LA
CURIOSITA'
«Regina
Italia, non piangere»
Così la scuola vedeva la storia
I materiali
didattici di un maestro o una maestra
elementare di Trento, certamente
irredentista, che a metà degli anni
Venti illustra la storia dell'Italia
risorgimentale, possono farci capire che
posto avessero i Savoia nell'immaginario
collettivo di allora.
di Alessandro
Dell'Aira
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Sono una quindicina di tavole colorate a
pastello, da appendere alle pareti di
un'aula. E' la storia di tre bambini,
Verdino, Bianchino e Rossino, figli della
regina Italia, cittadini di un
paese-stivale che nel 1848 pareva la
baracca di Arlecchino. La tavola numero
cinque è dedicata a Vittorio Emanuele di
Savoia, primo re del Bel Paese unito,
detto secondo per motivi dinastici suoi,
duri da spiegare ai pargoli del vecchio
Tirolo. Il Signor Savoia, con pizzo e
baffi neri, in apparenza insensibile al
grido di dolore che da tante parti
d'Italia si leva verso di lui, è vestito
da cacciatore borghese. Due cartucciere
gli fasciano la vita a mo' di cintura del
dottor Gibaud. A passo di carica ma non
troppo, aria da gatto e stivali chiodati,
avanza su una strada bianca distesa tra
colline verdi, casette rosse e cieli
slavati, su uno sfondo toscano come il
sigaro che gli pende dalle labbra. Tiene
al guinzaglio una coppia di bracchetti
regnicoli che sembrano usciti dalla penna
di Sergio Tofano del Corriere dei
Piccoli, papà del signor Bonaventura
ricco ormai da far paura.
La tavola numero sei è dedicata alla
regina Italia. E' una donna vestita di
stracci, scialle e fagotto da
fiammiferaia, corona longobarda tra i
capelli. Si aggira scalza per una città
grigia, arginando il pianto con il
fazzoletto. La vera regina di quegli
scolari del primo Novecento trentino è
lei, l'Italia popolana, non Elena,
slanciata consorte montenegrina del
sovrano Vittorio Emanuele terzo
felicemente regnante, figlio di Umberto e
nipote del cacciatore, piccolino di
taglia e numismatico attivissimo. Una
coppia alla mano, poco regale. In una
delle ultime tavole, la regina Italia che
non piange più, vestita di bei panni
trionfali e tricolori. Non è più sola:
è a braccetto del biondo e atletico
Peppino Garibaldi con la sciabola
sguainata, e del signor Savoia seguito
dai bracchetti di prima. L'Italia è
fatta, ora bisogna fare gli italiani.
Nel frattempo, fuori di quell'aula, il
regio commissario di Trento Giovanni
Peterlongo, interpretando a suo dire il
vivo desiderio di tutta la cittadinanza,
in altre parole che l'augusta visita di
Sua altezza reale il principe Umberto
alla città e ai suoi impianti
idroelettrici sia ricordato in modo
imperituro, a riprova del reverente
omaggio della popolazione e del suo
attaccamento ai nuovi regnanti,
determina: il nuovo impianto
idroelettrico sul Sarca, che si aggiunge
a quelli del Fersina e di Fies nati sotto
altra corona, arditamente condotto a
termine dopo la Vittoria e la Redenzione
dalla città di Trento, è degno di
fregiarsi dell'augusto nome del principe.
Viene chiamato Centrale Umberto di
Savoia. E' il 30 aprile del 1924.
Nostalgia sommersa di Cecco Beppe e di
Sissi? Chissà. In ogni caso, addio mia
bella monarchia d'Asburgo, vecchia
signora di un tempo. Lo dice anche una
canzone in voga. Al destino che vien,
rassegnarsi convien.
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In basso:
Dro, impianto idrolelettrico sul
Sarca
intitolato a Umberto II di Savoia
(1924)
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