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 CULTURA








La Storia, tra i banchi


Beatrice de Gerloni ha curato il saggio
sulla materia tra ricerca e didattica




IL LIBRO DELL'IPRASE
 
 

Muzio Scevola rivisitato



di Alessandro Dell'Aira



È stato presentato ieri, alla Biblioteca civica di Rovereto, il volume edito da Franco Angeli per l'Iprase di Trento a cura di Beatrice de Gerloni, "La Storia fra ricerca e didattica". Oltre all'autrice e ad Ernesto Passante, direttore dell'Istituto promotore della ricerca, sono intervenuti Giuseppe Albertoni, dell'università di Bologna e Sandra Dorigotti, assessora comunale alla cultura.


BEATRICE DE GERLONI è anche autrice del saggio che introduce gli interventi di Luciano Canfora, Alberto Ciotola, Mario Liverani, Stefano Gasparri, Raffaele Savigni, Claudio Tugnoli. Sull'invito quattro domande: quale storia viene insegnata a scuola? quale storia produce la ricerca storiografica? quale storia ci raccontano i media? L'ultima è candida in senso volterriano: che fine ha fatto Muzio Scevola?

I miti romani.
Il nobile Muzio Cordo, poi detto "il Mancino" ovvero Scevola, voleva fare la pelle a Porsenna da Chiusi che assediava Roma repubblicana, ma sbagliò persona. Disarmato dalle guardie del re, cacciò la destra in un braciere fumante e ce la tenne per un bel po'. L'odore acre della carne bruciata usciva dai nostri libri di testo e si diffondeva tra i banchi delle elementari nelle aule ingombre di cimeli: il corpo umano di Menenio Agrippa, la botte chiodata di Attilio Regolo, i gioielli di Cornelia madre dei Gracchi, il dado del Rubicone, il caso clamoroso del cavallo-senatore di Caligola. Una sequenza simbolica. Già nella scuola dell'Italia unita la Storia antica era una via sacra ornata di cippi memorabili. La Storia in cattedra era maestra di vita in compresenza con la Geografia.
Il punto sulla didattica. Lasciando al lettore il gusto di visitare i vari saggi sul metodo, segnaliamo l'introduzione di Beatrice de Gerloni, "Tra passato e presente: tradizione e innovazione nell'insegnamento della storia", come valido sussidio per i docenti che hanno a cuore il proprio ruolo di "figure di sistema" e operano su un terreno condiviso con gli studenti: i programmi intesi come linee guida di insegnamento e apprendimento, gli strumenti di ricerca, lo stato della didattica e il quadro territoriale, ambientale e situazionale (dimensione complessa, zoccolo duro della personalizzazione dello studio: la formazione non è un prêt-à-porter, ma neppure un atelier d'alta moda).

La riforma di Croce.
Il saggio di de Gerloni ricorda come qualche anno prima della grande guerra il governo italiano avvertì l'esigenza di rinnovare i programmi scolastici con "riforme senza spese". A quei tempi le nozze con i fichi secchi erano possibili. A guerra finita provò a celebrarle Benedetto Croce, ministro della Pubblica Istruzione nell'ultimo governo Giolitti. Nei suoi nuovi programmi la storia, al di là delle differenze tra i vari tipi di scuola, usciva dalle secche aneddotiche, politico-militari e diplomatiche per affrontare acque libere, aprendosi alla dimensione economica e sociale, alle vicende della cultura, alla provvisorietà condizionata dal tempo presente, senza pretese di certezza, unicità, oggettività, neutralità, o tentazioni di nozionismo ed enciclopedismo. Col fascismo arrivò la riforma Gentile. Gli indirizzi di scuola furono canalizzati e gerarchizzati. La storia fu aggregata alla filosofia e alle lettere, con ruolo subalterno. Croce segnalò il rischio che in quel modo tutto si riduceva a un balletto di idee, nonostante l'apertura alla storia politica e contemporanea (di allora). Il regime generato dal movimento congelò il presente e affidò alla storia scolastica il compito di legittimare la mission civilizzatrice di Roma nel Mediterraneo e nel mondo. Con buona pace della storia orientale e greca, del Medioevo apocalittico, della rivoluzione francese, del pluralismo, della storia degli uomini, della cultura e della scienza.

L'educazione civica. L'analisi di de Gerloni arriva ai giorni nostri, dai ritocchi di Washburne nell'immediato dopoguerra all'introduzione dell'educazione civica, fortemente voluta da Aldo Moro nel 1958, alle spesso intricate vicende di politica scolastica degli anni sessanta e settanta, dalla programmazione attenta a finalità, metodi e materiali, alla proiezione interdisciplinare, all'osmosi tra macro e microstoria, all'attenzione per la memoria, l'oralità, il patrimonio locale, familiare e ambientale. La storia, ed era scontato, si rivela materia più esposta delle altre ai compromessi tra le parti, più sensibile di altre al mutamento degli equilibri tra i poteri. Meno scontato, invece, ci pare che la sua versione scolastica rischi di essere riformata per legge o per decreto e controllata all'origine, se non di essere mutilata dei suoi risvolti più attuali. La storia a scuola è di chi la studia.