Cerca
  il titolo
 

 

 Cerca la
 località
 

 

 Scegli
 il segno
 

 

 Messaggio  
 PIAZZA AFFARI  METEO  OROSCOPO
 SMS
mercoledi 17
settembre 2003
 
 


 Commenti
 Primo piano
     
   CRONACHE
   Trento
   Lavis Rotaliana
   Rovereto  Vallagarina
   Riva Arco
   Pergine
   Valsugana  Primiero
   Val di Fiemme
 Val di Fassa
   Val Giudicarie
 Val Rendena
   Val di Non
 Val di Sole
     
   SPORT
     
   SOCIETA'
   Economia
   Lettere
   Cultura
   Spettacoli
   Agenda
     
   SETTIMANALI
   Agricoltura
   Arte & mostre
   Auto & motori
   Bambini
 
& ragazzi
   Internet
   Libri & idee
   Montagna
 
& natura
   Plata ladins
   Sapori
 
& alimenti
   Scommesse
   Università
 
& ricerca
     
   I NOMI DI OGGI
     


  KwSport
     Cerca la squadra


  Katalogo

 

Cerca sulla rete
In Katalogo
Nel web
 




  KwSport
     Cerca la squadra


 SMS



 CULTURA




E Pessoa incontrò
la Coca-Cola



LA STORIA





di Alessandro Dell'Aira




 
   
VERSO LA FINE degli anni Venti del secolo scorso la ditta Moitinho de Almeida di Lisbona, in affari con gli Stati Uniti, aveva l'esclusiva per il Portogallo di una bevanda frizzante, deliziosa, rinfrescante, confezionata in bottiglie di forma inconsueta, con un'etichetta bianca e rossa come la bandiera a stelle e strisce. Il nome del prodotto era scritto a mano con gli svolazzi, stile registro contabile. La formula era segreta, il nome esotico e trasgressivo: Coca-Cola. Gli americani ne andavano pazzi, si era in pieno proibizionismo e quella gazosa dolciastra color carruba poteva aiutare gli alcolisti a redimersi. Le proposte della concorrenza non erano all'altezza.

Il signor Fernando Pessoa, intellettuale squattrinato di Lisbona, occhiali tondi e spolverino grigio, traduttore di lettere commerciali per la ditta Moitinho de Almeida, stravedeva per la radio, i futuristi e la rèclame. Pensò che un lampo di genio avrebbe moltiplicato le vendite in Portogallo di quella bibita dal nome equivoco, con effetti a cascata sul suo stipendio. Ci voleva uno slogan traumatico, effervescente. Ne inventò uno di gran forza: Primeiro entranhase, depois estranhase, prima ti entra nelle viscere e poi ti esce da tutti i pori. Impeccabile. Geniale. Più la butti giù e più ti tira su.
Ogni cosa a tempo e luogo, però. Se uno slogan così oggi esalta le nostre miscele di caffè per famiglie, da gustare all'inferno o in paradiso come proiezioni estreme del paradosso consumistico, la bella frase di mano del signor Fernando Pessoa, che promuoveva il lancio della Coca-Cola in Portogallo, virò su se stessa e tornò indietro come un boomerang. Il professor Salazar era al governo da poco e quell'intruglio lambiccato in Georgia da un farmacista fallito avrebbe fatto i conti con lui, come tante altre cose che non gli piacevano. Dentro poteva esserci cocaina. Ammesso pure che non fosse tossica, eccitava certamente i centri nervosi. Il Ministero della Salute portoghese requisì l'intero stock e ne vietò la vendita nel paese con un decreto che durò quarant'anni. L'ideatore dello slogan rischiò di essere licenziato per la Coca-Cola. Altro che portarsela a scuola, come Vasco Rossi. Ma al signor Pessoa non poteva importargliene di meno. Lui frequentava le latterie di periferia e le mescite di buon vino del centro di Lisbona.
Questo aneddoto, rivelato a un quotidiano portoghese nel 1992 da un esponente della famiglia Moitinho de Almeida, ripreso dai più recenti biografi di Fernando Pessoa, non è contenuto nel saggio "La Coca-Cola è così", di Osvaldo Soriano, inserito da Einaudi in una raccolta di testi brevi: "Ribelli, sognatori e fuggitivi", riproposta l'anno scorso nella collana "Stile libero". Il sognatore in questo caso è John Pemberton, l'oscuro farmacista che in punto di morte, nel 1891, non volendo portarsi all'altro mondo la formula decise di cederla in cambio di 550 dollari. Un pessimo affare: chissà che bevute di Coca-Cola lo aspettavano in paradiso (o all'inferno) se si fosse tenuto il segreto. Più la butti giù e più ti tira su, avrebbe trovato bello anche l'ultimo viaggio.
Il corrosivo Osvaldo Soriano era un entusiasta della Coca Cola, che definì "dolce prodotto dell'imperialismo, identico a se stesso in ogni parte del mondo". Ne rivelò la composizione riprendendola da "Test-Achats", rivista belga che l'aveva divulgata nel 1979. L'analisi di un litro avrebbe dato il responso: acida, equivalente a un caffè, zuccherata, colorata, non più dannosa di altre bibite in commercio. Eppure si dice che la chiave della vera formula resista, custodita da tre persone che vivono in città diverse degli Stati Uniti e non si incontrano mai. Il mistero ci sembra irrilevante. Senza la bottiglia, senza il profilo della bottiglia sulla lattina, senza il logo Old America, senza quest'ultima leggenda metropolitana, la Coca-Cola tornerebbe gazosa, perderebbe l'appeal, non avrebbe gusto, non sarebbe più country.