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 CULTURA







Vienna Felix?

Verrecchia rivisita
il mito mitteleuropeo




IL LIBRO
 




Il ritratto di Max Hoppenheimer
dipinto da Egon Schiele
riportato sulla copertina del libro



di Alessandro Dell'Aira



Dalla Storia (Geschichte) agli Affari (Geschäfte). È il triste declino dell'Hotel Sacher dopo l'arrivo degli americani a Vienna, con la città fatta a fette dagli Alleati come una torta. Poiché l'Hotel Sacher è il camerino di una città-teatro, la parabola è metropolitana. Così la pensa Anacleto Verrecchia, autore di "Rapsodia viennese", cinquanta pezzi bizzarri, scintillanti e antiaccademici pubblicati quest'anno da Donzelli.


Noto per i suoi saggi su Karl Popper, Federico Nietzsche, Giordano Bruno, Verrecchia è un intellettuale senza collare con due patrie ugualmente adorate: Torino e Vienna. Oggi scrive per La Stampa, è il recensore più feroce di TuttoLibri e rivendica al buon giornalismo lo stile brioso, attraente, fatale, pervaso di quella leggerezza che i bacchettoni associano alle belle donne. Vienna culla della nevrosi e della psicanalisi? Sì sì, a Vienna si pensa bene e si lavora male. La mitica Sissi? Con calma, i versi insipidi che in sogno le dettava Heine sono il grido di dolore di una donna sensibile, fuori posto alla corte di Cecco Beppe più di Ponzio Pilato nel Credo e oppressa dal vecchio marito-padrone dagli occhi a bottone.
Questo ritratto dissacrante di Vienna e dei suoi mostri sacri parte dalla descrizione che nel Quattrocento ne fece Enea Silvio Piccolomini, il futuro pontefice Pio II, che vi soggiornò quando non aveva ancora preso i voti e Vienna era una città crapulona e rissosa di cinquantamila anime, con due miglia di mura dove oggi c'è il Ring e le vie lastricate di pietra dura, le case dipinte e un labirinto di sotterranei, in parte giunti fino ai giorni nostri della ruota del Prater e della ruota di dollari allegri dello zio Sam, nella Vienna in cui Graham Greene ambientò il Terzo Uomo.
Vienna mitteleuropea? Ma per favore. Verrecchia racconta di quando il giornale "Die Presse" gli chiese di fare una stroncatura della Mitteleuropa. A Vienna si rise, dall'Italia si protestò perché la Mitteleuropa, sostiene Verrecchia, è un'invenzione degli italiani. Il Parco di Schönbrunn non è di Francesco Giuseppe, è degli scoiattoli. La coscienza infelice di Vienna è la follia del poeta Lenau che prima vaga in riva al Danubio, poi si precipita a Stoccarda e da lì fugge oltre Atlantico in Pennsylvania, dove gli usignoli non cantano e già ai tempi di Metternich e Luigi Filippo si avverte la distanza che c'è tra l'Europa e un'America cui l'Oceano fa da scudo contro ogni forma di spiritualità. Una scoperta dopo l'altra: non sono buoni i ricordi di scuola lasciati a Trattenbach e Otterthal dal maestro Wittgenstein, Musil era un uomo freddo e di cattivo carattere. E passando ai comuni mortali di Vienna, ecco le vecchiette arzille come formiche culone capaci di mangiarsi da sole uno stinco di maiale condito con salsa di rafano, ben altri tipi che le zitelle spiate da Isabella Bossi Fedrigotti mentre tornano a casa traballanti con le sporte piene di spesa. I viennesi non piansero l'imperatrice Maria Teresa, sotto di lei la cosa che funzionava meglio era la censura, c'erano più conventi che scuole e l'aquila bicipite si abbeverava da una parte all'acquasantiera e dall'altra all'illuminismo. Il figlio di Maria Teresa, Giuseppe II, era allergico alle montagne di carta straccia della burocrazia. E che dire di Freud, che da Vienna nel maggio del 1933 scrisse la dedica: "A Benito Mussolini, con il devoto saluto di un uomo anziano che nel detentore del potere riconosce l'eroe della cultura"?
Questa Rapsodia viennese non va presa per oro colato. A parte il fatto che ogni rapsodia è declamazione libera e politematica, qui dietro c'è la verace ironia piemontese di Gozzano e Ceronetti, e in parte (poca) la struttura e la dissacrazione dei saggi di Eco Dalla periferia dell'impero (americano). Perché sempre di un ex impero si tratta, visto da un viaggiatore scomodo. C'è pure un pizzico di bozzettismo deamicisiano, volendo attingere ai luoghi comuni d'Italia. Il metodo di Verrecchia appare simile al metodo delle cicogne osservate da Verrecchia nel Neusiedler See alla periferia di Vienna, mentre affondano il becco nell'acqua e pescano alla cieca, ma pescano. Vienna ama gli animali, soprattutto i volatili: tortore, gabbiani, cicogne. Con una vena di misantropia, l'autore dichiara di amare di più la Vienna infelix amica degli animali, capitale di un'Austria che nell'Atlante è ridotta a un prosciutto spolpato. Non si fa fatica a credergli: il contrappunto tra la città degli uomini e la città degli scoiattoli è la cosa più gustosa di un libro dalle pagine facili a inghiottirsi come lombrichi, ma non per questo banali. In sovracoperta il ritratto espressionista altrettanto leggero e poco banale del pittore Max Hoppenheimer, fattogli dal collega Egon Schiele nel 1910.



Anacleto Verrecchia, "Rapsodia viennese. Luoghi e personaggi celebri della capitale danubiana". Donzelli Editore, 310 pagine, 24 euro.