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 CULTURA
 


Villa Emma, la salvezza
Klaus Voigt ha ricostruito la storia
del rifugio per tanti ragazzi ebrei


«Villa Emma. Ragazzi ebrei in fuga 1940-1945» è il titolo del libro da qualche giorno in libreria presentato nei giorni scorsi al Museo Storico in Trento dall'autore, lo storico berlinese Klaus Voigt, con Vincenzo Calì, Cinzia Villani e Pierangelo Schiera. Sull'intera storia, da Zagabria alla Svizzera, esiste anche un resoconto in ebraico, "Yaldei Villa Emma" (I ragazzi di Villa Emma), di Josef Indig, parzialmente tradotto in inglese da Josef Zamoire. Ecco la storia.

-----------------------------------------------------------
di
Alessandro Dell'Aira


A NONANTOLA, in provincia di Modena, nel luglio del 1942 trovarono rifugio una quarantina di ragazzi ebrei tra i sei e i vent'anni. Qualche mese dopo ne giunsero quasi altrettanti. Provenivano dalla Polonia, dall'Austria, dalla Germania e dalla Jugoslavia. Furono tutti ospitati in un antico edificio alla periferia del paese, Villa Emma, dove trascorsero una parentesi serena fino ai primi di settembre dell'anno dopo.
Nonantola, dove molti di quei ragazzi sopravvissuti allo sterminio e invecchiati in pace amano ancora ritrovarsi, fu una delle tappe della peregrinazione che si concluse con l'approdo in Palestina. Molti di loro, in quegli anni, rimasero orfani. Fin dalla formazione del gruppo, nel 1940, l'invasione tedesca e italiana della Jugoslavia aveva bloccato il piano del loro trasferimento. La Delasem, l'ente al quale faceva capo l'organizzazione di assistenza degli ebrei italiani, durante la guerra prestò soccorso e salvò la vita a più di diecimila persone e si prodigò in aiuti di ogni tipo anche in questo caso. L'intervento della Delasem, con il coordinamento di Recha Freier, moglie del rabbino di Breslavia, sostenitrice della necessità di un esodo in Palestina delle giovani generazioni ebraiche tedesche, profuga lei stessa da Berlino, fu determinante ma non isolato. Furono in tanti ad affiancarsi a quegli sforzi.
Villa Emma non fu solo la sede temporanea dei profughi. Fu anche un laboratorio, e non solo perché lì si imparava a coltivare la terra, il taglio e il cucito, il mestiere del falegname e del carpentiere. Fu un laboratorio soprattutto perché agevolò il confronto fra più culture ebraiche: quella locale, pervasa dei valori del pensiero liberale, e quella dei paesi di provenienza dei ragazzi, fedele alle tradizioni sioniste. Nei primi giorni del settembre 1943, per sottrarre i ragazzi ai rastrellamenti dei tedeschi in arrivo, Villa Emma fu abbandonata in fretta. Molti furono portati al sicuro nel seminario di Nonantola, che nei mesi estivi era chiuso, o in un vicino convento di suore, o presso famiglie del luogo. Presero parte in parecchi a questa operazione di soccorso, che non fu certo l'unico caso di solidarietà in quegli anni di terrore. Due volontari si distinsero in modo speciale: Giuseppe Moreali, il medico condotto di Nonantola, e don Arrigo Beccari, un giovane sacerdote. Entrambi in seguito sono stati ricordati a Israele con un albero messo a dimora nel Parco dei Giusti dello Yad Vashem, il luogo della memoria della Shoa.
I ragazzi di Villa Emma, dopo tante peripezie, si salvarono tutti tranne uno, ricoverato in un ospedale degli Appennini, arrestato dopo la guarigione e deportato ad Auschwiz, da dove non tornò. In tanti vollero cooperare alle varie fasi di questa operazione spontanea, ma non improvvisata. Spesso si trattava di persone poco influenti ma investite di funzioni determinanti o di base, nei paesi o in campagna, che agivano all'insaputa o con il tacito appoggio di altri, fornendo documenti contraffatti in modo tale da non mettere in evidenza dettagli compromettenti.
Klaus Voigt si è occupato finora degli esuli dalla Germania nazista e dell'idea di unità europea. Ha ricostruito la storia di Villa Emma attraverso materiale documentario e interviste con i diretti interessati. Come capita spesso nelle ricerche dedicate al recupero della memoria storica del Novecento, anche nel caso dei ragazzi di Nonantola la presentazione di un saggio monografico si accompagna alla costituzione di un fondo di immagini e alla valorizzazione delle testimonianze dirette. Nei mesi scorsi tutta la vicenda è stata riassunta in una mostra ospitata nel chiostro dell'abbazia di Nonantola. Centoventi fotografie d'epoca, di proprietà dei protagonisti o di altra provenienza, sono state selezionate da Voigt che ha dato così un volto alla ricerca, grazie anche al sostegno della Regione Emilia Romagna e del Goethe Institut di Milano. La mostra è diventata itinerante, trasformata in un'opportunità educativa e rievocativa permanente.
Può anche succedere, come Voigt e Schiera hanno osservato, che la ricerca diventi policentrica. Grazie a un ricercatore dilettante di Sanremo è stato recentemente provato che negli stessi anni di Villa Emma si sviluppò e fu attiva in Italia, alla frontiera con la Francia, una vera e propria rete di soccorso ai profughi, della quale fecero parte contrabbandieri, pescatori, tassisti. Ombre di confine, gente comune. In verità, per usare il titolo di una raccolta di saggi dello storico Eric Hobsbawm, si tratta di gente non comune che non ha lasciato orme nella storia, gente impegnata a fare la guerra alla guerra a trecentosessanta gradi, senza opportunismi o intenzioni a fini di immagine, in modo silenzioso per salvare vite umane innocenti.






 
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