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Creature fatate


Come capire
i bimbi autistici



La Erickson di Trento
ha curato una nuova edizione
del testo dei Brauner
 
   



di
Alessandro Dell'Aira


LE CREATURE FATATE. Una volta l'autismo era visto come l'effetto del tocco delle fate che avevano rapito il senno dei bambini, o li avevano cambiati.
Una "Storia degli autismi" è stata scritta negli anni Ottanta da Alfred e Françoise Brauner, due coniugi francesi da poco scomparsi che hanno dedicato la loro vita all'infanzia sofferente. Il Centro studi Erickson di Trento, casa editrice che si avvale di un catalogo ricchissimo di pubblicazioni sulla didattica e l'handicap, ha pubblicato di recente un'edizione accresciuta del libro, con una prefazione di Antonio Canevaro.
Alfred era linguista e sociologo dell'infanzia, Françoise pediatra e psichiatra infantile. Entrambi iniziarono a occuparsi di infanzia perseguitata e in difficoltà accogliendo a Parigi i bambini profughi dalla Spagna sconvolta dalla guerra civile, e quelli ebrei vittime dell'odio nazista esploso nella "notte dei cristalli" del novembre 1938.
Dopo la guerra l'attività dei Brauner proseguì con l'accoglienza ai piccoli reduci da Auschwitz e Buchenwald, oltre a molti portatori di handicap e tra questi agli affetti da autismo. Dal 1955 in poi la loro missione continuò nel centro di Saint-Mandé presso la capitale, e si concluse nel 1982.
Il libro dei Brauner inquadra il problema partendo dalle favole dei bambini "fatati", approda alla ricerca scientifica e si conclude con un'appendice filmografica che parte dal 1956, in cui sarebbe stato certamente incluso "Man Ray" se fosse uscito qualche anno prima.
"Storia degli autismi" è ricco di spunti utili ai genitori e agli operatori specializzati, ma anche a quanti si interessano al problema per ragioni professionali complesse, come gli educatori e gli amministratori. Vi sono trattati in modo approfondito gli studi di Kanner sull'autismo e due sindromi, quella di Rett e quella di Asperger.
Vi si ricostruisce la storia della questione a partire da quando, agli inizi dell'Ottocento, la medicina e la letteratura iniziarono a interessarsi ai casi di bambini di grande sensibilità e scarsa concentrazione, aggressivi e propensi all'isolamento, poco loquaci e poco reattivi.
La sindrome autistica si manifesta entro i primi due anni di vita del bambino, che non cerca il contatto fisico con i genitori, non è in grado di riprodurre azioni già sperimentate come ad esempio la posizione da assumere durante la poppata, non guarda negli occhi, non reagisce alle sollecitazioni affettive, è lento nell'apprendere e nel comunicare, controlla poco i gesti e stabilisce relazioni asimmetriche con gli oggetti, nel senso che alcuni lo interessano molto e altri no.
I genitori che ritengono di individuare questi sintomi nei loro figli devono valutarli con attenzione senza drammatizzare, considerando che individuare dei sintomi non è lo stesso che diagnosticare una sindrome, e che descrivere una sindrome non vuol dire saper affrontare una malattia.
L'osservazione richiede distacco e continuità e va estesa a tutte le manifestazioni attraverso le quali la patologia può essere studiata e osservata in termini scientifici. I Brauner hanno dato molta importanza ai disegni come manifestazioni delle potenzialità espressive e creative, e ai filmati come registrazione di atteggiamenti e comportamenti. Quando nel 1982 lasciarono il posto a studiosi e operatori più giovani, sapevano che la narrazione e la divulgazione avrebbero potuto rappresentare un buon modo per proseguire nella ricerca e nell'impegno.
Il libro uscì nel 1986 con il titolo "L'enfant déreel", Il bambino dereale. La distinzione dei Brauner tra autismo e derealismo sta nel fatto che il bambino definito autistico si concentra su di sé, mentre quello definito dereale è incapace di reagire al mondo esterno, perché il reale per lui non ha senso.
E' questo in sintesi il bilancio dell'esperienza scientifica dei Brauner, e della loro esistenza dedicata ai bambini infelici e sofferenti, del loro lungo impegno perché questi figli "cambiati" possano essere sottratti alle fate e ricondotti alla realtà.



Alfred e Françoise Brauner
Storia degli autismi.
Dalle fiabe popolari alla letteratura scientifica
Trento, Erickson, 2003. 314 pagine, 14,90 euro.


