Il “Bagno della Regina” all’Acquasanta (Palermo)




LA GROTTA DEL BAGNO DELLA REGINA, con quella dell’Acquasanta, fa parte di un complesso di antichi antri termali che comprendeva la cosiddetta “peschiera” e gli elementi architettonici inclusi nella settecentesca Villa Lanterna. Dall’area circostante proviene la più antica raffigurazione del Genio di Palermo.



E TRACCE DI ETÀ PUNICA NELL'AREA CIRCOSTANTE   (2/2)



TESTO: Giovanni e Gianfranco Purpura

IMMAGINI: Giovanni Purpura


(continua) QUALCHE PIETRA, con antiche grappe plumbee, sembra essere addirittura nell’originaria posizione di giacitura. Si tratta di elementi architettonici assolutamente anomali nell’architettura del ‘700 e mai segnalati. Si riconoscono stipiti, cornici, piedritti, un capitello con triplice solcatura (fig. 21); strutture evidentemente già esistenti sopra la grotta dell’Acquasanta nel momento della costruzione di Villa Lanterna. La suggestione che emana da un complesso siffatto evoca pratiche antiche del culto delle acque.
Ad Amrith
(fig. 22), a Sidone,18 ad Antas in Sardegna, sono stati individuati santuari fenicio-punici, collegati all’acqua - con bagni lustrali e piscine dinnanzi a sorgenti,19 come quella dell’Acquasanta - nei quali si riscontrano elementi architettonici assai imponenti e in qualche caso soggetti ad una costante riutilizzazione in età successive alla fenicio-punica. E’ recente la notizia del rinvenimento in Sicilia, a Mozia, a breve distanza dal cothon, di un santuario punico, che ha indotto a modificare la tradizionale interpretazione del bacino come porticciolo ed a supporre l’esistenza di un collegamento della piscina alla celebrazione di riti sacri.
Accanto alla “peschiera” dell’Acquasanta, nei pressi dello stabilimento idroterapeutico Pandolfo, che nel 1871 aveva tentato di valorizzare l’efficacia dell’acqua della zona, appaiono a tratti grandi blocchi regolari, come muro di contenimento della scarpata del rilievo, simili a quelli della cinta muraria antica di Palermo, rintracciata sotto il convento di S. Chiara, nei pressi della Martorana o a Palazzo Reale.
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La chiesa della Madonna dell’Acquasanta era dotata di quattro altari ed il luogo cultuale originariamente constava di più antri, almeno due di fronte allo stabilimento Pandolfo, altri tre in riva al mare. Proseguendo poi lungo la costa, proprio sotto il cosiddetto tempietto di Villa Igiea - controversa e rimaneggiata struttura ritenuta da qualche studioso ellenistica
21 - si riscontra un’altra grotta marina (fig. 23) con acqua termale che sembra sia stata danneggiata dalla mareggiata che negli anni ’70, infrangendosi su tale tratto di costa, distrusse la diga foranea del porto di Palermo. Dopo la grotta delle Giarraffe, si perviene alla cavità del Bagno della Regina e ad un successivo riparo più elevato rispetto al livello del mare, al centro dell’area occupata dall’Ospizio Marino. Si giunge infine alla grotta dell’Arenella, oggi utilizzata dalla Lega Navale. La cavità, oggetto della nostra attenzione e di una tempestiva segnalazione22 (fig. 24), presenta un fronte colonnato che è stato alterato, successivamente alla pubblicazione, da attività che ne hanno modificato l’aspetto originario, asportando meccanicamente la patina antica e ribassando il piano interno di calpestio. Inoltre è stato abbattuto il muro che inglobava le colonne ed aggiunto un archetto nell’architrave roccioso (fig. 25). Così, però si è resa visibile una riparazione sicuramente antica di un rocco di una colonna, altrimenti non evidente.

