Azulejo di Lisbona (secolo XVII).

una primavera portoghese

alessandro dell'aira


L
a primavera del Portogallo in Trentino è stata più che un viaggio: per viaggiare basta esistere, è un verso di Álvaro de Campos, alias Fernando Pessoa travestito da ingegnere futurista. Se andare da un nome all'altro è un viaggio, il fascino del Portogallo sta già nel nome che evoca avventura, scuole di navigatori, scafi che sfidano le tempeste, porti degli altri e isole sconosciute in cui rifugiarsi senza bruciarsi le navi alle spalle.

Lì la terra finisce e il mare comincia; lo ha scritto Camões alimentando un mito già vivo, coltivato da generazioni di negrieri spietati ma anche di simpatici mercanti-charlot. Terra di carboni avari e di grigliate di quartiere, di braci strappate alle sardine altrui e tirate sotto le proprie, di devozioni al basilico e di santuari monumentali. Terra di mori e di lavoro - è un proverbio dell'Algarve -, di multinazionali e di artigiani arcaici, è l'hinterland di Oporto, di venditori ambulanti di almanacchi e di yuppies a quattro ruote motrici, è l'estuario del Tago, di poeti associati in società e di mille ciabattini esoterici, è la pseudocultura di massa che distorce la tradizione. Di arance enormi e di mattonelle scrostate, è il pittoresco, di baccalà al dettaglio e di esposizioni universali, è il range del commercio lusitano, di mulattiere e di ponti mozzafiato, è il gap della viabilità lusitana. In Portogallo si coltiva fermezza, tenerezza, nostalgia personale e nazionale che molti stranieri scambiano per nazionalismo, e invece è saudade formale di un passato che non ritorna, cultura del fado nel senso di fatalismo, un vivere di spalle all'Europa che tende a risolversi più rapidamente di quanto non si risolvano i pregiudizi del resto d'Europa. Fin da bambini i portoghesi si chiedono perché il mondo, perché soprattutto l'Europa guarda al loro paese come a un rettangolo di penisola sottratto alla Spagna. L'Europa è una zattera di pietra ancorata agli stereotipi, è stata Comunità, è Unione da tempo, sa cos'è l'euro sulla carta, si prepara ad averlo in tasca e certi suoi pregiudizi sono ancora moneta corrente.

La nuova costituzione portoghese ha ventidue anni. È già stata riformata, i principi più rigidi hanno lasciato il posto a nuove visioni e ad altri scenari. Il movimento ha riempito di garofani Lisbona, ha dato un taglio al colonialismo, ha discusso il suo passato alla luce del sole. Il paese è uscito dall'Africa ed è entrato in Europa, ha rinnovato i suoi quadri, ha reintegrato alcuni e ha fatto spazio agli altri, ha riflettuto sull'economia, ha aderito a modelli di pragmatismo, si è dato infrastrutture che non aveva. È arrivato il benessere in provincia, sono sorti i quartieri di latta intorno alla metropoli, a Lisbona si è incendiato il Chiado e in parte è risorto, si è rafforzata la presenza portoghese in Eropa. Lisbona è stata capitale europea della cultura, il turismo di massa ha invaso il paese, l'Europa ha scoperto che saudade non è solo il Brasile e ha dato ragione al Portogallo, il suo futuro non è solo l'Oceano.

Abbiamo parlato di Portogallo ed è stato un viaggio. Un viaggio reale e simbolico come quello di José Saramago che entra nel suo paese in auto da Miranda de Douro e si ferma a metà del ponte sul fiume con il motore in Portogallo e il serbatoio del carburante in Spagna, dove il Douro è ancora Duero. Più dura il viaggio, più le sorprese confermano qualcosa che il viaggiatore già sapeva: il viaggio non finisce mai, solo i viaggiatori finiscono. Parlare di Portogallo in Trentino è stato vedere con altri occhi quello che i viaggiatori hanno sempre visto: qualcosa che si avvicina sul mare, in fondo a una valle, ai margini di una strada, nei riflessi di un finestrino. Il Portogallo ha scoperto il Trentino e ha confermato al Trentino la sua scoperta: le isole, anche quelle conosciute, sono sconosciute finché non vi si sbarca, lo ha scritto José Saramago.

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Fernando de Brito Vintém
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