REVISIONISMI
Si scrive Pinochet
e si legge don Corleone
Alessandro Dell'Aira
A proposito di Augusto Pinochet, nell'ipotesi che
tocchi all'Inghilterra o alla Spagna di
processarlo, o che torni in Cile dove nessuno lo
processerà mai, un lettore qualificato ha
scritto a El País, il più grande quotidiano di
Madrid, che il vero problema è un altro: l'ombra
dei suoi crimini dovrà o non dovrà
accompagnarlo nell'aldilà? Perché morirà anche
lui, come Franco, come Salazar, dovrà chiudere
gli occhi per sempre da qualche parte, in
Inghilterra o in Cile. E ai morti si deve sempre
perdonare.
L'aldilà preoccupa il lettore più della difesa
che di Pinochet è stata fatta negli ultimi tempi
da quanti lo dipingono come un garante della
civiltà liberale in America latina, un ruolo che
certi revisionisti di oggi velatamente
attribuiscono anche a Franco e a Salazar in
Europa tra le due guerre mondiali. I potenti e i
loro interpreti si ergono spesso a difesa delle
dittature passate e rivoltano la storia dell'aldiquà
come un guanto, revisionismo o no, perché non
hanno niente da perdere. O meglio, hanno tutto da
guadagnare, difendono la democrazia finché non
pregiudica i loro interessi e accusano i sempre
perdenti di disfattismo, in altre parole di
essere la causa sostanziale delle crisi della
grande politica e degli irrigidimenti del
pensiero liberale. I sempre perdenti d'altra
parte sono tali perché perdono più degli altri
la libertà e a volte la vita durante le
dittature. Ma siccome alla fine delle dittature
del secolo breve e anche di quelli lunghi, come
nei giorni bui, il sole tramonta come negli altri
secoli e negli altri giorni, loro, i sempre
perdenti, che se ne intendono, per ragioni
umanitarie o in nome di cause superiori e
ineffabili, dovrebbero essere disposti più degli
altri a perdonare i dittatori del passato
prossimo, che non sono mai stati carnefici in
prima persona e pertanto non hanno mai le mani
sporche di sangue altrui.
Il lettore spagnolo, sempre preoccupato in modo
subliminale di ciò che sarà di Pinochet dopo la
morte, ricorda anche che il vero problema non
sono i garanti dei supposti garanti, e dunque
neppure i revisionisti. Il vero problema è il
Potere al potere, la cui pazienza ha i suoi
limiti, è quello che accadde in Cile nel 1973 ed
è quello che accade anche oggi un po' qua e un
po' là. Sicché Pinochet non può e non deve
essere rimandato in Cile. Deve essere processato
in Europa.
A nostro sommesso parere, tuttavia, il vero
problema non è tanto il perdono in extremis o l'eterna
dannazione di Pinochet, e neppure il no al
rimpatrio o all'estradizione, quanto il consumo
presente e futuro dell'icona corrente di Pinochet,
da vivo e da morto. L'informazione finale, nel
senso di spicciola, ce ne offre un'immagine
curata fino al titolo sfocato ma leggibile dei
libri sugli scaffali alle spalle della sua
poltrona durante l'intervista concessa a un
inviato speciale nella sua dimora di Londra.
Quello che legge oggi Pinochet, quello che mangia,
quello che pensa, quello che appare, e non più
quello che è stato, quello che ha letto, quello
che ha mangiato, quello che ha pensato ieri, e
neppure quello che è apparso. Margaret Thatcher
si presenta alle cinque del pomeriggio per
parlare con lui delle Falkland, e a media luz
in salotto gli concede magari di chiamarle
Malvinas, il nome dato dagli argentini alle isole
che nei loro slogan erano state, dovevano essere
e sarebbero dovute restare sempre argentine. Un
tè sorbito dalla lady di ferro con l'ex
dittatore di Santiago che ha difeso gli interessi
dell'Union Jack dalle pretese di Buenos Aires -
Malvinas o Falkland, que más da, il
Cile si affaccia sul Pacifico - ha una forza
comunicativa, un fair play che vale di più di
mille appelli di Amnesty International applicati
ad altre cause. Per non dire di voci autorevoli
che si sono levate, invocando l'età del generale
che del resto appare in ottima forma e aspira a
durare, ad apparire - visto che non può
comparire - in società come un militare, pardon,
un gentleman agli arresti in perfetto aplomb,
continente al massimo, asciutto e aromatizzato
come le foglie del tè di Giacarta. In questi sei
mesi di Inghilterra albionica è ringiovanito e
non dimostra i suoi ottantatré anni di guerriero
in arnese, inopportunamente dato per semisvanito
in patria tempo fa.
Il revisionismo è una pratica che si può
estendere anche a Pinochet, a condizione che lo
si tratti come una Balilla da rimettere in sesto
per i rallies o i saloni degli antiquari. La
carrozzeria è già a posto, il motore non
sappiamo, lui stesso si è dato una ripassata e
si atteggia come un boss di mafia dopo una
scorpacciata di Piovra-stories, e cioè alla star
di un instant book che si muove come don Corleone,
legge i libri preferiti di don Corleone, parla
come il doppiatore di Marlon Brando che
interpreta don Corleone, gestisce i suoi traffici
come se fosse il consigliere di don Corleone e si
percepisce come un eteronimo di don Corleone.
E' questo dunque a nostro giudizio il vero
problema, sempre che Pinochet sia in grado di
tenere. Ciò che importa è che quando sarà ci
lasci in discreta salute, e non come Francisco
Franco, intubato, o come António de Oliveira
Salazar, precipitato dal seggiolone. E neppure
sull'attenti, sarebbe volere troppo. L'ideale è
in poltrona con le gambe accavallate e un libro
aperto sulle cosce, chissà se l'uomo è mai
stato un presidente da Studi Ovali, honny
soit il servizio segreto che pensa male, la
sua icona corrente è da salotto postvittoriano e
da saggi sull'intelletto umano, perché va
dimostrato che c'è sempre stato del marcio negli
eccessi della democrazia coloniale e peninsulare
e che ciò che conta davvero nella mela è il
torsolo, dove non osa neppure il verme. Che Dio
lo conservi a lungo.
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L'ex dittatore cileno Augusto Pinochet
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