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ROMERO, la forza della fede
Contro l'ingiustizia in Sudamerica un altro sacrificio: quello di Duarte
I MARTIRI DELLA CHIESA




Oscar Romero con i suoi fedeli


 

L'autore del libro
Ettore Masina a Trento
(foto Panato)

di Alessandro Dell'Aira

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ETTORE MASINA, giornalista e politico che ha scritto la biografia di Romero, "L'arcivescovo deve morire", è venuto mercoledì sera presso il Centro Bernardo Clesio di Trento, invitato a parlare dell'attualità storica dell'arcivescovo salvadoregno dall'associazione cittadina che porta il suo nome e dalla rivista "Il Margine". A conclusione della conferenza e del dibattito il vescovo di Trento monsignor Luigi Bressan ha rivolto un saluto ai numerosi presenti, sottolineando il forte valore della testimonianza di Romero.
Nell'ultima omelia della mattina di domenica 24 marzo 1980, l'arcivescovo Oscar scandisce i nomi delle vittime del potere violento. Sono i nomi del suo popolo. Alle 18 celebra una messa di suffragio e commenta la costituzione conciliare Gaudium et Spes. Prima di cadere, fa a tempo a scorgere il killer in fondo alla chiesa con il fucile di precisione nascosto dietro il corpo.
L'esecuzione di Romero si inserisce in un crescendo di barbarie e di sangue, che durerà per anni. Pochi giorni dopo la visita pontificia al Salvador del marzo 1983, è uccisa anche Marianella García Villas, catturata mentre sta raccogliendo prove sull'uso di armi chimiche da parte dell'esercito. Alcuni mesi prima che l'Onu inizi a mediare fra guerriglia e governo salvadoregno, nel novembre del 1989, i militari massacrano sei gesuiti e due donne.
Masina ha preso lo spunto dall'elenco dei nomi pronunciati da Romero nell'omelia della mattina per ricordare quanto sia importante riferirsi alle vittime, alla loro identità, ai loro volti. Nel 1983, anno della morte di Marianella, gli Usa sbarcano a Grenada. E' l'inizio di una fase di eclissi dell'informazione sulle aggressioni militari nel mondo, che dura tuttora. L'espressione "effetti collaterali", corrente in farmacologia, comincia a essere usata con disinvoltura per le distruzioni belliche ad alta tecnologia. La rivista Newsweek non si fa scrupolo di dare spazio a esperti favorevoli alla tortura. La miseria non ha più volto, né dignità. I profughi sono numeri, non hanno storie personali da raccontare.
Facendo leva su quest'ultima riflessione, Masina ha evidenziato alcuni aspetti esemplari del caso Romero, sottolineando anzitutto come l'eminente dignità dei poveri sia un parametro di valutazione della storia mondiale. Un secondo dovere civile, ha poi detto, è l'affinamento della capacità di ascoltare e di informarsi per combattere falsità programmate che avvelenano le coscienze. L'America latina è il laboratorio privilegiato di questa disinformazione. Il terzo aspetto è ciò che Masina ha chiamato "il magistero dei poveri". Il quarto è l'ottimismo testardo, della gioia e della speranza.
Il dibattito ha messo l'accento sulla figura di monsignor Romero, sui suoi rapporti con gli altri vescovi del Salvador e sulla tiepida accoglienza che Giovanni Paolo II gli riservò in Vaticano nel 1979, allo scadere del suo primo semestre di pontificato. La discussione si è allargata ai rifugiati e ad altre questioni forse marginali rispetto al tema, ma importanti per comprendere quali sono i pilastri fondanti della sperequazione distributiva di risorse energetiche, alimentari e monetarie. E' ovvio, comunque, che da tali questioni, e dal modo in cui verranno affrontate e proposte, dipenderà il futuro politico del mondo, non solo dell'America latina.
Non si è parlato del vescovo di Cali, Isaías Duarte Concino. Il suo assassinio è di pochi giorni fa. Da tempo Duarte aveva preso posizione sulla disumanità del confronto armato tra la guerriglia e le forze governative colombiane, identificando nel traffico di droga una delle principali fonti dei mali della città e della regione. Diceva spesso che una persona vale per quello che è e non per le armi che porta. Duarte avvertiva il peso della solitudine che gli derivava da quelle denunce a tutto campo, da quegli appelli incessanti e cocciuti. Ma per questo nessuno gli aveva mai torto un capello. La sua improvvisa eliminazione è certamente dovuta a un gesto poco "politico": un'uscita allo scoperto su questioni scottanti nell'immediato e nel concreto. Anche se c'è mistero sui mandanti, si sa che Duarte, nei primi di febbraio, aveva deciso di denunciare alla magistratura l'immissione di denaro sporco, proveniente dal narcotraffico, nei finanziamenti della campagna elettorale di alcuni candidati. Questo tema in Colombia è tabù. Chi lo tocca deve morire.
Sfogliando il libro di Ettore Masina, abbiamo letto una frase virgolettata che Giovanni Paolo II, in visita al Salvador, pronunciò in una predica ai sacerdoti del luogo. Eccola: "La vita non val la pena di darla per un'ideologia, per un vangelo mutilato o strumentalizzato, per un'opzione di parte, ma solo per la dottrina della fede della Chiesa". Romero e Duarte, in modo radicale, sapendo di rischiare la vita per la dottrina, hanno pensato entrambi di rischiarla. Alcune parole del primo, pronunciate a pochi giorni dalla morte, possono essere riferite al secondo: "Si può cedere su qualche aspetto accidentale ma non si può cedere sul seguire radicalmente il Vangelo. Questa radicalità porta sempre con sé contraddizioni e persino divisioni dolorose".






 
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