(fig. 21) (fig. 22) (fig. 23) (fig. 24) (fig. 25)

Non sembra che il vicino magazzino, un tempo ricovero delle barche della tonnara dell’Arenella ed artificialmente intagliato nella roccia, abbia fatto parte dell’originario complesso naturale di grotte termali, nonostante siano stati segnalati all’interno dell’escavazione frammenti ceramici antichi.23
La terapeuticità dell’acqua, fluente dal complesso degli antri determinò l’attribuzione alla ninfa della salute Igiea del sanatorio, che i Florio, residenti nei pressi, progettarono di realizzare intorno al 1899, in seguito all’acquisto del villino Downville.
24 Presto convertirono la struttura in lussuosa residenza, ove nacque una figlia di Vincenzo Florio che ne ebbe il nome.25 Il villino Downville, sorto da un ampliamento del Casino Pignatelli (fig. 26), presenta in una foto del 1870 circa una colonna in stile dorico dal lato del magazzino. Esso fu a sua volta incluso nel recinto ad occidente della nuova Villa ed è ubicabile nel giardino di Villa Igiea con la facciata volta verso l’insenatura dell’Acquasanta.

E’ opportuno ricordare che proprio al culto della ninfa Hygieia o di Atena Hygieia sono state attribuite alcune arulette con motivi vegetali rinvenute nei dintorni di Palermo
26 e che di recente l’attenzione degli studiosi si è rivolta a grotte – santuario fenicio-puniche connesse alla navigazione,27 sottolineando talvolta l’incertezza dei contesti, l’accentuato stato di distruzione, la difficoltà di esatte datazioni, la rarità in genere di reperti e strutture ancor oggi leggibili, ma anche l’indubitabile sopravvivenza di alcuni siti veramente notevoli: oltre alla già ricordata Grotta Regina a Capo Gallo, Ras Il-Wardija, complesso sacro collegato all’acqua con canali e cisterne in una delle zone più aride dell’isola di Gozo; la Grotta del Papa nell’isola di Tavolara presso Olbia, in Sardegna, accessibile solo dal mare e con un piccolo lago di acqua dolce all’interno; la Cueva d’Es Cuieram ad Ibiza, nelle Baleari, in posizione panoramica a distanza dal mare con “bagni o piscine”; il complesso Gorham’s a Gibilterra che si presenta, come all’Acquasanta, con una serie di grotte a schiera a livello del mare utilizzate per scopi cultuali dal VII al II sec. a.C. (fig. 27); ed infine una grotta recentemente rinvenuta a Marettimo con polle d’acqua ed abbondante ceramica punica.

Sembra che tali complessi archeologici possano essere considerati come relativi ad “un nuovo tipo di santuario, il tempio costiero, principalmente extraurbano, ove si effettuavano pratiche volte all’uso dell’acqua come elemento di culto” e terapeutico, a “riti oracolari connessi alle navigazioni ed alla prostituzione sacra”.
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Nel caso dell’Acquasanta, il degrado ambientale sempre più accentuato per la vicinanza della città e l’oggettiva impossibilità per noi di verifiche e d’ulteriori indagini hanno indotto a proporre quella che, allo stato attuale, appare solo come una mera ipotesi: che cioè sulla costa, dall’Acquasanta all’Arenella, potesse sussistere un complesso di grotte con acqua minerale, utilizzata per scopi di cura fin dall’età antica.


E’ nota la questione relativa alla provenienza della stele punica dell’Acquasanta (fig. 28) che ha indotto addirittura ad ipotizzare la presenza di un tophet nella zona,29 sebbene l’opinione prevalente oggi tenda a considerare la pietra di origine non locale, in base all’analisi iconografica, in attesa di più sicure conferme petrografiche.30
Anche in questo caso, non sono da trascurare alcuni dati significativi.


(fig. 26) (fig. 27) (fig. 28) (fig. 29) (fig. 30)


