Lì la terra finisce e il mare
comincia; lo ha scritto Camões alimentando un
mito già vivo, coltivato da generazioni di
negrieri spietati ma anche di simpatici
mercanti-charlot. Terra di carboni avari e di
grigliate di quartiere, di braci strappate alle
sardine altrui e tirate sotto le proprie, di
devozioni al basilico e di santuari monumentali.
Terra di mori e di lavoro - è un proverbio
dell'Algarve -, di multinazionali e di artigiani
arcaici, è l'hinterland di Oporto, di venditori
ambulanti di almanacchi e di yuppies a quattro
ruote motrici, è l'estuario del Tago, di poeti
associati in società e di mille ciabattini
esoterici, è la pseudocultura di massa che
distorce la tradizione. Di arance enormi e di
mattonelle scrostate, è il pittoresco, di
baccalà al dettaglio e di esposizioni
universali, è il range del commercio
lusitano, di mulattiere e di ponti mozzafiato, è
il gap della viabilità lusitana. In
Portogallo si coltiva fermezza, tenerezza,
nostalgia personale e nazionale che molti
stranieri scambiano per nazionalismo, e invece è
saudade formale di un passato che non
ritorna, cultura del fado nel senso di
fatalismo, un vivere di spalle all'Europa che
tende a risolversi più rapidamente di quanto non
si risolvano i pregiudizi del resto d'Europa. Fin
da bambini i portoghesi si chiedono perché il
mondo, perché soprattutto l'Europa guarda al
loro paese come a un rettangolo di penisola
sottratto alla Spagna. L'Europa è una zattera di
pietra ancorata agli stereotipi, è stata
Comunità, è Unione da tempo, sa cos'è l'euro
sulla carta, si prepara ad averlo in tasca e
certi suoi pregiudizi sono ancora moneta
corrente. La nuova costituzione portoghese
ha ventidue anni. È già stata riformata, i
principi più rigidi hanno lasciato il posto a
nuove visioni e ad altri scenari. Il movimento ha
riempito di garofani Lisbona, ha dato un taglio
al colonialismo, ha discusso il suo passato alla
luce del sole. Il paese è uscito dall'Africa ed
è entrato in Europa, ha rinnovato i suoi quadri,
ha reintegrato alcuni e ha fatto spazio agli
altri, ha riflettuto sull'economia, ha aderito a
modelli di pragmatismo, si è dato infrastrutture
che non aveva. È arrivato il benessere in
provincia, sono sorti i quartieri di latta
intorno alla metropoli, a Lisbona si è
incendiato il Chiado e in parte è risorto, si è
rafforzata la presenza portoghese in Eropa.
Lisbona è stata capitale europea della cultura,
il turismo di massa ha invaso il paese, l'Europa
ha scoperto che saudade non è solo il
Brasile e ha dato ragione al Portogallo, il suo
futuro non è solo l'Oceano.
Abbiamo parlato di Portogallo ed
è stato un viaggio. Un viaggio reale e simbolico
come quello di José Saramago che entra nel suo
paese in auto da Miranda de Douro e si ferma a
metà del ponte sul fiume con il motore in
Portogallo e il serbatoio del carburante in
Spagna, dove il Douro è ancora Duero. Più dura
il viaggio, più le sorprese confermano qualcosa
che il viaggiatore già sapeva: il viaggio non
finisce mai, solo i viaggiatori finiscono.
Parlare di Portogallo in Trentino è stato vedere
con altri occhi quello che i viaggiatori hanno
sempre visto: qualcosa che si avvicina sul mare,
in fondo a una valle, ai margini di una strada,
nei riflessi di un finestrino. Il Portogallo ha
scoperto il Trentino e ha confermato al Trentino
la sua scoperta: le isole, anche quelle
conosciute, sono sconosciute finché non vi si
sbarca, lo ha scritto José Saramago.
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