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Sabato 2 marzo 2002  
 


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  La scienza sospesa
tra Frankenstein
e «Beautiful Mind»

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Russel Crowe, interprete dello scienziato John Nash




di
Alessandro Dell'Aira




PER TRENTO, città che vuole essere un luogo dove si impara a imparare, il dibattito sulla scienza, il suo uso e i suoi limiti è un appuntamento d'obbligo. L'anno scorso l'Università ha proposto un ciclo sui filosofi e la città. Quest'anno il Comune organizza un secondo ciclo su "Cittadini e scienza oggi: tra timori, certezze e speranze", con il Museo di Scienze Naturali, l'Istituto Trentino di Cultura e l'Università.


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Tra i due cicli c'è una continuità tematica, tanto è vero che l'incontro di mercoledì scorso nella Sala della Filarmonica, "I passi falsi della scienza", ha visto un filosofo, Ermanno Bencivenga, dialogare con un fisico, Yurij Castelfranchi. Hanno presentato il dibattito l'assessora comunale alla Cultura Micaela Bertoldi e il presidente dell'Itc Gianni Bonvicini. "I passi falsi della scienza" è il titolo di un saggio di Bencivenga, ordinario di filosofia all'Università della California, studioso di logica e filosofia del linguaggio e divulgatore del pensiero filosofico. Yurij Castelfranchi, giornalista scientifico ed esperto di didattica delle scienze, è invece docente di teoria della comunicazione della scienza presso la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste.

 

 
Ermanno Bencivenga e Yurij Castefranchi

Gli errori degli scienziati ------------------------------
Bencivenga ha messo l'accento sui limiti di una divulgazione apologetica della scienza, che nuoce al pubblico come agli scienziati. Dopo la critica a queste posizioni ingannatrici, l'analisi si è rivolta ai passi falsi della scienza ottocentesca in due discipline autorevolissime, la geologia e la fisica. Il primo scivolone consiste nell'età della terra calcolata da Kelvin in cento milioni di anni, in base al secondo principio della termodinamica: ciò indusse Darwin a una revisione delle teorie sull'evoluzione della specie, fino alla scoperta, mezzo secolo dopo, della radioattività delle rocce, con il ricalcolo dell'età della terra in miliardi di anni.
Il secondo scivolone è la cosiddetta teoria dell'etere, funzionale alla trasmissione della luce mediante particelle anziché onde, il che presupponeva un mezzo, l'etere appunto, più rarefatto dell'aria e più solido del metallo. Tornando ai nostri tempi, Bencivenga, accennando ai politici con gli scienziati al guinzaglio, ha messo in guardia contro un rapporto scienziati-pubblico che si limiti a rendere noti i risultati, negando spazio all'attività creativa della scienza e ai migliori contributi dei cosiddetti "dilettanti".
In questo modo il pubblico viene espropriato delle direzioni e degli scopi della ricerca, e abituato a un'idea sacrale, inaccessibile della scienza. Alla ricerca, invece, gioverebbe la dimensione "profana" della scienza e la riflessione pubblica sui tentativi e sugli errori degli scienziati. In altre parole: quando gli obiettivi e i fini della scienza sono off limits, prosperano le alleanze perverse e incontrollate tra potere, finanze e know-how.

L'uomo che mangiava i ragni ------------------------------
Alla comunicazione di Bencivenga è seguita quella di Castelfranchi: multimediale, didattica, appassionata, più consona allo stile del divulgatore mediatico che all'approccio del fisico teorico. Castelfranchi ha citato il caso dell'astronomo francese Joseph-Jérôme de Lalande, che nel Settecento non si limitava a guardare le stelle e pur di convincere il prossimo a non aver paura dei ragni se li mangiava vivi (la sua svista più famosa è la ripetuta registrazione del passaggio del pianeta Nettuno come una stella). Castelfranchi è un valido narratore - ricordiamo "Macchine come noi", saggio sull'intelligenza artificiale scritto con Oliviero Stock - e non esiterebbe a ingoiare ramarri pur di contagiare agli altri il suo amore per la ricerca, e di opporsi alla scienza post-accademica, la Big-Science, per la quale non esiste il piacere della ricerca, ma solo il profumo dei dollari e l'ossessione del produrre. La migliore evoluzione della scienza, ha osservato Castelfranchi, è paragonabile alla crescita di una foresta di mangrovie: un intreccio di radici, di liane e di rami, che proteggono la vita e la moltiplicano. L'immaginario collettivo invece coltiva un'idea di scienziato che oscilla tra la mente "buona" di Einstein e la mente "cattiva" di Frankestein. A questi due stereotipi mentali - osserviamo noi - si è affiancata da poco la "Beautiful Mind" di John Forbes Nash, scopritore di un punto fisso nella teoria della probabilità, importata dall'immaginario di celluloide con la mediazione dello psichiatra americano Oliver Sachs.
Ottimo il dibattito. Durante il quale, per fortuna, a nessuno dei cittadini presenti è venuto in mente che per essere uno scienziato occorre essere anzitutto un genio, e che "se vuoi essere un genio devi credere nel tuo pensiero, e che ciò che è vero per te può essere vero per tutti gli uomini". E' una frase dell'americano Ralph Emerson, autore del "Metodo della Natura". I produttori di "Beautiful Mind" se ne sono appropriati: ognuno tira acqua al suo mulino. Ci sono però tante altre frasi di Ralph Emerson, dove non mancano gli spunti per riflettere su civiltà e genialità.
Eccone un'altra: "Quando la natura ha qualche lavoro da fare, inventa un genio perché lo faccia". In questo caso il lavoro è quello di divorare il petrolio, e "il genio" inventato dalla natura sono le alghe e i batteri, creature microscopiche.






 
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