CULTURA |
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sabato 15 maggio 1999, S. Torquato |
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Trento. Il dibattito sullo
Statuto di Roma
Un secolo breve ma terribile
il più violento nella storia
dell'umanità: ragione cercasi
Alessandro Dell'Aira
E' entrato nel vivo ieri il dibattito sullo
Statuto di Roma della Corte penale internazionale,
che vede impegnati a Trento giuristi, diplomatici
e storici del diritto di grande prestigio. La
prima impressione, stando a quanto affermano gli
oratori, è che ciascuno tenga a sottolineare che
il proprio intervento ha carattere personale: sia
chi ha svolto un ruolo attivo nella Conferenza di
Roma, sia chi non vi ha preso parte e ha seguito
i lavori dall'esterno. A ben riflettere, tuttavia,
si nota - e non potrebbe essere altrimenti - che
tutti esprimono un punto di vista di parte, di
scuola o di tendenza. Si è così delineata una
mappa dai contorni nitidi, solo in apparenza
approssimati o circoscritti dall'esperienza
soggettiva o professionale. Sicché l'originalità
di questo meeting sta proprio nel suo carattere
di forum indipendente, di alta valenza civile e
nello stesso tempo di laboratorio qualificato per
gli sviluppi del dibattito.
Gli interventi di ieri hanno spaziato dal
rapporto fra Corte penale internazionale e
diritti umani (Fausto Pocar, dell'Università di
Milano, inviato speciale dell'Onu in Cecenia), ai
crimini contro l'umanità (Roger Clark,
neozelandese, della Rutgers University School di
Camden, New Jersey, rappresentante del governo di
Samoa alla Conferenza di Roma), ai crimini di
guerra in relazione ai conflitti internazionali (Gabriella
Venturini, anche lei dell'Università di Milano)
e ai conflitti interni (Luigi Condorelli, dell'Università
di Ginevra, giurista e avvocato di fama
internazionale). Molti contributi di contorno
hanno dato ulteriore rilievo al tema della
sessione antimeridiana, dedicata alla tutela
internazionale dei diritti dell'uomo e presieduta
da Theodor Meron, della New York University
School e rappresentante USA alla conferenza di
Roma. La sessione pomeridiana, presieduta da
Luigi Ferrari Bravo, giudice della Corte europea
dei diritti dell'uomo di Strasburgo, ha
affrontato le prospettive apertesi dopo l'approvazione
dello Statuto, il 17 luglio scorso.
Un intervento per certi versi provocatorio, nel
senso della riflessione sul già fatto e sul da
farsi, è stato quello di Luigi Condorelli,
protagonista con Antonio Cassese, già presidente
e attuale giudice del tribunale internazionale
penale per la ex Jugoslavia, di un breve e lucido
scambio di battute sulla formulazione di alcuni
articoli dello Statuto, in particolare dell'art.
31. Condorelli ha in sostanza sottolineato come
lo Statuto abbia fatto registrare alcuni passi
avanti come strumento dinamico in grado di
riformare il diritto convenzionale invecchiato,
come forma di legittimazione di ciò che ha
chiamato "consuetudine ad alta velocità".
Esso tuttavia, a giudizio di Condorelli, rischia
di dare luogo alla codificazione delle guerre
"eque" attraverso la delegittimazione
delle guerre "inique": una sorta di jus
in bello, mostruosità partorita dal sonno della
ragione del nostro secolo, ancora incapace di
pensare ed agire in termini di jus contra bellum.
Dicendo ciò Condorelli ha esplicitamente
accennato al fallimento di un Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite che non sa trovare
gli strumenti idonei a garantire la pace. Da
discutere è invece il fatto che gli sforzi di
porre un limite alla guerra attraverso la
codificazione di crimini, infrazioni, violazioni,
atti e strumenti attraverso cui essa si attua,
siano davvero un passo indietro rispetto alla
ricerca di una via legale all'abolizione della
guerra. La prevenzione dei crimini contro l'infanzia,
la condanna della violenza sessuale, la difesa
dei beni culturali, rappresentano comunque dei
traguardi positivi. L'importante è che si tenga
conto dell'obiezione e della delusione iniziale
di Pierre Sané, direttore di Amnesty, il quale
valutò con preoccupazione, a conclusione della
Conferenza di Roma, il fatto che il tribunale
penale internazionale abbia una giurisdizione à
la carte e non automatica, nel senso che pone la
condizione che gli Stati accettino di sottoporsi
alla competenza della Corte.
C'è da attendersi che oggi l'ambasciatore
Francesco Paolo Fulci, rappresentante permanente
d'Italia presso l'Onu, interpreti il desiderio e
l'autentico bisogno di pace fattisi così forti
negli ultimi anni di questo secolo "breve"
ma terribile, e invii un richiamo alla
ragionevolezza e alla coscienza degli uomini.
QUAGLIONI E LE RAGIONI
DEL DIRITTO UMANITARIO
Il saluto al convegno di Diego Quaglioni,
direttore del dipartimento di Scienze giuridiche
dell'Università di Trento
"Il meeting di Trento costituisce un'occasione
di particolare importanza per il momento in cui
si svolge, alla fine di un secolo caratterizzato
dal paradossale contrasto fra la costante
riaffermazione dei principi umanitari e la loro
altrettanto costante, cruda violazione. Ciò è
riconosciuto dalla migliore storiografia del
nostro tempo. Age of Extremes, come nel titolo
del bel libro di Eric Hobsbawm, che si apre con
le testimonianze di grandi intellettuali come
Isaiah Berlin e William Golding, per le quali il
nostro secolo è stato il più terribile nella
storia occidentale, il più violento della storia
dell'umanità. Il nostro meeting è chiamato a
misurarsi innanzitutto con questa realtà, cioè
con le incertezze e l'indebolimento dei diritti
umani, a dispetto dello sforzo per riaffermare,
tutelare e garantire i diritti umani, anche
attraverso la loro costituzionalizzazione e
"positivizzazione" (Derecho positivo de
los derechos humanos, si intitola un libro
notissimo di Gregorio Peces Barba, quasi con
sfiducia verso quelle grandi forze spirituali che
nel passato hanno costituito il fondamento dei
diritti umani, considerati indisponibili e
perciò resi inviolabili).
Proprio Giovanni Conso, presidente della
Conferenza di Roma e della prima sessione del
nostro convegno, ha scritto recentemente sull'esistenza
di una "netta, beffarda antitesi con le
speranze" degli ultimi tempi, quasi una
dimostrazione di "come il diritto penale
internazionale sia ancora ben lungi dall'aver
ceduto una parte almeno della sua sfera d'azione
al diritto penale sovranazionale, il solo in
grado di contrapporre, con quei calibrati
condizionamenti della sovranità statale"
che si rendono necessari, risposte adeguate agli
intollerabili eccessi che il soffocamento dei
diritti umani, quando diventa sistematico, fa
registrare. Eccidi, stermini, pulizie etniche,
aggressioni (legittime o no è problema diverso,
posto che in ogni caso esse implicano stato di
guerra, per antonomasia la maggiore nemica dei
diritti umani). A noi spetta dunque di
riaffermare le ragioni del diritto umanitario,
consapevoli che, in definitiva, tutto il diritto
internazionale riposa e si fonda su di un solo
principio, che è il principio di umanità".
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la Conferenza di Roma
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