All'una
in punto c'è il cambio del turno ai
Cantieri Navali. Vai e vieni di operai in
tuta e con il casco, auto che entrano ed
escono a passo d'uomo, voci e gesti
pittoreschi. Se uno chiede di entrare per
fotografare è meglio che abbia una buona
ragione e le carte in regola, sul
cancello c'è un custode gentile ma
determinato. Personalmente ci sta bene,
lì dentro c'è un Eracle che decapita l'Idra
di Lerna: una fatica boia di quattro
secoli, più i due millenni passati
altrove. Il figlio di Zeus, misconosciuto,
è finito nel Cippo mascherato da Genio
di Palermo, prima elogiato dagli umanisti
e osannato dai capitani d'altura, poi
duplicato e trasferito al centro delle
fontane, di cui una di fronte al Cippo,
davanti alla chiesa dei Mercedari.
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A sinistra: il Cippo Smiriglio ai
Cantieri Navali
Lato del Cippo con il Genio di
Palermo
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L'infatuazione
per il prototipo dura poco e le
controfigure a tutto tondo prevalgono sul
modello. Il Palermo dei Mercedari,
promosso a Pasquino e rimosso da dove
stava, finisce a piazza Fieravecchia e
inizia a dialogare a distanza con sua
maestà Carlo quinto di piazza Bologna,
domatore dell'Impero, e a badare al
mercato, ora incipriato e imparruccato,
ora in gramaglie. Gli danno anche da
mangiare i maccheroni, è il re dei
poveri e degli scontenti. È tanto buono
che allatta un serpente, è tanto strambo
da nutrire i figli degli altri e
mangiarsi i propri. Nel frattempo l'eroe
titolare, domatore del tempo e
prigioniero del Cippo, lotta con l'Idra
sotto la maschera e consola le vedove
bianche dei marinai assenti, venute sul
Molo a vedere se ci sono buone o cattive
nuove. Loro non vanno alla Marina,
vengono qui e cercano una risposta dal
Genio.
Il tempo passa, prosciuga l'acqua delle
fontane e cancella i monumenti del luogo.
Tutti o quasi, tranne il Cippo Smiriglio
con quella lastra di marmo incastrata che
ha l'aspetto di una metopa. È un pezzo
autentico? Sembra della fine del quinto,
inizi del quarto secolo avanti Cristo.
Forse è importato, la lastra è di marmo
venato d'azzurro. Ma di chi era? Da dove
viene? Quando è venuta e perché è
finita nel Cippo? È un falso d'epoca?
Cos'ha a che vedere con la fontana di
Vincenzo Gagini del 1579, spostata dalla
Vucciria e rimontata sul mare subito
fuori Porta Felice nel 1778, e due anni
dopo distrutta dal crollo di un castello
di fuochi durante il Festino? Era forse
di Marcantonio Colonna, amico di San
Giorgio e di Eracle, nemico del Drago e
quindi dell'Idra? Si discuterà, si
vedrà. Nessun problema, ne hanno dette
di tutti i colori anche sul Trono
Ludovisi.
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I viaggiatori dell'Ottocento,
in arrivo e in partenza con il "pacchetto"
di Napoli, ignorano un Genio in declino
che non sa più né chi fu né chi è
stato né chi è, ma si accontenta: è
già scampato a mille cannonate,
scamperà pure alle bombe a stelle e
strisce del secolo breve. Sempre con l'Idra
ammorsata tra le mani e una caviglia
presa in una spira. Diodoro Siculo,
maestro di miti, lo ha consegnato alla storia
esattamente così.
