beato, nel 1904.

IN UNA BELLA STAMPA di metà Ottocento, il venerabile Stefano Bellesini tridentino s'inchina davanti alla Madonna, con il breviario aperto e una mano sul cuore, mentre una schiera di angioletti regge il sacro ritratto e un bouquet di fiori di campo adorna l'altare spoglio. Non è una chiesa di Trento, ma del paese di Genazzano nella campagna romana, dove Bellesini trascorse quattordici anni e si spense. Negli ultimi nove era stato parroco del Santuario della Madonna del Buonconsiglio.
Domenico Gobbi ha pubblicato nel quaderno 74 di "Civis" una cinquantina di lettere dall'epistolario scolastico di Bellesini, rinvenute nel fondo archivistico della pieve di Santa Maria di Civezzano. Gobbi definisce Bellesini "un personaggio simpatico quanto 'ignorato' dalla storiografia trentina e dalla pietà dei fedeli, pur essendo un beato 'recente' e l'unico della città di Trento". Si tratta di solleciti inviati agli amministratori, ai parroci e ai curati della Valle di Piné‚ tra il giugno 1816 e il settembre 1817, su questioni di amministrazione scolastica. Quali questioni? Quelle connesse con l'incarico che Bellesini ricopriva, di direttore e ispettore generale statale delle scuole pubbliche del distretto di Trento. Ne era degno, perché nel 1809, quando il convento di San Marco era stato soppresso dai francesi, e con il convento la scuola degli agostiniani per l'infanzia abbandonata, Bellesini, di famiglia benestante,  aveva aperto una scuola in casa sua, in piazza Duomo. La scola per gnent, totalmente gratuita. Allora usava così.
Il Tirolo faceva fatica a stare dietro al Regolamento teresiano del 1774. Tra l'obbligo sancito e il trovare locali, banchi e maestri, c'era di mezzo il solito mare di spese che i Comuni non potevano o non volevano accollarsi. Nelle lettere di Bellesini, dietro alle pastoie dello stile burocratico - ogni tempo ne ha uno - si avverte la sofferenza e l'insofferenza del personaggio per la tiepidezza degli amministratori. Il nostro scrive al parroco di Piné, il 2 febbraio del 1817, perché il numero di banchi e tabelle "non è conforme a quello da me stabilito, ond'ella spinga il signor podestà di Piné per la fattura di ciò che manca". In un altro caso, l'ispettore Bellesini si batte per lo stipendio dei docenti laici ed ecclesiastici, che è basso, anche perché la seconda attività non è ammessa, e alla moglie del maestro che tiene scuola in casa propria, in base alla Costituzione scolastica del 1805, il massimo che si concede è "l'esercizio di qualche piccolo traffico o mestiere, ma fuori della casa della scuola e senza che il maestro vi si inframmischi".
"Ella dunque procurerà" - scrive Bellesini al sindaco di Civezzano, in data primo ottobre 1816 - "di provvedere a tempo le scuole di gesso, spugne, nonché di supplire alla mancanza delle legne che sono soliti portare gli studenti per iscaldare il fornello e di concedere gratuitamente carte, penna, libri d'istruzione ai poveri fanciulli riconosciuti per tali dagl'ispettori locali, essendo così l'ordine sovrano".
Il 30 ottobre 1816, il parroco di Bedollo, Domenico Bregantini, di età avanzata e oppresso dagli affari curaziali, definisce i fanciulli di Piné "tardi d'ingegno generalmente, onde fino li anni 9 sono agnelli addormentati", ma si dichiara vinto dalla "dolcezza e zelo" dell'ispettore e accetta ancora di fare il maestro, pur brontolando perché "Piné si distingue e tiene il primo luogo in ignoranza e astuzia", sapendosi che "di lampi e tuon non spaventano i pinaitri, se pronto non è il fulmine".
Era successo che, stanco di reclamare l'indispensabile alla cassa comunale, don Domenico aveva comprato abbecedari e catechismi a spese sue, e aveva fatto scuola senza stipendio, per suo piacere.
Risponde l'ispettore Bellesini a don Domenico: "Non si sgomenti per le ingiuste opposizioni ch'ella trova nell'onorevole impegno conferitole. Sarà sempre mia cura e sollecitudine a sostenerla... La prego dunque di ordinare il tutto con prestezza, affinché non venga così arretrata la pubblica istruzione".
Il convento degli agostiniani di Trento tarda a riaprire.Nel settembre del 1817, dopo tanti anni di "servizio" scolastico - nel senso che all'istruzione pubblica aveva dedicato le sue forze migliori - fra Stefano Bellesini lascia la sua città e va a fare il maestro dei novizi nel convento romano di Sant'Agostino. Tre giorni prima di prendere la via della Valsugana, trova il tempo di nominare il maestro delle scuole normali di Montagnaga.






 
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