LE LETTERE |
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venerdì 2 luglio 1999, S. Vitale |
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Quell'ottavo pezzo del
mistero etrusco
Alessandro Dell'Aira
La Tavola di Cortona è una lamina incisa del
terzo-secondo secolo avanti Cristo, un foglio A3
di bronzo frantumato in otto pezzi formato
memotac di cui uno mancante all'appello.
Ultimo mistero etrusco gloriosamente annunciato,
ennesimo e doloroso mistero della burocrazia
culturale e ambientale italiana.
Ci chiediamo, da cittadini, se sia ammissibile
che la comunità internazionale degli etruscologi,
i media, la stampa specializzata, e perché no,
gli studiosi non accademici e gli appassionati di
scienze dell'antichità debbano apprendere dell'evento
a cose strafatte, quasi sette anni dopo.
Tanti infatti ne sono passati dalla consegna ai
carabinieri di Cortona dell'ormai mitico
sacchetto di plastica con i sette (sempre sette)
frammenti da parte di un privato. Era il 12
ottobre 1992, quinto centenario dello sbarco di
Colombo, ma quella è un'altra scoperta e si è
saputa prima.
Una domanda così fa quasi sempre arricciare il
naso nei dipartimenti accademici e negli uffici
territoriali (con la p o la v,
a piacere: le Pagine Gialle d'Italia sono piene
di Soprintendenze, Sovrintendenze,
Sopraintendenze, Sovraintendenze). Gli addetti
del luogo sostengono di avere il diritto di
prelazione anche sui reperti occasionali e spesso
se li contendono dietro le quinte finché possono
tirare la corda. Se la voce filtra, o quando non
c'è più niente da spolpare, si affrettano a
dare fiato alle trombe.
Chi ha dato la notizia questa volta è Francesco
Nicosia, all'epoca del rinvenimento
soprintendente (con la p) ai beni
archeologici della Toscana, oggi ispettore di Sua
Grazia Giovanna Melandri, ministro dei beni
culturali e ambientali. Nel corso della sua
presentazione Nicosia si è lasciato scappare un
pettegolezzo:«Ho ricevuto pressioni per farlo,
ma non dico da chi. Avrei voluto aspettare ancora
perché ci sono ancora troppe cose poco chiare in
questa vicenda. Così rischiamo di non ritrovare
più l'ottavo pezzo della tavola e i grandi
tesori che si presuppone fossero insieme a quel
pezzo» (la Repubblica di ieri 1°
luglio).
Misteri etruschi. Che visti dalla Rezia mettono
voglia, come al Raimundo Silva revisore
editoriale dell'«Assedio di Lisbona» di
Saramago, di aggiungere un non dove non
c'è: «Ho ricevuto pressioni per non
farlo, ma non dico da chi». Eccetera. Nel
frattempo la Tavola di Cortona non ha più
misteri per nessuno. Presentata, friùta (fritta)
e magnata, come dicono a Napoli. E agli
etruscomani delle province (o provincie, vedi le
Pagine Gialle), con la bava alla bocca, non resta
che sperare di leggere, fra altri sette anni, che
l'ottavo pezzetto di bronzo è saltato fuori da
qualche parte, in una discarica di Perugia, sulla
rocca di Volterra, in fondo al lago Trasimeno o
in testa a un binario morto della stazione
ferroviaria di Cortona, con la soluzione finale a
sorpresa: «Questo testo non è stato
scritto dallo sparsa sazle quello che è nel
Tuc». «Questa Tavola è autentica come le teste
di Modigliani del Porto Canale di Livorno».
«Noi Etruschi abbiamo imparato a scrivere dai
Romani». «Il re Tarquinio non era Superbo».
«La Decapoli esporta bagigi in Magna Grecia».
Firmato (a caratteri ASCII): Indiana Jones,
specialista in misteri di Pulcinella.
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