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GLOBAL IN MOSTRA
L'altro mondo parla


di
Alessandro Dell'Aira


DA CIRCA UN MESE IL BRASILE presidia quattro punti nevralgici di Venezia con le sue arti visuali, inseritesi in modo appariscente nei programmi della Biennale 2001. L'associazione Brasil +500, con la regia del nostro Germano Celant, mette in mostra in laguna fino al prossimo ottobre alcuni scampoli tipici del grande paese iberoamericano, anche fuori del padiglione nazionale, che ospita due dei suoi migliori artisti di oggi: Vik Muniz ed Ernesto Neto.
In altre parole: mentre Palazzo Fortuny è invaso dai costumi di Carmen Miranda e dal carnevale carioca, mentre le sculture nervose di Tunga occupano la sede del Guggenheim accanto alle foto sensuali di Miguel Rio Branco, la vigorosa penombra della chiesa di San Giacomo dall'Orio accoglie diciassette statue religiose barocche di legno policromo e di terracotta, nove delle quali raffigurano il francescano San Benedetto dei fiori, figlio di africani schiavi in Sicilia nel primo Cinquecento (esempio di quanto c'è ancora da scoprire in fatto di relazioni incrociate transatlantiche nella storia dell'umanità moderna). Noi europei siamo piuttosto inclini a non mischiare tra loro le categorie della cultura e i generi artistici. Ci sentiremmo spaesati, fraintesi, in disordine, di fronte a una sintesi che mescolasse statuaria barocca, arte contemporanea, grandi installatori, star dello spettacolo e feticci nostrani. Per il Brasile questo invece è normale, e non solo perché il paese è grande e vario.



 




I brasiliani, gente giovane che ha appena celebrato il mezzo millennio di storia (la "scoperta" portoghese è del 1500), hanno il gusto dell'ibrido e il culto dei tre principi vitali intercontinentali: il rosso, il nero, il bianco. Non è solo questione di cultura "alta" che rilegge la cultura "bassa". Carmen Miranda, della razza di Josephine Baker e Marlene Dietrich, ha continuato a far sognare Andy Warhol e con lui la generazione degli europei ricompattati dopo la seconda guerra mondiale. Lo stesso Walt Disney, con Saludos Amigos (1943), Los Tres Caballeros (1945) e il pappagallo Zé Carioca maestro di samba di Paperino, negli anni quaranta marcò da vicino il fascino tropical-chic di Carmen Miranda, così come oggi la Disney Corporation cavalca e riprende, non volendo riprendere altro, il mito classicissimo di Ercole.
La Biennale di Venezia nasce nel 1895. Ha fatto da modello anche alla Biennale di San Paolo del Brasile, che esordì nel 1951. Nel 2001, BrasilConnects, organizzazione professionale no-profit che sostiene il patrimonio artistico e culturale del Brasile, ha dato una mano a Brasil + 500 e alla Fondazione Biennale di San Paolo nell'usare Venezia come plateau del suo eclettismo. Le strutture oniriche e mastodontiche di Ernesto Neto, realizzate in lykra, un tessuto-membrana trasparente e dilatabile che dà forma all'aria e agli aromi amazzonici, si espandono negli antichi magazzini veneziani come nei padiglioni industriali, e si propongono come una sfida tra peso e leggerezza, trasparenza e opacità; da parte sua, Vik Muniz trasferisce molteplici effetti di cristallizzazione e vaporizzazione sulle immagini riprodotte e ottenute con varie tecniche, anche mediante il ricorso a prodotti commestibili di radice coloniale, come lo zucchero e il cioccolato. Nel frattempo, il popolo brasiliano sta vivendo in patria i peggiori black-out degli ultimi vent'anni, a causa della crisi energetica che ha richiesto un drastico piano di emergenza. Nella nostra razione quotidiana di piccole gioie, abbiamo tutti diritto a un razionamento. Se per il mondo intero è tempo di rieducazione al consumo, per il Brasile, come per l'Iran, è scattata l'emergenza energia, soprattutto nelle metropoli. E non solo tra la gente comune o nelle favelas. Dal nostro plateau privilegiato cerchiamo di ricordarcene, sia pure una volta ogni due anni. Vivere... per cosa? si chiedono le sculture di Ernesto Neto. Il moralismo non c'entra. Anche la fantasia degli artisti si nutre ogni giorno di elettricità.



 




 
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