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Lo scrittore colombiano Garcia Marquez
con Fidel Castro
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Gabo,
la vita è un romanzo
Garcia Marquez: il diario da
Macondo all'Europa
IL LIBRO
di Alessandro
Dell'Aira
La vita è un fascio di storie che un uomo o una
donna ricordano per come le raccontano.
"Vivir para contarlo" è il primo
volume delle memorie di Gabriel García Márquez,
colosso della letteratura latinoamericana,
colombiano di Aracataca e in esilio volontario a
Città del Messico. La versione originale è
uscita alla fine di ottobre. La rivista
letteraria di Márquez offre il libro autografato
a 350 dollari. La versione italiana, "Vivere
per raccontarla" (Mondadori) è ora nelle
librerie. Ai tempi del colera i benestanti
venivano dai Caraibi a vedere Parigi in luna di
miele. Oggi l'Europa di massa è attratta dal
sogno dei Caraibi. Business per business,
diciamolo: un charter da mille dollari non vale i
diciotto euro e sessanta delle memorie di Gabo,
con autografo a stampa in quarta di copertina.
Márquez, che non pubblicava libri dal 1996, ha
finito di scrivere questo volume autobiografico
due anni fa e lo ha aggiornato nel giugno scorso
con una nota amara, la scomparsa della madre
novantottenne. Questa morte raccontata come una
divagazione tra una pagina e l'altra ha il
consueto valore simbolico e magico-realistico. A
ventidue anni Gabo veste da hippy con vent'anni
di anticipo, finge di studiare per avvocato e
scribacchia per un giornale di Barranquilla.
Legge Faulkner e vuole diventare scrittore. E' il
carnevale del 1950, la madre gli si para davanti
con gli occhiali da presbite e i capelli grigi.
E' venuta per portarlo con sé ad Aracataca dove
c'è la casa di famiglia da vendere. Lo
rimprovera per conto del padre e lo mette alle
strette. I due si imbarcano su un traghetto.
Partono da Barranquilla, imboccano un canale
scavato dagli schiavi e affrontano la laguna
infida di Ciénaga. Oltre la barra di sabbia nel
mare verde dei Caraibi ondeggia un esercito di
galline annegate con la cresta bianca. Tra le
mani della madre il rosario ha la forza di un
argano barocco capace di bloccare un aeroplano.
Questo spiega perché quando lei muore, nel
giugno del 2002, suo figlio è premio Nobel da
vent'anni. I due sbarcano e passano dal traghetto
a un treno desolato che scivola tra i banani e
sfiora Macondo, l'unica piantagione che abbia un
nome, il nome di una pianta simile alla ceiba.
Questo Gabo lo apprende da un'enciclopedia dopo
aver usato quel nome in tre romanzi. Per lui
l'uso letterario dei nomi di persona e di luogo
tratti dai ricordi di vita vissuta è un modo per
esorcizzare un passato duro da digerire, ancora
oggi che la ricerca negli archivi della memoria
personale è messa in difficoltà dal tramonto
delle enciclopedie cartacee e dall'inflazione dei
motori di ricerca in rete.
La casa di Aracataca non si venderà ma da
quell'affare mancato parte il fascio di storie e
di romanzi che Gabo ha scritto nell'arco di mezzo
secolo. Quella casa divisa in due parti, una con
gli inquilini e l'altra vuota, è un baule
stipato di personaggi che una volta sollevato il
coperchio escono a frotte o da soli per essere
raccontati. L'amore contrastato dei genitori di
Gabo, lei Luisa Santiaga figlia del colonnello
liberale Nicolás Márquez detto Papalelo che una
volta comprò settanta vasi da notte per ospitare
degnamente le compagne di scuola della figlia,
lui Gabriel Eligio galante telegrafista del
paese, medico mancato e violinista specializzato
in irresistibili serenate all'alba. La zia Pa,
che stima il valore di un pianoforte pari a
quello di cinquecento uova, ancora e sempre il
nonno che davanti a un quadro gli racconta per
filo e per segno la storia di Simon Bolívar...
La scuola elementare montessoriana, dove non
imparò mai le radici quadrate, ricordo felice
per lui e infelice per sua sorella. I fumetti di
Tarzan. Il primo racconto pubblicato qualche mese
dopo aver finito il liceo, l'amicizia con Camilo
Torres, i disordini di Bogotá del '48 seguiti
all'uccisione di Gaitán che doveva incontrare
Castro, le esperienze da reporter tra i
guerriglieri e la partenza per Ginevra come
inviato speciale del suo quotidiano di
Barranquilla al Congresso dei quattro Grandi.
"Vivere per raccontarla" si chiude con
questo primo approccio europeo, che doveva durare
due settimane e invece durò tre anni. Dopo
l'avvio romanzesco la forma è quella pacata del
diario, insostituibile per chi è interessato
alla formazione giornalistica del grande
scrittore colombiano. Lo stacco si avverte, anche
perché le prime pagine ricordano in qualche modo
Juan Rulfo, il messicano autore di Pedro Páramo
che iniziò come fotografo e diventò scrittore
riflettendo sulla propria esperienza parallela.
Pedro Páramo per alcuni è il capolavoro della
letteratura latinoamericana di tutti i tempi. La
fotografia della madre che Páramo porta nel
portafoglio è la chiave di volta di un viaggio
nel passato. Il realismo di García Márquez ha
altri connotati. Usa i nomi come fotografie e
magiche gigantografie. Inoltre, un bel diario non
è un bel romanzo. D'altra parte, come dice
Saramago che è stato pure lui giornalista, la
vita dei premi Nobel non è tutta letteratura.
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