CULTURA  
martedì 2 novembre 1999, Commemorazione dei defunti  
   
Gombrich, il cerebrale
Una vera avventura intellettuale senza confini
Riscoperte. Il detective dei misteri artistici

Alessandro Dell'Aira

Il giovane Gombrich, futuro teorico dell'arte, quando studiava nel Collegio Teresiano di Vienna ricevette in dono due volumi sulla scuola storico-artistica tedesca. In assenza di televisione ebbe anche modo di leggerli, e addirittura, come più tardi osservò con arguzia, di usarli per la tesina di fine corso, dedicata ai diversi modi di guardare l'arte dal Winckelmann in poi. Quel dono non era inatteso: la biblioteca di casa era invasa dai libri, il Kunsthistorisches Museum era a due passi da scuola, i suoi genitori, che amavano Goethe, l'Italia e l'arte rinascimentale, frequentavano Mahler e Schoenberg, con il quale sua madre si era rifiutata di suonare perché, diceva, era "incapace di tenere il tempo". Ernst non voleva diventare avvocato e si iscrisse a storia dell'arte. Come primo lavoro gli toccò da fare la storia della famosa Peterskirche, di cui Andrea Pozzo avrebbe dovuto realizzare la cupola. Si appassionò talmente alla ricerca che Schlosser, il suo futuro maestro, gli propose di pubblicarla, suggerendogli immediatamente un altro soggetto: una pisside che passava per paleocristiana ma in realtà era carolingia. Ancora una volta Gombrich diede alle stampe un saggio, e così fece, sempre, con tutti i temi di storia dell'arte che gli capitava di affrontare in pubblico o in privato, seguendo i ritmi scanditi dalla passione personale e dalle occasioni afferrate al volo, un po' come Aby Warburg, il famoso critico che aveva riempito schede su schede passando da un tema all'altro, apparentemente senza costrutto ma con l'intento di sperimentare metodi nuovi e di tracciare altri percorsi di ricerca. Poi vennero per Gombrich i motivi a palmetta, l'acanto, la gestualità nelle miniature dei codici sassoni, i calchi dell'Accademia di Belle Arti, i quadri di Kandinskij. Nel 1932 si recò a Berlino da Woelfflin, che aveva molto da dire sul senso tedesco della forma nell'arte italiana, e procedeva per accostamenti di diapositive, con il sussidio di testi illustrati che faceva circolare in aula. Un metodo inconsueto, affascinante, che privilegiava la fruizione delle immagini rispetto alla lezione cattedratica. A Berlino Ernst seguì anche Koehler, docente di teoria della conoscenza, e vari mostri sacri della critica d'arte, senza perdersi per questo i musei e i migliori teatri. Si fermò per sei mesi nella capitale tedesca, percorsa dal clima montante del nazionalsocialismo. Poi venne a scegliersi in Italia un tema significativo. Lo trovò a Mantova nel manierismo e in Giulio Romano, di cui scoprì due lettere inedite, conquistandosi la stima della città. Tornato a Vienna, dove Freud aveva pubblicato il suo saggio sul motto di spirito, si dedicò con altri allo studio della caricatura moderna, che mise in rapporto con la magia di effigie, teorizzando che all'emozione e al mistero dell'arte dei primitivi fosse subentrato, per gradi, il sorriso distaccato della coscienza che coglie i punti deboli del mondo circostante.
Nel 1935 scrive una storia universale per i piccoli, tradotta in cinque lingue. Visto il successo, l'editore gli affida una storia universale dell'arte, sempre per l'infanzia. Ma Gombrich osserva che proporre l'arte ai bambini non ha senso, visto che le immagini per loro non sono che frammenti di storia illustrata. Il nazismo incombe: Gombrich decide, come tanti altri intellettuali perseguitati, di rifugiarsi a Londra. Insegna negli Istituti Warburg e Courtauld e si dedica all'Umanesimo e al Rinascimento. La guerra vanifica il suo progetto di un manuale di iconografia. Lavora per la BBC e si dedica, controvoglia, alla vecchia proposta di una storia dell'arte per i piccoli. Nel 1945 torna al Warburg Institute: ha trentasei anni, è ancora borsista, ma nel 1950 è già professore a Oxford, sulle orme di Kenneth Clark. Segue da vicino Karl Popper, interrogandosi sulla possibilità di una visione critica non opinabile. Si pone domande scontate e dunque intriganti, di cui una provocatoria, la solita: cos'è un'opera d'arte? Quella "sublime", "eccezionale", o l'opera significativa, portatrice di valori? Gombrich, memore del suo maestro Schlosser, risponde alla fine che l'arte non esiste, ci sono solo gli artisti. E che la loro attività è radicata nei repertori della tradizione.


Ernst Gombrich durante un'intervista (immagine tratta da Internet).


Ernst Gombrich oggi ha novant'anni. Ha diretto il Warburg Institute dal 1959 al 1976. Ha insegnato a Oxford e a Londra. Dopo The Story of Art, di cui ha venduto oltre cinque milioni di copie, si è occupato di arte e progresso, di relativismo culturale, di studi sull'uomo. Secondo alcuni è qualcosa di più e qualcosa di meno di uno storico dell'arte: qualcosa di meno, perché non è un connaisseur e non fa il critico a tempo pieno; qualcosa di più, perché il suo ambito di ricerca è vastissimo, trasversale, proprio di chi si guarda intorno e solleva questioni di ogni tipo, senza aspirare a risposte definitive, girando intorno ai grandi misteri, arte compresa, a cavallo di un manico di scopa, come nel titolo di uno dei suoi saggi. La voce di Gombrich ci raggiunge sempre come se provenisse dal suo luogo e dal suo tempo, la Vienna degli anni venti: ci ha fatto questa impressione anche la raccolta di saggi e interviste che Einaudi gli ha appena dedicato. Non si tratta del solito collage di pagine sparse, riproposte con disperazione e allegria. A parte due o tre refusi iniziali, sintomo leggero di cedimento alla fretta che non va mai sottaciuto, il libro ha una sua fisionomia unitaria e vivace, soprattutto nella ricostruzione del mitico clima culturale viennese, ancora immune dal ciclone di intolleranza e violenza che sta per abbattersi sull'Europa.
Ernst H. Gombrich, Dal mio tempo. Città, maestri, incontri, a cura di R. Woodfield. Einaudi, pagine 154, lire 28.000.