LE LETTERE |
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giovedì 15 luglio 1999, S.
Bonaventura |
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La morte di un carpentiere
per non vivere di elemosine
Alessandro Dell'Aira
Sabato 10 luglio, a Palermo, Salvatore Cimino,
carpentiere da tempo disoccupato, separato dalla
moglie, tre figli, si è arrampicato sul
ponteggio di un monumento, a trenta metri dal
Municipio, si è sfilato la cinghia e se l'è
stretta al collo lasciandosi cadere. Il corpo lo
hanno trovato più tardi i vigili urbani.
Salvatore Cimino ha avuto il cattivo gusto di
andarsene da questo mondo sbattendo la porta, nel
luogo e nel momento meno opportuni: Piazza
Pretoria e la vigilia festosa del Festino della
santa patrona Rosalia (costo pubblico stimato:
due miliardi, fuori bilancio, duecento cubani e
il regista francese Savary con i muscoli caldi,
tra poco batteranno cassa).
Piazza Pretoria. Un luogo pubblico-simbolo, quasi
un luogo comune come le piazze San Venceslao e
Tien An Men. Salvatore Cimino, che intellettuale
non era, nell'ultimo istante della sua vita non
avrà certamente pensato a quello. Ciò
attribuisce al suo gesto disperato, al suo
pentirsi di esistere, un ipersenso globale. Sul
suo corpo sono già cominciate le risse. Accuse
di strumentalizzazione, accuse di malgoverno.
Inviti all'espiazione pubblica, inviti al
silenzio. Un frastuono infernale, attutito solo
dal black out informatico del "Giornale di
Sicilia", che -fatalità- domenica e lunedì,
per la prima volta nella sua storia virtuale, non
è uscito. Dagli al bigotto, dagli all'epicureo,
dagli a chi rema contro, dagli a chi rema a
favore. Sotto le altri voci, come un bordone a
bassa frequenza, un continuum: la voce
del pragmatismo e dell'operativismo drammatico.
Bisogna pentirsi, e pubblicamente; Palermo si
salva con il pentimento della classe dirigente.
Attenzione: pentimento esistenziale, non
programmatico, comportamentale e non ideologico,
pentimento come esercizio di vocazione al
martirio, come ultima chance di salvezza
di fronte alla casa che brucia, al rogo sul punto
di divampare.
Salvatore Cimino voleva lavorare, non voleva
elemosine. In un momento in cui sono stati
tagliati trentaquattro miliardi di spese sociali.
Con due miliardi di festini fuori bilancio.
Pretese assurde. Il Festino s'ha da fare. Tesi
prima: privilegiamo il momento della speranza e
non quello della disperazione. Tesi seconda: se
non si fa il Festino l'immagine di Palermo ne
soffre. Ma quale immagine? Nonostante i lifting
conclamati, l'immagine di Palermo continua ad
essere quella barocca e spagnoleggiante dell'effimero.
Il Teatro del Sole e dello Spasimo. Non c'è pane?
Brioches. Non c'è lavoro? Feste. Non c'è pace
sociale? Pentimenti. Duecento cubani e un regista
gauchiste che battono cassa? Un
contrattempo, pagheremo. Per il bilancio, c'è
tempo.
Il bilancio nel frattempo lo ha fatto Salvatore
Cimino. Istantaneo, mentale, compulsivo, e si è
buttato giù. Il povero ama il lusso, e chi ama
la miseria è intellettuale. Salvatore Cimino è
un pentito. Pentito di amare il lusso. Pentito di
non essere intellettuale. Pentito di continuare a
vivere questa vita drammatica.
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