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La
scienza sospesa
tra Frankenstein
e «Beautiful Mind»
RICERCA AL BIVIO
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Russel Crowe, interprete
dello scienziato John
Nash
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di Alessandro Dell'Aira
PER TRENTO, città che vuole
essere un luogo dove si impara a
imparare, il dibattito sulla
scienza, il suo uso e i suoi
limiti è un appuntamento
d'obbligo. L'anno scorso
l'Università ha proposto un
ciclo sui filosofi e la città.
Quest'anno il Comune organizza un
secondo ciclo su "Cittadini
e scienza oggi: tra timori,
certezze e speranze", con il
Museo di Scienze Naturali,
l'Istituto Trentino di Cultura e
l'Università.
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Tra i due cicli c'è una
continuità tematica, tanto è
vero che l'incontro di mercoledì
scorso nella Sala della
Filarmonica, "I passi falsi
della scienza", ha visto un
filosofo, Ermanno Bencivenga,
dialogare con un fisico, Yurij
Castelfranchi. Hanno presentato
il dibattito l'assessora comunale
alla Cultura Micaela Bertoldi e
il presidente dell'Itc Gianni
Bonvicini. "I passi falsi
della scienza" è il titolo
di un saggio di Bencivenga,
ordinario di filosofia
all'Università della California,
studioso di logica e filosofia
del linguaggio e divulgatore del
pensiero filosofico. Yurij
Castelfranchi, giornalista
scientifico ed esperto di
didattica delle scienze, è
invece docente di teoria della
comunicazione della scienza
presso la Scuola Internazionale
Superiore di Studi Avanzati di
Trieste.
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Ermanno
Bencivenga e Yurij
Castefranchi
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Gli errori degli
scienziati
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Bencivenga ha messo l'accento sui
limiti di una divulgazione
apologetica della scienza, che
nuoce al pubblico come agli
scienziati. Dopo la critica a
queste posizioni ingannatrici,
l'analisi si è rivolta ai passi
falsi della scienza ottocentesca
in due discipline
autorevolissime, la geologia e la
fisica. Il primo scivolone
consiste nell'età della terra
calcolata da Kelvin in cento
milioni di anni, in base al
secondo principio della
termodinamica: ciò indusse
Darwin a una revisione delle
teorie sull'evoluzione della
specie, fino alla scoperta, mezzo
secolo dopo, della radioattività
delle rocce, con il ricalcolo
dell'età della terra in miliardi
di anni.
Il secondo scivolone è la
cosiddetta teoria dell'etere,
funzionale alla trasmissione
della luce mediante particelle
anziché onde, il che
presupponeva un mezzo, l'etere
appunto, più rarefatto dell'aria
e più solido del metallo.
Tornando ai nostri tempi,
Bencivenga, accennando ai
politici con gli scienziati al
guinzaglio, ha messo in guardia
contro un rapporto
scienziati-pubblico che si limiti
a rendere noti i risultati,
negando spazio all'attività
creativa della scienza e ai
migliori contributi dei
cosiddetti
"dilettanti".
In questo modo il pubblico viene
espropriato delle direzioni e
degli scopi della ricerca, e
abituato a un'idea sacrale,
inaccessibile della scienza. Alla
ricerca, invece, gioverebbe la
dimensione "profana"
della scienza e la riflessione
pubblica sui tentativi e sugli
errori degli scienziati. In altre
parole: quando gli obiettivi e i
fini della scienza sono off
limits, prosperano le alleanze
perverse e incontrollate tra
potere, finanze e know-how.
L'uomo che mangiava i ragni
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Alla comunicazione di Bencivenga
è seguita quella di
Castelfranchi: multimediale,
didattica, appassionata, più
consona allo stile del
divulgatore mediatico che
all'approccio del fisico teorico.
Castelfranchi ha citato il caso
dell'astronomo francese
Joseph-Jérôme de Lalande, che
nel Settecento non si limitava a
guardare le stelle e pur di
convincere il prossimo a non aver
paura dei ragni se li mangiava
vivi (la sua svista più famosa
è la ripetuta registrazione del
passaggio del pianeta Nettuno
come una stella). Castelfranchi
è un valido narratore -
ricordiamo "Macchine come
noi", saggio
sull'intelligenza artificiale
scritto con Oliviero Stock - e
non esiterebbe a ingoiare ramarri
pur di contagiare agli altri il
suo amore per la ricerca, e di
opporsi alla scienza
post-accademica, la Big-Science,
per la quale non esiste il
piacere della ricerca, ma solo il
profumo dei dollari e
l'ossessione del produrre. La
migliore evoluzione della
scienza, ha osservato
Castelfranchi, è paragonabile
alla crescita di una foresta di
mangrovie: un intreccio di
radici, di liane e di rami, che
proteggono la vita e la
moltiplicano. L'immaginario
collettivo invece coltiva un'idea
di scienziato che oscilla tra la
mente "buona" di
Einstein e la mente
"cattiva" di
Frankestein. A questi due
stereotipi mentali - osserviamo
noi - si è affiancata da poco la
"Beautiful Mind" di
John Forbes Nash, scopritore di
un punto fisso nella teoria della
probabilità, importata
dall'immaginario di celluloide
con la mediazione dello
psichiatra americano Oliver
Sachs.
Ottimo il dibattito. Durante il
quale, per fortuna, a nessuno dei
cittadini presenti è venuto in
mente che per essere uno
scienziato occorre essere
anzitutto un genio, e che
"se vuoi essere un genio
devi credere nel tuo pensiero, e
che ciò che è vero per te può
essere vero per tutti gli
uomini". E' una frase
dell'americano Ralph Emerson,
autore del "Metodo della
Natura". I produttori di
"Beautiful Mind" se ne
sono appropriati: ognuno tira
acqua al suo mulino. Ci sono
però tante altre frasi di Ralph
Emerson, dove non mancano gli
spunti per riflettere su civiltà
e genialità.
Eccone un'altra: "Quando la
natura ha qualche lavoro da fare,
inventa un genio perché lo
faccia". In questo caso il
lavoro è quello di divorare il
petrolio, e "il genio"
inventato dalla natura sono le
alghe e i batteri, creature
microscopiche.
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