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Giovedì 24 giugno 1999


Alessandro Dell'Aira

SANTI NUMI!
QUELLO È IL FIGLIO
DI ZEUS

La Palermo sconosciuta




Palermo, Cippo Smiriglio.
Altorilievo con il Genio di Palermo.


All'una in punto c'è il cambio del turno ai Cantieri Navali. Vai e vieni di operai in tuta e con il casco, auto che entrano ed escono a passo d'uomo, voci e gesti pittoreschi. Se uno chiede di entrare per fotografare è meglio che abbia una buona ragione e le carte in regola, sul cancello c'è un custode gentile ma determinato. Personalmente ci sta bene, lì dentro c'è un Eracle che decapita l'Idra di Lerna: una fatica boia di quattro secoli, più i due millenni passati altrove. Il figlio di Zeus, misconosciuto, è finito nel Cippo mascherato da Genio di Palermo, prima elogiato dagli umanisti e osannato dai capitani d'altura, poi duplicato e trasferito al centro delle fontane, di cui una di fronte al Cippo, davanti alla chiesa dei Mercedari.




A sinistra: il Cippo Smiriglio ai Cantieri Navali






Lato del Cippo con il Genio di Palermo


L'infatuazione per il prototipo dura poco e le controfigure a tutto tondo prevalgono sul modello. Il Palermo dei Mercedari, promosso a Pasquino e rimosso da dove stava, finisce a piazza Fieravecchia e inizia a dialogare a distanza con sua maestà Carlo quinto di piazza Bologna, domatore dell'Impero, e a badare al mercato, ora incipriato e imparruccato, ora in gramaglie. Gli danno anche da mangiare i maccheroni, è il re dei poveri e degli scontenti. È tanto buono che allatta un serpente, è tanto strambo da nutrire i figli degli altri e mangiarsi i propri. Nel frattempo l'eroe titolare, domatore del tempo e prigioniero del Cippo, lotta con l'Idra sotto la maschera e consola le vedove bianche dei marinai assenti, venute sul Molo a vedere se ci sono buone o cattive nuove. Loro non vanno alla Marina, vengono qui e cercano una risposta dal Genio.

Il tempo passa, prosciuga l'acqua delle fontane e cancella i monumenti del luogo. Tutti o quasi, tranne il Cippo Smiriglio con quella lastra di marmo incastrata che ha l'aspetto di una metopa. È un pezzo autentico? Sembra della fine del quinto, inizi del quarto secolo avanti Cristo. Forse è importato, la lastra è di marmo venato d'azzurro. Ma di chi era? Da dove viene? Quando è venuta e perché è finita nel Cippo? È un falso d'epoca? Cos'ha a che vedere con la fontana di Vincenzo Gagini del 1579, spostata dalla Vucciria e rimontata sul mare subito fuori Porta Felice nel 1778, e due anni dopo distrutta dal crollo di un castello di fuochi durante il Festino? Era forse di Marcantonio Colonna, amico di San Giorgio e di Eracle, nemico del Drago e quindi dell'Idra? Si discuterà, si vedrà. Nessun problema, ne hanno dette di tutti i colori anche sul Trono Ludovisi.


   


I viaggiatori dell'Ottocento, in arrivo e in partenza con il "pacchetto" di Napoli, ignorano un Genio in declino che non sa più né chi fu né chi è stato né chi è, ma si accontenta: è già scampato a mille cannonate, scamperà pure alle bombe a stelle e strisce del secolo breve. Sempre con l'Idra ammorsata tra le mani e una caviglia presa in una spira. Diodoro Siculo, maestro di miti, lo ha consegnato alla storia esattamente così.