Eracle e l'Idra di
Lerna. La seconda
di dodici fatiche, anche per la Walt
Disney Company. La prima è il leone di
Nemea, una pecora scorticata rispetto a
queste cento teste feroci, di cui una
immortale. Eracle è con Iolao, suo
nipote e cocchiere, che brucia rami e
cauterizza con i tizzoni le ferite
perché le teste dell'Idra tagliate
raddoppiano e così non rinascono. Lo zio
ha lo scalpo del leone sul capo, nella
lastra si vede e non si vede ma una volta
doveva vedersi di più se ha generato,
fraintesa, la corona ducale del Genio di
Palermo. Il mito afferma che Eracle, con
in mano una daga corta, si sbarazza di un
enorme granchio venuto a impicciarsi e
abbranca l'Idra assestando nell'aria
colpi da dio. Il suo corpo è contratto
nello sforzo, non seduto o accosciato
come quello dei Geni. Un attimo ancora e
spiccherà l'ultima testa del Mostro, la
decisiva. È sfinito, una sudata epica,
altre dieci e siamo a cavallo, sospira, a
me il Cinghiale calidonio, ma intanto
resta e ricomincia con l'Idra, una
tortura, e avanti così finché la città
non capirà che lui è il figlio di Zeus
e non il Genio di Palermo.
C'è sempre una
trovatura nelle isole conosciute. Quel
personaggio di Saramago, che reclama una
barca dal re, è nel giusto e se la
merita: Sire, una barca, datemi una barca,
c'è ancora qualcosa da scoprire al mondo.
Ad esempio che al peggio non c'è fine.
Altro che Piovra, l'Idra è una macchina
infernale fatta di teste e di sangue, è
un corpo che sguscia e non vuole
soccombere mai.
Meglio
non dire che lo abbiamo scoperto e che
siamo venuti per questo, qualcuno
potrebbe allarmarsi e chiamare una
Volante. Il custode arretra nella
guardiola con fare da cerbero buono, noi
tiriamo fuori i permessi della Marina
Militare e dell'Ente Porto e glieli diamo.
Placato, ci mette alle costole un addetto
che ci porta in ufficio per l'ultimo ok,
sale nell'auto e ci guida sotto il Cippo
di Mariano Smiriglio, architetto del
Senato e con le mani in pasta nella
Palermo del Seicento. Una chiesa qui, un
oratorio là, Porta Felice, i Quattro
Canti del Cassaro e l'Arsenale a due
passi dal Molo nuovo, detto anche Molo d'argento.
Uno scherzetto da decine di migliaia di
scudi, l'ottava meraviglia del mondo. Il
mondo è pieno di ottave meraviglie del
mondo ma quest'impresa da Titani è un
primato strappato ai messinesi, così
arroganti nei secoli dei secoli: Quantu
vali lu portu di Missina / nun va'
Palermu, livannu li santi. Sempre
sberleffi alla capitale e al suo porto. E
ora Palermo, che di patrone ne ha quattro,
Ninfa, Cristina, Agata e Oliva senza
contare Rosalia, ancora da ritrovare, ha
un Molo nuovo che è l'ottava meraviglia.
Un bel molo e una Lanterna che da soli
fanno mezzo porto. Smiriglio ha già in
mente il padre nobile di questi Cantieri:
l'Arsenale iniziato nel 1620, quattro
anni prima della famosa peste, oggi in
via di recupero ma in pericolo nonostante
il tetto nuovo. Una grande risorsa per
Palermo, che ancora non ha un Museo della
Città. Un altro Cantiere culturale non
guasta: un Museo della Città e del Mare,
vicino al mare e ai Cantieri Navali. Le
cose da metterci dentro non mancano.
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Il "Molo d'argento"
di Palermo alla fine dell'Ottocento.
Sullo sfondo, il Monte Pellegrino.
Dietro gli alberi dei velieri, l'Arsenale
del 1620. |
Facciamo una proposta
faticosa. Il Cippo Smiriglio, tutto,
così com'è e un pezzo alla volta,
potrebbe essere smontato e ricoverato lì
dentro, senza staccarlo troppo dal Molo
del tardo Cinquecento, dal vecchio
Lazzaretto (l'ex Manifattura Tabacchi) e
dall'Acquasanta. Prima che la salsedine
se lo mangi del tutto. O prima che il
nostro Eracle, o Genio che sia, faccia
una brutta fine, magari come vent'anni fa
le due statuette di scorta al Palermo di
piazzetta Garraffo, una di qua e una di
là nelle nicchie che oggi sembrano le
occhiaie di un orbo. O prima che al
figlio di Zeus, dallo stress, come alla
Venere di Milo, gli cadano le braccia. In
fondo è mezzo uomo anche lui, non ne
può quasi più e si rifiuta di
continuare a passare per quaquaraquà.
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