Il primo editore del reperto, Giacomo De Gregorio, nel 1902 dichiarava che la stele era stata rinvenuta in un magazzino agricolo del podere Downville tra pietre e fossili;
31 nel 1917 il fratello Antonio, noto naturalista siciliano, ricordava invece che era stata trovata in alcuni mobili antichi acquistati da Downville, anche se poi finiva per propendere per la natura locale della pietra e dunque per la sua manifattura nell’ambito della Conca d’Oro,32 E’ evidente la confusione tra i due studiosi ed il credito che si deve accordare al primo editore, per quanto sia possibile che entrambi ricordassero bene: che cioè la stele, conciliando le due dichiarazioni, era stata ritrovata nel magazzino agricolo di Downville in alcuni mobili, venduti alla famiglia De Gregorio (fig. 29). Sia nel primo che nel secondo caso, l’aver conservato la stele punica nel magazzino agricolo depone in ogni caso per un’origine locale del reperto, tenuto da Downville in scarsa considerazione. E’ inoltre difficile credere che un naturalista esperto come Antonio De Gregorio - profondo conoscitore di fossili e rocce siciliane - si fosse ingannato sulla natura locale della pietra utilizzata per realizzare la stele; la sua esitazione piuttosto si giustifica a causa della singolarità del reperto dal punto di vista archeologico ma non geologico. A noi inesperti sembra possibile raccogliere pietre calcaree, simili per grana e colorazione scura, nello stesso parco di Villa Belmonte, ma anche appare da escludere la presenza di un tophet nella zona. D’altra parte, la stele si sostiene essere certamente connessa ad un tophet, che la distanza dal centro abitato di Palermo rende nel luogo assai improbabile.

La questione è allora destinata a restare aperta, ma è evidente che occorre focalizzare l’attenzione archeologica sulla zona prima di ulteriori devastazioni ed effettuare al più presto l’accertamento petrografico della natura della stele.
La scelta del Monte Pellegrino nel 247/6 a.C. da parte d’Amilcare come accampamento militare per tre anni contro Palermo,
33 caduta nelle mani dei romani durante la prima guerra punica, potrebbe non essere affatto casuale: il luogo, idoneo per la conformazione naturale ed il controllo della via costiera verso Drepano ed Erice, per l’abbondanza dell’acqua e degli approdi dell’Acquasanta ed Arenella sull’itinerario marino da Palermo verso Lilibeo, e di quelli dell’Addaura e Mondello, tutti con frammenti ceramici e ceppi plumbei del III sec. a.C.,34 potrebbe essere stato scelto, anche perchè posto sotto la protezione divina per la presenza di sorgenti terapeutiche.35

Un vasto appezzamento di terreno alle falde di Monte Pellegrino
(fig. 30), tra la Forestale e la “Scala Vecchia”, dinnanzi alla Grotta del Condannato e l’approdo dell’Acquasanta, conserva abbondante ceramica domestica punica, sempre della metà del III sec. a.C., resti d’abitazioni, di una via acciottolata e muri interrati. Si tratta di un lembo dell’antico accampamento, miracolosamente integro,36 che si estendeva verso Villa Belmonte e l’Acquasanta e controllava l’accesso al Monte, ove in località Prima Cupola sussistono ancora strutture architettoniche puniche, una cisterna e ceramica a vernice nera di maggiore pregio.37 Un edificio punico è stato ritrovato in occasione della realizzazione della nuova strada sotto la Prima Cupola,38 ma nel disegno pubblicato erroneamente si propone erroneamente un fronte con tre colonne circolari, che i reperti, in parte miracolosamente sopravvissuti, nel luogo smentiscono, trattandosi di piedritti quadrangolari (fig. 31) e non di colonne circolari.

(fig. 31) (fig. 32) (fig. 33) (fig. 34) (fig. 35)

Nel lembo integro del campo, a monte della Forestale, e nel presidio che si estendeva sino alla zona della coffeehouse di Villa Belmonte, segnalata da Antonio De Gregorio, sono numerose le anfore Mañá D (fig. 32), talune con iscrizioni [in un timbro si leggono le lettere yod e lamed separate dal caduceo (fig. 33)], in un altro proveniente da Prima Cupola un monogramma39 e bolli con il simbolo del caduceo, ma si rinvengono anche numerose palle di pietra (fig. 34) e ciottoli levigati, il cui impiego militare appare possibile. In base a reiterate osservazioni di superficie effettuate in idonei periodi dell’anno, si può ipotizzare che ogni struttura abitativa, dotata di focolare, fosse simile all’altra e costruita con bassi muretti parzialmente incassati, senza traccia d’alcuna copertura. I frammenti di un’anfora Mañá D sembrerebbero essere presenti in ogni ambiente insieme a poche ripetitive stoviglie d’uso quotidiano. Pedine da gioco, attrezzi metallici, monete puniche della metà del III sec. a.C. con Tanit/Kore e protome equina (fig. 35), pesi da telaio, punte di freccia e di pilum sono stati riscontrati nel sito.40 Gli accessi alla sommità del monte appaiono inoltre, su tutti i versanti, controllati da vedette segnalate puntualmente da ceramica punica della metà del III sec. a.C. ed ubicate sempre sia a monte che a valle dei sentieri d’ascesa. Un raro punzone ceramico punico con cavallino corrente proviene dalla Valle del Porco ed indica l’adiacenza di uno stanziamento permanente del III sec. a.C.

