ERA IL 17 DI LUGLIO, un lunedì
pomeriggio. Il terzo del mese e anche l'ultimo
dei cinque giorni di un Festino qualsiasi,
quello del 1780. Il viceré era molto
nervoso, come tutti i mortali nei lunedì
di vento. La risacca spazzava la Marina,
con gli spruzzi un po' troppo alti e
stizzosi sfidava la gente che
sformicolava dentro gli emicicli della
Strada Colonna. Il castello di travi dei
fuochi era montato al centro di quello a
est, tra la Porta Felice e la Villa, e
ondeggiava come il baldacchino di un
Cristo portato in processione. Mancavano
poche ore all'incendio della miccia,
razzi e cartocci erano già quasi tutti
legati al loro posto. I presenti giravano
in tondo, curiosavano e speravano, ma una
cosa era certa: non era mare da barche e
dunque nessuno si sarebbe goduto lo
spettacolo dal golfo, quella notte. Una
iattura, il Senato aveva impegnato una
gran cifra, come ogni anno. Un giorno di
Festino saltato, cento giorni di
disgrazie. E ora anche quel maledetto
travame che non si poteva guardare da
quanto si dimenava: rischiava di cadere,
ma non era solo colpa del vento.
I tecnici erano furiosi con il viceré
Colonna e la sua mania di rivaleggiare
con l'omonimo antenato. Niente da fare,
il nuovo Marcantonio non era all'altezza.
Il primo dopo due secoli giganteggiava
ancora, come i pilastri della Porta
dedicata alla consorte. Era stato uno
sciupafemmine, altro che malaticcio come
il discendente, che si era precipitato a
Napoli a curarsi. Non gli bastava la
nuova Villa intestata a donna Giulia
Guevara sua moglie? Se ora quell'enorme
traliccio gemeva ed era sul punto di
rovinare, iattura nella iattura, era solo
colpa sua e non dei tecnici che avevano
fatto il possibile per montarlo intorno
alla vasca. Già, era il terzo anno che
avevano tra i piedi quella fontana. E
dire che stava così bene, così riparata
nella piazza Caracciolo. Serviva anche a
sciacquare qualche panno, vietato o no
faceva comodo a tutti. E invece no, il
viceré aveva detto che alla Vucciria era
sprecata, che era roba dei Colonna e
dunque andava spostata sulla loro Strada,
in uno dei due emicicli, quello libero,
con la statua di spalle al mare. Nell'altro
emiciclo, di fronte al Càssaro e nella
luce della Porta, aveva fatto mettere la
fontana dei Quattro Leoni, che un tempo
ornava il Teatrino di Paolo Amato.
Ercole rimase più di due anni a guardare
il passeggio, al freddo d'inverno e al
caldo d'estate. Di giorno al sole ad
annoiarsi, di notte al buio a origliare
sospiri e segreti con avviticchiata
intorno quell'Idra dalle teste aperte a
fiore di gioco di fuoco. Perché era
finito lì? Perché quell'Ercole per il
viceré era un'altra ottima occasione per
assimilarsi all'avo, molto amico dei
genovesi di Palermo che gli avevano dato
il miglior benvenuto il giorno del suo
arrivo. Sei il nostro baluardo, gli
avevano gridato, sei entrato a Palermo
nel giorno di San Giorgio nostro patrono,
a Lepanto ci hai liberati dai Turchi e
sconfiggerai anche i bubboni del drago di
Palermo. Era l'aprile del 1577, la gente
in città moriva di peste da due anni.
Marcantonio si adoperò tanto per fermare
il contagio, che in segno di gioia e
gratitudine, in occasione del Natale del
1578, si era voluto assecondare un suo
desiderio: una fontana nuova con Ercole e
l'Idra. Fu ordinata dal pretore Nicolò
Spatafora a uno dei Gagini, Vincenzo.
Marcantonio ammirava molto il San Giorgio
di Antonello Gagini della chiesa di San
Francesco, fatto a spese dei mercanti
genovesi nel 1526. Diceva spesso che il
patrono di Genova era come Ercole, che di
colonne ne aveva piantate due tra l'Africa
e la Spagna. Lui nello stemma ne aveva
una sola, ma era anche lui un gladiatore
di Dio, aveva debellato la peste, in nome
del papa aveva alzato la testa e la voce
con il tribunale locale dell'Inquisizione,
sfidando anche il partito spagnolo. Al
punto che avevano fatto una spiata a
Filippo secondo: il Colonna gioca con il
suo nome e con Ercole nelle fontane
perché vuole che si parli di lui. Vuole
diventare re di Sicilia. E la femmina di
quell'altra fontana non è la Sirena, è
la sua amante Eufrosina, la moglie del
barone Corbera di Miserendino. Vera o non
vera, ci rimisero la pelle in parecchi
per quella storia. Perfino Marcantonio,
si disse, morto a Medinaceli sulla via di
Madrid, forse di veleno, quando ormai
aveva chiuso con Palermo. Era stato un
ingenuo a fidarsi di chi gli aveva
promesso il comando dell'Invincibile
Armata.
Questo si raccontavano due gentiluomini
senza parrucca e con i capelli al vento
sulla Strada Colonna, a prudente distanza
dal mare e dal castello di legno, quando
una folata più forte delle altre fece
vibrare e gracchiare le travi. Una
cedette ma non si ruppe del tutto. Il
castello smise di oscillare e si
sbilanciò, la gente si disperse e anche
i due gentiluomini fuggirono. I tecnici
si tolsero da sotto quando capirono che
non c'era più niente da fare. Si
allontanarono in fretta ma non di corsa.
Sapevano che al massimo ci avrebbe
rimesso le penne quell'Ercole di marmo.
Meglio così. Sia fatta la volontà di
Dio, per il Festino del 1781 non
avrebbero più avuto quel fastidio.
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Questa storia è verosimile.
È ispirata a un disegno di Ignazio
Locatelli, ricopiato con le lacrime al
cuore dal solito marchese di Villabianca
nei suoi Diari palermitani, con l'aggiunta
di alcuni appunti preziosi. Questa
statua nel dì 17 luglio del 1780 andò a
finire e così restava fatta in pezzi
dalla travame del Giuoco di fuoco di Mare
della festa di S. Rosalia che vi si
rovesciò sopra dalla violenza del vento.
Non vi è più, fu rovinata. E sotto:
Fontana di Ercole del maggior cerchio
della Banchetta Marittima di Porta Felice,
eretta tràl Marzo del 1778. Ignazio
Locatelli delineavit. In un'altra
occasione, come ricorda Maria Clara
Ruggieri Tricoli, il marchese definì
quell'Ercole "un de' genii de'
cittadini palermitani". È' questa
un'altra prova a sostegno della nostra
ipotesi che il mito di Ercole e l'Idra è
la fonte iconografica del Genio di
Palermo. Resta da accertare la
provenienza della "metopa" del
Cippo Smiriglio, che rappresenta lo
stesso episodio e dunque è nota a
Palermo con ogni probabilità in data
anteriore all'incarico affidato a
Vincenzo Gagini per l'esecuzione di
questa fontana, il 9 gennaio del 1579.
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