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SCRIVERE? Prima
leggi
Con Mozzi a Levico: come imparare
a diventare romanzieri
I CORSI DELL'ITC
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Sopra:
lo scrittore Giulio
Mozzi, l'altro giorno a
Levico
Sotto: «Orgoglio e
pregiudizio» in un'asta
di oggetti letterari
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A destra:
La Lettera 22
La scrittrice ebraica
Etty Illesum
morta ad Auschwitz
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di
Alessandro
Dell'Aira
PER GIULIO MOZZI, padovano, approdato
alla letteratura da un ufficio stampa, scrivere
è sempre "scrivere a". Quarantatre
anni, aria mite, l'altro pomeriggio era a Levico
ai corsi d'italiano per stranieri su invito di
Amedeo Savoia. Lo hanno accolto Gianni Bonvicini,
direttore dell'Istituto Trentino di Cultura, che
ha anche introdotto l'incontro dibattito, e Livio
Caffieri, direttore dei corsi. I presenti avevano
letto il suo ultimo libro, intitolato
«Fiction». Da ricordare che sono intervenuti in
tanti e in ottimo italiano dopo una breve
informazione dello stesso Giulio Mozzi su come
era nata l'opera. Un'intervista a più voci, che
ha messo in chiaro molti aspetti tecnici e ha
dato un'ampia visione della scrittura e della
letteratura secondo l'autore.
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Perché Mozzi scrive? "Perché gli viene
bene". Così bene che quando presenta
un'opera prima, quel libro diventa un best-seller
anche se ha mezzo migliaio di pagine. Ma non
banalizziamo: per diventare autori di libri ci
vuole la mano, ci vuole fortuna, ci vogliono le
basi. A parte questo, siamo tutti scrittori in
potenza, nessuno è mai stato un aspirante
scrittore. Quest'ultima categoria non ha senso,
la distinzione va fatta tra chi pubblica e chi
no, anche se i libri-libri non sono pesci
d'acquario, sono creature d'altura che navigano
nel mare del mercato da balene o da sardelle.
A Padova Giulio Mozzi ha fondato una scuola di
scrittura creativa. Adora gli esercizi di
retorica barocca. Inoltre se la cava egregiamente
e personalmente con l'interattività
multimediale, che gli ha messo in testa un
dilemma, se il pubblico migliore ha un libro in
mano o è seduto davanti a un computer. Come che
sia, Mozzi ci tiene a essere localizzato dal
pubblico, al punto che fin dall'inizio il suo
indirizzo di casa compare nella bandella, o
risvolto di copertina, come fosse una e-mail o un
sito web. Un gesto di trasparenza, non altro.
Mozzi, maestro di racconti, dice di essere negato
per i romanzi. Si è fatto largo nel 1991,
facendo ciò che fanno gli scrittori che non
hanno pubblicato libri e cioè inviando un
inedito a una manciata di personaggi di peso. E
ha sfondato. Due anni dopo, Theoria gli ha
pubblicato Questo è il giardino, premiato a
Mondello nel 1993, Oscar Mondadori nel 1998. Nel
frattempo Mozzi si era legato a Einaudi con La
felicità terrena, il primo di una nidiata di
libri: Fantasmi e fughe, Un libro di storie, Il
culto dei morti nell'Italia contemporanea,
Fiction. Poi è venuta l'esperienza di editor per
Sironi, coltivata tra le pieghe del mestiere del
cuore: maestro di scrittura, cacciatore di teste
e di penne pensanti. Ogni occasione è buona,
anche l'internet, dove prosperano le comunità di
interessi. In internet Giulio Mozzi è un
blogger, ossia tiene un diario digitale, e come
se non bastasse cura la newsletter Vibrisse,
centrale di cyberletteratura per i
lettori-scrittori non mediati. Oltre che ottimi
segnalibri, le vibrisse sono i baffi sul muso dei
mammiferi, fonte di informazioni vitali, pensiamo
alle ventiquattro vibrisse senza le quali i gatti
non saprebbero prendere un topo che è uno.
Vibrisse propone e distribuisce agli interessati
le Vibrissescatole, kit di prodotti creativi
individuali selezionati e spediti a domicilio a
cura di Giulio Mozzi senza fini di lucro dentro
le scatole gialle delle Poste, previo rimborso
spese in francobolli e un sistema ingegnoso
mutuato dalle e-catene di Sant'Antonio.
Saper scrivere vuol dire saper leggere, non c'è
differenza. Italiano feroce ma realista nella
sostanza, Mozzi ama citare un detto, secondo il
quale piuttosto che niente meglio piuttosto. E
allora forza con le lezioni di scrittura che
attirano più delle lezioni di lettura, nessuno
è così balordo da tornare a scuola per imparare
a leggere visto che leggere è la prima cosa alla
quale ciascuno di noi è stato costretto con
diecimila trucchetti. Mentre imparare a scrivere,
non per la scuola ma per la vita, per il lavoro,
per la gloria, per il mercato, per il piacere, è
un traguardo che la scuola non garantisce. A
scuola guai a copiare con intelligenza, guai ad
andare fuori tema. E invece Mozzi suggerisce
(provocazione immessa in rete il 13 agosto
mattina, qualche ora prima dell'incontro di
Levico): "...Quando le parole o le
invenzioni non ci vengono, quando ci pare di non
saper che pesci pigliare,... peschiamo una carta,
e ci confrontiamo con ciò che dice". Mozzi
allude a un "magico" mazzo di carte
inglesi del genere I-Ching, dove ogni carta ha
una frase sibillina, ad accesso casuale come i
rotolini di carta con gli oroscopi pescati col
becco dai pappagalli da fiera, o i messaggi
nascosti tra i Baci Perugina. Non costa niente,
confrontiamoci con le carte che ci toccano.
Potrebbe uscirci dalla penna un racconto degno di
un grande editore. O un tema da dieci.
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