CULTURA  
sabato 29 maggio 1999, S. Massimino  
   
Russia, inverno eterno
Il dopo Eltsin tra l'economia malata e la mafia
IL LIBRO Inchiesta firmata Scott e Tramballi

Alessandro Dell'Aira

Dicono i russi che quando certi alberi producono bacche grosse l'inverno sarà freddo e lungo. Che sia freddo e talora freddissimo è scontato, di solito però la durata di una stagione, fredda o calda che sia, ozono e Niño permettendo, si misura dalle reazioni dei vegetali, dall'istinto degli animali e dalla percezione che ne hanno gli individui, le categorie, i gruppi, i popoli, le etnie. L'inverno poi, in Russia come altrove, è più lungo per gli anziani che per i giovani, a pari condizioni di efficienza fisica e di libertà materiale e spirituale. Evoca in genere scoramento e tristezza più che ottimismo e allegria, congelamento e stagnazione anche economica, complicazioni climatiche e antropiche (mentre per noi è caldo anche l'autunno e da trent'anni anche la primavera mitteleuropea), conservazione in tutti i sensi, barili raschiati fino alla feccia, cenere fredda e sonnacchiosa sotto le stelle, le braci coperte, qualche scintilla impazzita e il fuoco attizzato di tanto in tanto, anche dal vento, e sorvegliato sempre, con maggiore o minore successo, dall'uomo.
Detto questo si comprende cosa c'è dietro il titolo di un instant book di Antonella Scott e Ugo Tramballi sulla Russia del dopo Eltsin, Quando l'inverno finirà, il secondo della collana "Le sfide" del Sole 24 Ore diretta da Antonio Calabrò (214 pagine, 16 mila lire).
Non siamo informati su quali parti siano dell'uno e quali dell'altra (un lettore attento però lo scopre), o se i capitoli (nove) siano tutti scritti a quattro mani, secondo ciò che intendiamo per testo musicale o verbale eseguito con intenti di unità comunicativa ed espressiva.
Fatto sta che il libretto si legge iperbolicamente in un fiat, se si è dentro il tema, e nell'equivalente di un temporale estivo se non si mastica molto di economia (ma l'evidenza e l'attualità spesso tragica di questi mesi sono sotto gli occhi di tutti coloro ai quali può capitare di averlo tra le mani).
Tempo fa abbiamo visto in tv due cosmonauti russi (gli americani sono astronauti, ricordano Scott e Tramballi) prendere parte da comparse attive a una puntata di "Carramba che sorpresa". Considerato che Gorbaciov ha fatto da testimonial a un olio italiano e a una pizza americana, e ha sociologizzato il festival di Sanremo, in quella sortita non c'era poi granché di male.
Il fatto è che la caccia grossa allo sponsor dallo spazio e dalle platee, anni luce fa detta mercificazione spicciola in quanto priva di scala e fini apprezzabili, non produce molta fiamma, solo fuochi di paglia. Mentre l'inverno lungo richiede fuoco tosto e regolabile al bisogno.
Con paradossi e parabole la matematica e la filosofia si spiegano meglio. Figurarsi l'economia, che ha bisogno di figure come quella delle buche di Keynes, da scavare e riempire con la terra delle buche precedenti, o del capitalismo-calabrone di Galbraith, che vola benissimo ma si stenta a capire come fa, pesante e massiccio com'è rispetto alle ali. Sono immagini, queste, che si applicano all'economia liberalizzata e non a quella del tutto abbandonata a se stessa. Mentre un paradosso adatto alla Russia del dopo Eltsin sarebbe questo: per diventare normale la Russia ha bisogno di tempo, ma non ne ha perché se resta ferma di fatto indietreggia, se indietreggia precipita, se avanza e si mette a spingere in salita finisce travolta da cinque secoli di zarismo più settant'anni di dittatura comunista, in totale un macigno di quasi sei secoli. Il mito di Sisifo, infatti, non si applica alla Russia perché la Russia non è sembrata finora intenzionata a spingere il macigno fino in cima per poi farlo rotolare in basso e ricominciare a girare sassi, a scavare buche, facendo di tutto sul piano del lecito pur di rischiare molto e di rosicare qualcosa.
Nella Russia di oggi gli autori hanno trovato per lo più rassegnazione (il paese, dice la gente, è troppo grande), mafia e tangenti (da far invidia ad altre realtà ben note), potenziali tesori di natura che nella contingenza valgono meno dei ceci, come i diamanti della ex Jakuzia (quella del Risiko, oggi ha cambiato nome e si chiama Sakha), miscele esplosive di democrazia e autoritarismo, Nicola II e Lenin con le barbe intrecciate, grandi armamenti all'asta, sale eccellenti del Cremlino a noleggio per riunioni private, ottantanove minipotenze nucleari, una Cecenia scatenata contro Mosca, Mosca che se la prende con la Calmucchia che minaccia di non pagare più tasse ma non è scatenata come la Cecenia, una Russia malata concepita da un'Unione Sovietica boccheggiante, ombra svanita dai tavoli che contano e dalle carte geografiche delle elementari.
Brezhnev, che stagnazione, Gorbaciov, che promesse, Eltsin, che delusione. Scopriamo che la metafora del ravanello rosso fuori e bianco dentro, sbandierata da Walesa nei cinque continenti a proposito di certi polacchi di ieri e di oggi, la usò Stalin per primo contro Mao, e i nemici di Stalin la ritorsero contro chi l'aveva inventata. E se bianco vuol dire nazionalista, sulla questione della Polonia rischia di essere un ravanello anche Rosa Luxemburg. L'unico che si salva è Trotzkji, o piuttosto il suo tragico fantasma.
Abbiamo un po' banalizzato.
Il libro è anche ricerca di prospettive e di soluzioni attraverso l'analisi delle cause economiche dei mali storici della Russia del dopo Eltsin. "Quando finirà l'inverno" non è una domanda indiretta, è un invito a non porsi il problema del tempo che non si ha, nel senso che ciò che secondo gli autori c'è da fare va fatto subito.
"Non ho tempo", dice quasi sempre chi non intende trovarne per le cose di cui non è convinto, o a cui non è abituato. Il deficit di tempo lamentato da chi si rifiuta di imboccare una certa strada, o di fare oggi un qualcosa che sarà sempre possibile fare domani a meno di un cataclisma o di un evento irrimediabile, normalmente si cura con la frase: "Prova a farlo quando hai finito il tempo", nel nostro caso "quando è finito l'inverno" come stagione dell'animo e non dell'anno o della storia. Sempre, comunque, dappertutto.
Non solo nella Russia del dopo Eltsin: anche stasera, chi si è appena alzato e ha il giornale in mano, oppure domani, chi casca dal sonno, lo poggia sul comodino, si toglie gli occhiali e spegne la luce.