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E dagli all'ebreo

Pergine, la morte di un israelita
Una «scoperta» in Biblioteca


L'INEDITO



di Alessandro Dell'Aira

   
   
NELLA BIBLIOTECA MARCIANA di Venezia si conserva un opuscolo di otto pagine con un poemetto in ventiquattro ottave, appena acquisito in copia fotostatica dalla Biblioteca Comunale di Trento. E' senza data, dei primi del Seicento. Si intitola "Compassionevol caso occorso su'l Trentino nel Castello di Perzine. Dove s'intende lo assassinamento, che fece un'hebreo a un padre, e una figliola, e come per miracolo della Madonna fu scoperto, e giustitiato". Un caso di lacrime e sangue messo in versi da Giovan Battista Fidelli ferrarese e ripubblicato a Bologna.
Tre sono i protagonisti: il ricco vedovo Guido Dinelli, di professione orefice, sua figlia Ardelia, giovane di rara bellezza, e l'ebreo Sansone, innamorato pazzo di Ardelia. La ragazza non vuole saperne di Sansone e lui le tende una trappola. Il giorno di San Benedetto di un anno non precisato, certamente non lontano dall'anno di ristampa dell'opuscolo bolognese, Sansone si nasconde sotto il letto di Ardelia per insidiarla. Lei grida aiuto, lui la lega al letto e le usa violenza, poi le taglia la lingua con un coltello. Il padre ode i gemiti della figlia e si precipita nella stanza. Sansone salta addosso all'orefice, lo atterra, gli cava gli occhi e fugge. Il padre non ha visto l'aggressore, la figlia non può accusarlo. Le due vittime restano senza soccorso per tutta la notte: "...lui chiama Ardelia per non aver occhi, lei non risponde per non aver lingua". Il giorno dopo accorre molta gente, i vicini soccorrono le due vittime e si chiedono chi sia l'autore del delitto. Il vecchio Guido si appella alla Madonna e la Madonna gli appare in sogno per metterlo in guardia: il malfattore è il primo che lo saluterà. Così avviene: Guido si reca in chiesa e si imbatte in Sansone che gli dice "Vi son servitore". Guido riacquista prodigiosamente la vista, accusa Sansone e lo insegue "per strade ritorte" insieme con la gente di Pergine che acciuffa l'ebreo e lo porta davanti al podestà. Sansone ammette le sue colpe. Ed ecco un secondo miracolo: Ardelia sopraggiunge col padre mentre Sansone sta per essere giudicato e nel vederlo riacquista la parola. Il reo confesso è condannato al taglio della lingua, ad essere accecato e strangolato con la stessa fune con cui aveva legato Ardelia. Il suo destino è segnato: sarà bruciato pubblicamente. "Non si volendo il crudo far cristiano", è accompagnato in piazza da più di trenta ebrei e prima di essere mutilato della lingua grida due volte: "Adonai", il nome con cui era lecito chiamare Dio nella sua religione. E' accecato, impalato, strangolato e bruciato. L'autore del poemetto ha un intento didascalico che si fa più evidente nella conclusione: "Chi non vol dal demonio esser gabato" si dimostri restio nel fare il male e non agisca contro il voler di Dio. Esposto il caso compassionevole, si deve ora inquadrarlo nella storia trentina della fine del Cinquecento, anche alla luce di un intervento di Marina Poian al congresso "Popolazioni chiuse e comportamenti demografici" (Trento, novembre 1989), a proposito della giurisdizione di Pergine e degli ebrei che vi risiedettero fino al 1648, anno della loro definitiva espulsione. Marina Poian cita un documento dell'Archivio di Feltre su un tale Sansone che aveva un "bancho" a Pergine, al quale Marco l'Ebreo vendette alcuni oggetti dati in pegno da Antonio de Coradi da Roncogno. A seguito della supplica del 1596 il vescovo di Feltre Rovelio fece una visita a Pergine, dove funzionava una sinagoga e dove nonostante i divieti, gli interessi contrapposti e le diverse culture, l'integrazione tra la comunità ebraica e quella cristiana era un dato di fatto, così come a Strigno e a Borgo.