 

Qui a fianco e sotto computer e scuola sotto, aula universitaria


COMPUTER, basta la parola
Così cambia la scuola con le nuove tecnologie di comunicazione
SCIENZA & PEDAGOGIA Da un seminario a Trento un volume che apre nuove strade


Comunicare nella contaminazione: il volume "Identità e contaminazione. Aspetti del linguaggio e nuove forme di comunicazione in educazione", recentemente pubblicato da Armando, raccoglie in parte gli scritti degli intervenuti a un seminario organizzato a Trento l'altr'anno dall'Osservatorio sulla didattica della facoltà di lettere trentina, nato per iniziativa di Franco Bertoldi. Il curatore è Aldo Nardi, docente a contratto del corso di Psicopedagogia del linguaggio, che nella presentazione chiarisce lo scopo dell'incontro: analizzare come evolve il linguaggio della scuola dopo l'avvento dei computer.
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di Alessandro Dell'Aira
Il linguaggio della scuola cablata subentrata alla scuola della tv e del ciclostile, così come la scuola delle biro era subentrata alla scuola grembialona e col fiocco.
Uno degli interventi più coloriti è quello di Marco Dallari, titolare della cattedra di pedagogia generale presso la facoltà trentina e docente a Rovereto presso la SSIS (la scuola di specializzazione all'insegnamento secondario). Dallari racconta con trasporto una storia raccontata da altri e che merita di essere raccontata qui.
Una storia che merita. La storia è questa. C'era una volta un ragazzo nomade di diciassette anni rimasto orfano che si era stancato di vivere con i genitori adottivi e si era presentato a una stazione di polizia dopo essere fuggito dal campo. Affidamento del ragazzo ai servizi territoriali, intervento della psicologa dell'USL, inserimento scolastico, progressi del giovane che dà prova di ottime qualità, socializza, impara bene e si fa valere con soddisfazione di educatori e operatori sociali. Una volta diciottenne e acquisita la piena capacità giuridica il ragazzo scrive una lettera accorata alla madre (ma come, non era morta?): addio addio per sempre. Non è scappato da un campo ma da un condominio, è l'ultimo della cucciolata di una famiglia stanziale, non ne poteva più di essere mortificato nelle sue ragioni e se ne era andato di casa scomparendo come il fu Mattia Pascal, nascosto dal paravento di una storia attendibile ma falsa.
La storia migliore che poteva inventare per centrare il suo obiettivo: essere aiutato a diventare se stesso assumendo l'identità temporanea del nomade evaso dal nomadismo. Un'identità virtuale che aveva moltiplicato l'attenzione sociale e formativa nei confronti del suo caso.
Un'attenzione che magari non sarebbe stata così spiccata di fronte a un caso di stato civile ordinario e di ordinaria ribellione adolescenziale. Una rivolta che Dallari, rinunciando allo scontato riferimento pirandelliano, ricollega opportunamente al concetto di rivolta contro il destino dell'identità, presente nell'opera letteraria di Camus.
I tempi di Pinocchio. Come sono lontani i tempi di Pinocchio. La costruzione di una nuova identità oggi implica la capacità di beffare la Fata Turchina, o meglio di capire che dietro il sorriso a sessantaquattro denti della Fata Turchina possono nascondersi il Gatto e la Volpe.
Se l'invenzione della stampa, osserva Umberto Margiotta nel suo intervento "Modelli formativi della comunicazione didattica in rete", ha moltiplicato la circolazione di informazioni e agevolato il controllo personale sul linguaggio, se l'invenzione di radio e tv ha favorito la dimensione collettiva del linguaggio, il collegamento in rete dei computer ha trasformato il linguaggio da collettivo in connettivo, e dunque in linguaggio inventabile perché oggetto di infinite contaminazioni.
E la scuola? Comunque uno la pensi sulle reti e sull'informatica, comunque uno si atteggi nei confronti dell'informatica e della contaminazione, la scuola è nella rete.
Per non restarci presa come in uno strumento da pesca, la scuola deve far leva sulla propria autonomia. Un'autonomia connettiva, che moltiplichi le autonomie di altre scuole e incida sull'educazione e sul mondo più di quanto non riesca di fare con i soli sussidi audiovisivi. E' questo il parere di Agostina Melucci, esperta di pedagogia dell'educazione.
La rete conviene. La rete conviene a chi la governa. Chi non è capace di governarla, impari. Altrimenti ne sarà vittima.
Tra gli altri interventi, ricordiamo quelli di Carlo Buzzi, docente di sociologia presso la facoltà trentina, sui giovani e le nuove forme di comunicazione, e quello di Salvatore Marà, che è stato uno dei primi docenti della scuola secondaria della provincia a credere nell'informatica educativa.
L'insegnante di oggi non può pretendere di spiegare tutto con le parole, né di essere il detentore unico del processo formativo. Deve imparare a spostarsi, ad attraversare la contaminazione culturale per decodificarla.
E' un cammino difficile, che appare sempre più accidentato con il procedere dell'età, ma che va comunque affrontato. Dimostrazione, anche questa, che gli accidenti stanno nel soggetto, e non nel percorso.
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Identità e contaminazioni. Aspetti del linguaggio e nuove forme di comunicazione in educazione. A cura di Aldo Nardi.
Armando editore, 204 pagine, 18 euro
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