Russia, inverno eterno
Il dopo Eltsin tra l'economia
malata e la mafia
IL LIBRO Inchiesta firmata Scott e Tramballi
Alessandro Dell'Aira
Dicono i russi che quando certi
alberi producono bacche grosse l'inverno sarà
freddo e lungo. Che sia freddo e talora
freddissimo è scontato, di solito però la
durata di una stagione, fredda o calda che sia,
ozono e Niño permettendo, si misura dalle
reazioni dei vegetali, dall'istinto degli animali
e dalla percezione che ne hanno gli individui, le
categorie, i gruppi, i popoli, le etnie. L'inverno
poi, in Russia come altrove, è più lungo per
gli anziani che per i giovani, a pari condizioni
di efficienza fisica e di libertà materiale e
spirituale. Evoca in genere scoramento e
tristezza più che ottimismo e allegria,
congelamento e stagnazione anche economica,
complicazioni climatiche e antropiche (mentre per
noi è caldo anche l'autunno e da trent'anni
anche la primavera mitteleuropea), conservazione
in tutti i sensi, barili raschiati fino alla
feccia, cenere fredda e sonnacchiosa sotto le
stelle, le braci coperte, qualche scintilla
impazzita e il fuoco attizzato di tanto in tanto,
anche dal vento, e sorvegliato sempre, con
maggiore o minore successo, dall'uomo.
Detto questo si comprende cosa c'è dietro il
titolo di un instant book di Antonella Scott e
Ugo Tramballi sulla Russia del dopo Eltsin, Quando
l'inverno finirà, il secondo della
collana "Le sfide" del Sole 24 Ore
diretta da Antonio Calabrò (214 pagine, 16 mila
lire).
Non siamo informati su quali parti siano dell'uno
e quali dell'altra (un lettore attento però lo
scopre), o se i capitoli (nove) siano tutti
scritti a quattro mani, secondo ciò che
intendiamo per testo musicale o verbale eseguito
con intenti di unità comunicativa ed espressiva.
Fatto sta che il libretto si legge
iperbolicamente in un fiat, se si è dentro il
tema, e nell'equivalente di un temporale estivo
se non si mastica molto di economia (ma l'evidenza
e l'attualità spesso tragica di questi mesi sono
sotto gli occhi di tutti coloro ai quali può
capitare di averlo tra le mani).
Tempo fa abbiamo visto in tv due cosmonauti russi
(gli americani sono astronauti, ricordano Scott e
Tramballi) prendere parte da comparse attive a
una puntata di "Carramba che sorpresa".
Considerato che Gorbaciov ha fatto da testimonial
a un olio italiano e a una pizza americana, e ha
sociologizzato il festival di Sanremo, in quella
sortita non c'era poi granché di male.
Il fatto è che la caccia grossa allo sponsor
dallo spazio e dalle platee, anni luce fa detta
mercificazione spicciola in quanto priva di scala
e fini apprezzabili, non produce molta fiamma,
solo fuochi di paglia. Mentre l'inverno lungo
richiede fuoco tosto e regolabile al bisogno.
Con paradossi e parabole la matematica e la
filosofia si spiegano meglio. Figurarsi l'economia,
che ha bisogno di figure come quella delle buche
di Keynes, da scavare e riempire con la terra
delle buche precedenti, o del capitalismo-calabrone
di Galbraith, che vola benissimo ma si stenta a
capire come fa, pesante e massiccio com'è
rispetto alle ali. Sono immagini, queste, che si
applicano all'economia liberalizzata e non a
quella del tutto abbandonata a se stessa. Mentre
un paradosso adatto alla Russia del dopo Eltsin
sarebbe questo: per diventare normale la Russia
ha bisogno di tempo, ma non ne ha perché se
resta ferma di fatto indietreggia, se
indietreggia precipita, se avanza e si mette a
spingere in salita finisce travolta da cinque
secoli di zarismo più settant'anni di dittatura
comunista, in totale un macigno di quasi sei
secoli. Il mito di Sisifo, infatti, non si
applica alla Russia perché la Russia non è
sembrata finora intenzionata a spingere il
macigno fino in cima per poi farlo rotolare in
basso e ricominciare a girare sassi, a scavare
buche, facendo di tutto sul piano del lecito pur
di rischiare molto e di rosicare qualcosa.
Nella Russia di oggi gli autori hanno trovato per
lo più rassegnazione (il paese, dice la gente,
è troppo grande), mafia e tangenti (da far
invidia ad altre realtà ben note), potenziali
tesori di natura che nella contingenza valgono
meno dei ceci, come i diamanti della ex Jakuzia (quella
del Risiko, oggi ha cambiato nome e si chiama
Sakha), miscele esplosive di democrazia e
autoritarismo, Nicola II e Lenin con le barbe
intrecciate, grandi armamenti all'asta, sale
eccellenti del Cremlino a noleggio per riunioni
private, ottantanove minipotenze nucleari, una
Cecenia scatenata contro Mosca, Mosca che se la
prende con la Calmucchia che minaccia di non
pagare più tasse ma non è scatenata come la
Cecenia, una Russia malata concepita da un'Unione
Sovietica boccheggiante, ombra svanita dai tavoli
che contano e dalle carte geografiche delle
elementari.
Brezhnev, che stagnazione, Gorbaciov, che
promesse, Eltsin, che delusione. Scopriamo che la
metafora del ravanello rosso fuori e bianco
dentro, sbandierata da Walesa nei cinque
continenti a proposito di certi polacchi di ieri
e di oggi, la usò Stalin per primo contro Mao, e
i nemici di Stalin la ritorsero contro chi l'aveva
inventata. E se bianco vuol dire nazionalista,
sulla questione della Polonia rischia di essere
un ravanello anche Rosa Luxemburg. L'unico che si
salva è Trotzkji, o piuttosto il suo tragico
fantasma.
Abbiamo un po' banalizzato.
Il libro è anche ricerca di prospettive e di
soluzioni attraverso l'analisi delle cause
economiche dei mali storici della Russia del dopo
Eltsin. "Quando finirà l'inverno" non
è una domanda indiretta, è un invito a non
porsi il problema del tempo che non si ha, nel
senso che ciò che secondo gli autori c'è da
fare va fatto subito.
"Non ho tempo", dice quasi sempre chi
non intende trovarne per le cose di cui non è
convinto, o a cui non è abituato. Il deficit di
tempo lamentato da chi si rifiuta di imboccare
una certa strada, o di fare oggi un qualcosa che
sarà sempre possibile fare domani a meno di un
cataclisma o di un evento irrimediabile,
normalmente si cura con la frase: "Prova a
farlo quando hai finito il tempo", nel
nostro caso "quando è finito l'inverno"
come stagione dell'animo e non dell'anno o della
storia. Sempre, comunque, dappertutto.
Non solo nella Russia del dopo Eltsin: anche
stasera, chi si è appena alzato e ha il giornale
in mano, oppure domani, chi casca dal sonno, lo
poggia sul comodino, si toglie gli occhiali e
spegne la luce.
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