Ad altri spetta l’indagine archeologica ed il riscontro puntuale delle ipotesi proposte, a noi sembra soltanto possibile sostenere che nella zona, ritenuta a lungo benedetta, per la presenza dell’acqua terapeutica
41 - Acquasanta appunto - sia stata ritrovata la più antica immagine del Genio di Palermo (fig. 36), quella del Molo.42 Dal 1566, per ventitré anni di lavoro continuo, la zona infatti fu sconvolta dai lavori di cava di una nuova banchina del porto, ironicamente chiamato “d’argento” per il suo enorme costo.43 Ad un’estremità fu incastonata in un monumento (fig. 37) un’immagine con leonté, che impugna un serpente, decorata da venature in rilievo, di cui s’ignora la provenienza, ma che sempre è stata connessa all’acqua ed alla guarigione, tanto da apparire, ancora come Genio della Salute, sul portale del seicentesco Lazzaretto realizzato all’Acquasanta.44

Negli anni ’50 numerose cave della zona funzionavano per il porto di Palermo e restituivano tesoretti monetali punici, oggi dispersi
(fig. 38).45 E’ davvero sorprendente notare come un territorio modificato dalle devastazioni dell’uomo riesca a conservare a lungo tracce d’antiche pratiche e strutture, che possono ovviamente essere interpretate solo fino ad un limite estremo; di esse - se non si procederà con interventi adeguati - non resterà più nulla di significativo.




 
(fig. 36) (fig. 37) (fig. 38)    
 
 
 