Eracle e l'Idra di Lerna. La seconda di dodici fatiche, anche per la Walt Disney Company. La prima è il leone di Nemea, una pecora scorticata rispetto a queste cento teste feroci, di cui una immortale. Eracle è con Iolao, suo nipote e cocchiere, che brucia rami e cauterizza con i tizzoni le ferite perché le teste dell'Idra tagliate raddoppiano e così non rinascono. Lo zio ha lo scalpo del leone sul capo, nella lastra si vede e non si vede ma una volta doveva vedersi di più se ha generato, fraintesa, la corona ducale del Genio di Palermo. Il mito afferma che Eracle, con in mano una daga corta, si sbarazza di un enorme granchio venuto a impicciarsi e abbranca l'Idra assestando nell'aria colpi da dio. Il suo corpo è contratto nello sforzo, non seduto o accosciato come quello dei Geni. Un attimo ancora e spiccherà l'ultima testa del Mostro, la decisiva. È sfinito, una sudata epica, altre dieci e siamo a cavallo, sospira, a me il Cinghiale calidonio, ma intanto resta e ricomincia con l'Idra, una tortura, e avanti così finché la città non capirà che lui è il figlio di Zeus e non il Genio di Palermo.

C'è sempre una trovatura nelle isole conosciute. Quel personaggio di Saramago, che reclama una barca dal re, è nel giusto e se la merita: Sire, una barca, datemi una barca, c'è ancora qualcosa da scoprire al mondo. Ad esempio che al peggio non c'è fine. Altro che Piovra, l'Idra è una macchina infernale fatta di teste e di sangue, è un corpo che sguscia e non vuole soccombere mai.

Meglio non dire che lo abbiamo scoperto e che siamo venuti per questo, qualcuno potrebbe allarmarsi e chiamare una Volante. Il custode arretra nella guardiola con fare da cerbero buono, noi tiriamo fuori i permessi della Marina Militare e dell'Ente Porto e glieli diamo. Placato, ci mette alle costole un addetto che ci porta in ufficio per l'ultimo ok, sale nell'auto e ci guida sotto il Cippo di Mariano Smiriglio, architetto del Senato e con le mani in pasta nella Palermo del Seicento. Una chiesa qui, un oratorio là, Porta Felice, i Quattro Canti del Cassaro e l'Arsenale a due passi dal Molo nuovo, detto anche Molo d'argento. Uno scherzetto da decine di migliaia di scudi, l'ottava meraviglia del mondo. Il mondo è pieno di ottave meraviglie del mondo ma quest'impresa da Titani è un primato strappato ai messinesi, così arroganti nei secoli dei secoli: Quantu vali lu portu di Missina / nun va' Palermu, livannu li santi. Sempre sberleffi alla capitale e al suo porto. E ora Palermo, che di patrone ne ha quattro, Ninfa, Cristina, Agata e Oliva senza contare Rosalia, ancora da ritrovare, ha un Molo nuovo che è l'ottava meraviglia. Un bel molo e una Lanterna che da soli fanno mezzo porto. Smiriglio ha già in mente il padre nobile di questi Cantieri: l'Arsenale iniziato nel 1620, quattro anni prima della famosa peste, oggi in via di recupero ma in pericolo nonostante il tetto nuovo. Una grande risorsa per Palermo, che ancora non ha un Museo della Città. Un altro Cantiere culturale non guasta: un Museo della Città e del Mare, vicino al mare e ai Cantieri Navali. Le cose da metterci dentro non mancano.


  Il "Molo d'argento" di Palermo alla fine dell'Ottocento.
Sullo sfondo, il Monte Pellegrino.
Dietro gli alberi dei velieri, l'Arsenale del 1620.


F
acciamo una proposta faticosa. Il Cippo Smiriglio, tutto, così com'è e un pezzo alla volta, potrebbe essere smontato e ricoverato lì dentro, senza staccarlo troppo dal Molo del tardo Cinquecento, dal vecchio Lazzaretto (l'ex Manifattura Tabacchi) e dall'Acquasanta. Prima che la salsedine se lo mangi del tutto. O prima che il nostro Eracle, o Genio che sia, faccia una brutta fine, magari come vent'anni fa le due statuette di scorta al Palermo di piazzetta Garraffo, una di qua e una di là nelle nicchie che oggi sembrano le occhiaie di un orbo. O prima che al figlio di Zeus, dallo stress, come alla Venere di Milo, gli cadano le braccia. In fondo è mezzo uomo anche lui, non ne può quasi più e si rifiuta di continuare a passare per quaquaraquà.
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