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Quando
profughi
erano i trentini
La saga dei Bonvecchio
da Povo a Znojmo, in Moravia
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La famiglia Marchel
sfollata a Urbau.Sotto:
le casette del centro di
Urbau.
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di Alessandro
Dell'Aira
UN'IMPRESA
d'altri tempi e dei tempi nostri quella
di Aldo Giongo da Povo, ex operaio,
intellettuale e presidente del circolo
Arci-Paho, che ha composto curato e
pubblicato in edizione italo-tedesca e
italo-ceca la saga dei suoi compaesani
sfollati in Moravia durante la grande
guerra: "A Est dell'Impero" è
la sua fatica.
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Un'impresa
popolare d'altri tempi perché Giongo per anni e
per amore di Povo ha messo sotto spirito le
parole e i ricordi dei testimoni viventi, allora
bambini e oggi quasi tutti scomparsi, ricavandone
un poema di guerra e di passione in prosa naïf
illustrato da vignette d'epoca disseminate tra le
pagine del libro. Un'impresa popolare dei tempi
nostri perché Giongo e il suo circolo promuovono
iniziative socioculturali complesse, che vanno da
questa storia romanzata scritta per i trentini di
Povo e i cechi di Znojmo alla versione scenica
della storia rappresentata nel teatro
parrocchiale di Povo nei giorni scorsi dal gruppo
del Teatro Obliquo; al gemellaggio decennale tra
Povo Villazzano e Znojmo, nelle cui vicinanze, a
Urbau, quando Znojmo si chiamava Znaim,
milleseicento poeri trascorsero tre lunghi anni.
Dalla periferia dell'Impero i poeri deportati
all'alba del 28 nel maggio 1915 finiscono nel
ventre dell'Impero dentro carri ferroviari
impagliati, gli uomini abili mandati in Galizia a
combattere, le donne e i bambini affidati alla
carità dei civili del luogo. L'Impero è lì lì
per esplodere, eppure quella guerra sembra non
voglia finire mai. E il secolo corre con gli anni
di Giuseppe Bonvecchio, nato a Povo la notte di
Capodanno del 1900, troppo giovane per partire da
Kaiserjäger come il fratello maggiore Francesco,
troppo giovane ancora per fidanzarsi con la
figlia di un fattore di Urbau, mentre la sorella
Teresa scopre l'amore in riva al fiume Taia con
quel bravo ragazzo viennese del gendarme Josep,
che poi le fa conoscere la capitale dell'Impero
dove corrono carrozze senza cavalli che fanno un
rumore infernale, dove le camere da letto sono
grandi quanto le casette di Urbau. Gli sfollati
da Povo, Oltrecastello e Villazzano tengono la
chiave sulla cornice della porta d'ingresso,
sperando che il capofamiglia torni dal fronte
orientale e la trovi al suo posto di sempre.
La saga dei Bonvecchio ha diversi fronti, come il
grande conflitto. Il padre Desiderio, prigioniero
dei russi a Leopoli, alla fine ritorna a Znaim
dove si ricongiunge alla moglie Maria. Il
primogenito Francesco è caduto all'inizio della
guerra, ma il suo nome e il suo ricordo rivivono
nell'ultimo dei Bonvecchio, nato profugo a Urbau
come Emilio Giongo, padre di Aldo.
L'incubo ormai è finito, il ritorno è quasi un
sogno su un treno ornato del tricolore con lo
stemma dei nuovi padroni, i Savoia. I Bonvecchio
scendono alla stazioncina di Mesiano con le loro
povere cose. Dopo il gran "rebaltón"
rieccoli alle falde del Celva e del Chegul tra i
ciliegi e i vigneti bagnati dal Salé. Anche se
la storia ha girato pagina, questa Povo è pur
sempre la figlia della Magnifica e pittoresca
Comunità delle ville dei Thun, dei Saracini e
dei Manci. Ora la cosa più urgente da fare è
ammucchiare nel camino dei rami secchi e una
sedia sfondata. Ricomincia la vita. La chiave di
casa ritorna al suo posto sulla cornice della
porta d'ingresso, nel posto (si spera) di sempre.
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