NOTE

18 Dunand, Saliby, Le temple d’Amrith dans la Pérée d’Aradus, BIFAO, CXXI, Paris, 1985; Bordreuil, Le dieu Eshmoun dans la région d’Amrit, Studia Phoenicia, III, 1985, pp. 221-230; Jourdain-Annequin, Héraclès-Melqart a Amrith, BIFAO, CXLII, 1992, pp. 12 ss.
19 Barreca, La Sardegna e i Fenici. Ichnussa, La Sardegna dalle origini all’età classica, Milano, 1985, p. 380; Ramallo Asensio, La realidad arqueológica de la “influencia” púnica en el desarrollo de los santuarios ibéricos del Sureste de la península ibérica, Santuarios fenicio-púnicos en Iberia y su influencia en los cultos indígenas, XIV Jornadas de Arqueología fenicio-púnica, Eivissa, 1999, p. 188.
20 Tamburello, Rinvenimenti e scavi nell’area dell’abitato, Palermo punica, Palermo, 1995, p. 80.
21 Giustolisi, La Montagna Sacra, cit., pp. 64; 74 nt. 61; Id., Topografia, storia ed archeologia di Monte Pellegrino, cit., p. 48.
22 Purpura, Palermo e il mare. Testimonianze archeologiche e rinvenimenti sottomarini, Storia di Palermo, cit., I, pp. 240-243.
23Purpura, Palermo e il mare. Testimonianze archeologiche e rinvenimenti sottomarini, Storia di Palermo, cit., I, pp. 240-243.
24 Pirrone, Palermo, una capitale. Dal Settecento al Liberty, Palermo , 1989 , pp. 116 ss.
25 Candela, I Florio, Palermo, 1986, p. 353.
26 Giustolisi, Cronia, Paropo, Solunto, Palermo, 1972, p. 12, tav. III, fig. 3; Id., Panormus, I, Palermo, 1988, figg. XXXI-XXXVI; Id., Panormus, III, 1, Palermo, 1997, pp.
27 Gómez Bellard, Vidal González, Las cuevas-santuario fenicio-púnicas y la navegación en el Mediterráneo, Santuarios fenicio-púnicos en Iberia y su influencia en los cultos indígenas, XIV Jornadas de Arqueología fenicio-púnica, Eivissa, 1999, pp. 103-145.
28 Gómez Bellard, Vidal González, Las cuevas-santuario fenicio-púnicas, cit., p.123.
29Giustolisi, La montagna sacra, cit., pp. 66 ss.; Tamburello, Un indizio per il tophet?, Palermo punica, Palermo, 1995, p. 82.
30 Rossana De Simone, La stele punica “dell’Acquasanta”, Archeologia e Territorio, Palermo, 1997, pp. 447-450.
31Giacomo De Gregorio, Guidi, Scoperta di un’iscrizione fenicia, Archivio Storico Siciliano, 27, 1902, pp. 110-114. Ringraziamo il principe De Gregorio per averci concesso l’opportunità di esaminare il raro reperto della sua collezione privata e la dott. Lo Forte del Centro Thalassa per aver dato la possibilità di accedere frequentemente alla Grotta del Bagno della Regina.
32 Antonio De Gregorio, Resti del campo punico, cit., p. 10 e s.
33 Polibio I, 56-7.
34 Purpura, Rinvenimenti sottomarini nella Sicilia occidentale, Archeologia subacquea 3, Suppl. nn. 37 - 38, 1986, Bollettino d'Arte, p. 144, nn. 29; 30; 31; 33.
35 Gli abitanti di Cartagine veneravano Eshmoun come dio guaritore, ma anche guerriero. Xella, Aspects du culte d’Eshmoun à Carthage, Carthage et son térritoire dans l’Antiquité, Actes IV Colloque Intern. sur l’Histoire e l’Archéologie de l’Afrique du Nord, Paris, 1990, pp. 131-139; Cruz Marín Ceballos, Los dioses de la Cartago punica, De Oriente a Occidente. Los dioses fenicios en las colonias occidentales, XII Jornadas de Arquelogía Fenicio-Púnica, Eivissa, 1997, p. 75. Fantar (Y a-t-il à Carthage une divinité guerrière?, La première guerre punique, Actes de la Table Ronde de Lyon, 19 maggio 1999, Lyon, 2001, p. 135) considera Eshmoun, al quale era dedicato sull’acropoli il tempio più importante, come “Genio” della città.
36 Segnalato di recente da Giustolisi, Panormus, III, 1, cit., pp. 29 ss.
37 Già note a Mongitore, Della Sicilia ricercata, cit., p. 293.
38 De Stefani, Un antico ipogeo sul Monte Pellegrino, Panormus, Rivista amministrativa, storico artistica del Comune, genn. – magg. 1922, II, 1, pp. 57 –9.
39 Bonanno, Punici e Greci, cit., pp. 55 ss.
40 Giustolisi, Panormus, III, 1, cit., pp. 21 ss.
41 Giustolisi (Topografia, storia ed archeologia di Monte Pellegrino, cit., p. 8 nt. 6) ha collegato il toponimo Barca della zona “alla radice semitica che significa ‘benedire’ (dalla quale deriva l’arabo baraka)”. L’antico toponimo “barca” è frequente e d’origine e significato controverso (Lenschau, PWRE, v. Hamilkar n. 7, VII, 2, 1912, coll. 2303 ss.; Mercadante, Da Balarm, Palermo a Giazîrah, Isola, cit., p. 110). Sviluppando l’ipotesi di Giustolisi, dalla zona sarebbe stato tratto il soprannome di Amilcare e non viceversa. Dunque il primo della prestigiosa famiglia di generali cartaginesi avrebbe ricevuto l’appellativo di Barca dalla località sacra nei dintorni di Panormo, ove aveva posto il campo contro i Romani.
42 La sequenza delle diverse immagini del Genio di Palermo in Dell’Aira, Van Dyck a Palermo, Kalos, XI, 2, marzo/aprile 1999, p. 8 e figg. 8 – 13. L’intero monumento, collocato originariamente alla radice della banchina del Molo all’interno dei Cantieri Navali, è stato oggi spostato all’ingresso del porto, al termine di via A. Amari.
43 Mongitore, Della Sicilia ricercata, cit., p. 108.
44 La Duca, Il Lazzaretto, La città perduta, IV, Palermo, 1978, pp. 7 ss.
45 La Duca, Il Lazzaretto, La città perduta, IV, Palermo, 1978, pp. 7 ss.


 
 
Giovanni e Gianfranco Purpura, Il Bagno della Regina all'Acquasanta (Palermo)