Cerca
  il titolo
 

 

 Cerca la
 località
 

 

 Scegli
 il segno
 

 

 Messaggio  
 PIAZZA AFFARI  METEO  OROSCOPO
 SMS
martedì 23 dicembre 2003  


 Commenti
 Primo piano
     
   CRONACHE
   Trento
   Lavis Rotaliana
   Rovereto  Vallagarina
   Riva Arco
   Pergine
   Valsugana  Primiero
   Val di Fiemme
 Val di Fassa
   Val Giudicarie
 Val Rendena
   Val di Non
 Val di Sole
     
   SPORT
     
   SOCIETA'
   Economia
   Lettere
   Cultura
   Spettacoli
   Agenda
     
   SETTIMANALI
   Agricoltura
   Arte & mostre
   Auto & motori
   Bambini
 
& ragazzi
   Internet
   Libri & idee
   Montagna
 
& natura
   Plata ladins
   Sapori
 
& alimenti
   Scommesse
   Università
 
& ricerca
     
   I NOMI DI OGGI
     


  KwSport
     Cerca la squadra


  Katalogo

 

Cerca sulla rete
In Katalogo
Nel web
 




  KwSport
     Cerca la squadra


 SMS



 CULTURA




 

Quando profughi
erano i trentini


La saga dei Bonvecchio
da Povo a Znojmo, in Moravia



La famiglia Marchel sfollata a Urbau.

Sotto:
le casette del centro di Urbau.


 


di Alessandro Dell'Aira


UN'IMPRESA d'altri tempi e dei tempi nostri quella di Aldo Giongo da Povo, ex operaio, intellettuale e presidente del circolo Arci-Paho, che ha composto curato e pubblicato in edizione italo-tedesca e italo-ceca la saga dei suoi compaesani sfollati in Moravia durante la grande guerra: "A Est dell'Impero" è la sua fatica.

Un'impresa popolare d'altri tempi perché Giongo per anni e per amore di Povo ha messo sotto spirito le parole e i ricordi dei testimoni viventi, allora bambini e oggi quasi tutti scomparsi, ricavandone un poema di guerra e di passione in prosa naïf illustrato da vignette d'epoca disseminate tra le pagine del libro. Un'impresa popolare dei tempi nostri perché Giongo e il suo circolo promuovono iniziative socioculturali complesse, che vanno da questa storia romanzata scritta per i trentini di Povo e i cechi di Znojmo alla versione scenica della storia rappresentata nel teatro parrocchiale di Povo nei giorni scorsi dal gruppo del Teatro Obliquo; al gemellaggio decennale tra Povo Villazzano e Znojmo, nelle cui vicinanze, a Urbau, quando Znojmo si chiamava Znaim, milleseicento poeri trascorsero tre lunghi anni.
Dalla periferia dell'Impero i poeri deportati all'alba del 28 nel maggio 1915 finiscono nel ventre dell'Impero dentro carri ferroviari impagliati, gli uomini abili mandati in Galizia a combattere, le donne e i bambini affidati alla carità dei civili del luogo. L'Impero è lì lì per esplodere, eppure quella guerra sembra non voglia finire mai. E il secolo corre con gli anni di Giuseppe Bonvecchio, nato a Povo la notte di Capodanno del 1900, troppo giovane per partire da Kaiserjäger come il fratello maggiore Francesco, troppo giovane ancora per fidanzarsi con la figlia di un fattore di Urbau, mentre la sorella Teresa scopre l'amore in riva al fiume Taia con quel bravo ragazzo viennese del gendarme Josep, che poi le fa conoscere la capitale dell'Impero dove corrono carrozze senza cavalli che fanno un rumore infernale, dove le camere da letto sono grandi quanto le casette di Urbau. Gli sfollati da Povo, Oltrecastello e Villazzano tengono la chiave sulla cornice della porta d'ingresso, sperando che il capofamiglia torni dal fronte orientale e la trovi al suo posto di sempre.
La saga dei Bonvecchio ha diversi fronti, come il grande conflitto. Il padre Desiderio, prigioniero dei russi a Leopoli, alla fine ritorna a Znaim dove si ricongiunge alla moglie Maria. Il primogenito Francesco è caduto all'inizio della guerra, ma il suo nome e il suo ricordo rivivono nell'ultimo dei Bonvecchio, nato profugo a Urbau come Emilio Giongo, padre di Aldo.
L'incubo ormai è finito, il ritorno è quasi un sogno su un treno ornato del tricolore con lo stemma dei nuovi padroni, i Savoia. I Bonvecchio scendono alla stazioncina di Mesiano con le loro povere cose. Dopo il gran "rebaltón" rieccoli alle falde del Celva e del Chegul tra i ciliegi e i vigneti bagnati dal Salé. Anche se la storia ha girato pagina, questa Povo è pur sempre la figlia della Magnifica e pittoresca Comunità delle ville dei Thun, dei Saracini e dei Manci. Ora la cosa più urgente da fare è ammucchiare nel camino dei rami secchi e una sedia sfondata. Ricomincia la vita. La chiave di casa ritorna al suo posto sulla cornice della porta d'ingresso, nel posto (si spera) di sempre.