MERCOLEDÌ, 28 GENNAIO 2004
 

Cavalcabò e Mazzurana.
Rovereto si «racconta»

Pagina 49 - Cultura e Spettacoli



RISCOPERTE
Domani agli Agiati
la ricerca della Rizzioli su Udine Nani
 
 
 
 
 
 
 

Il volume di Elisabetta Rizzioli dedicato al pittore roveretano dell’Ottocento, Domenico Udine Nani (Edizioni Osiride), sarà presentato alle 17 di domani presso la sede dell’Accademia Roveretana degli Agiati in piazza Rosmini 5, con gli interventi di Carlo Sisi, direttore della Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, di Adriana Augusti, direttrice di Ca’ D’Oro, di Fabrizio Rasera, storico e dell’autrice. La ricerca che Elisabetta Rizzioli ha dedicato al pittore Domenico Udine Nani, è per metà catalogo e per metà storia dell’artista, con un saggio critico e quattro appendici documentarie. In genere i cataloghi servono a illustrare e a documentare gli eventi espositivi, le biografie scientifiche a tracciare la mappa di una vita. Questo volume riccamente illustrato edito a Rovereto da Osiride, detto in breve, è una icono-biografia che censisce più di sessanta opere, colma molte lacune e nello stesso tempo prepara una possibile mostra tematica.

di Alessandro Dell’Aira

Il percorso coinvolge figure a tutto tondo e di rilievo come Antonio Rosmini, che di Domenico Udine e Giuseppe Craffonara fu ispiratore e consulente iconografico. La fatica della Rizzioli è preziosa per tenacia e autonomia, per il valore aggiunto che ne deriva alla storia dell’arte figurativa trentina e per le conclusioni battagliere, nel senso che l’autrice non nasconde la sua determinazione a proseguire sul cammino intrapreso. L’indagine è partita nel 1998 da un incarico conferitole dal Museo Civico roveretano. Si è poi estesa principalmente in Toscana e in Lombardia, tra neoclassicismo e romanticismo, sulle tracce di opere murali o su tela, bozzetti e disegni. La Rizzioli si è autofinanziata e ha passato a setaccio la produzione di Domenico Udine, per leggerne lo stile alla luce della tradizione, della storia e della morale di un’epoca e di un ambiente complessi, con l’obiettivo di localizzare le opere disperse grazie alle fonti documentarie. Domenico Udine lasciò Rovereto diciottenne, nel 1802, per andare a studiare a Firenze sotto la protezione del concittadino Felice Fontana. Destreggiandosi tra gli stenti come poteva, iniziò a frequentare l’Accademia di Belle Arti e aprì uno studio che nel 1823 fu visitato da Antonio Rosmini, il quale vi ammirò la tela con l’Uccisione di Archimede oggi nel Museo civico roveretano. Dopo un viaggio di formazione a Venezia, Domenico ottenne la cittadinanza toscana e l’incarico ambìto e conteso di affrescare con soggetti mitologici alcuni palazzi fiorentini. Si impose presto anche come ritrattista: due tra le tele più note, di gusto neoclassico francesizzante, raffigurano un robusto Giampietro Baroni Cavalcabò, che fu presidente della Corte di giustizia trentina e venne esonerato dall’incarico per non aver voluto assistere a un Te Deum; e un risoluto Felice Mazzurana, noto “caffettiere”, albergatore e imprenditore dolciario della città, raffigurato con in pugno il progetto arrotolato del nuovo Teatro di Trento, di cui caldeggiò e finanziò l’apertura nell’aristocratico palazzo Festi. Il primo ritratto oggi fa parte della quadreria dell’Accademia degli Agiati; il secondo è stato acquisito dal Museo del Castello del Buonconsiglio. Similmente ai ritratti e alle opere di soggetto mitologico, sebbene su un altro registro espressivo, anche i quadri di tema sacro ispirati al Correggio e a Raffaello si propongono di infondere calore e vita nelle immagini religiose. D’altra parte Domenico Udine non si stancò mai di “copiar quadri” eccellenti, quasi volendo mandare a mente i segreti dei maestri più che acquisirne la tecnica. Il richiamo della patria era altrettanto vivo, oltre che stimolante per via dei contratti offertigli da privati aristocratici e borghesi, o dalle parrocchie. Non a caso la copertina del volume di Elisabetta Rizzioli è dedicata alla popolana che si inginocchia davanti alla Vergine sul prato di Mazzolengo presso Caravaggio in una tela dipinta nel 1840 per il conte Antonio Bossi Fedrigotti, che intendeva destinarla alla chiesetta di Sacco.
 La scena, dipinta a olio sullo schema delle “nozze mistiche” con la Vergine che sfiora con un dito la bella contadina, idealizza la dolcezza muliebre su uno sfondo alberato. La fonte che scaturisce alle spalle della Vergine e il falcetto della donna abbandonato sull’erba sono dettagli significanti del contatto miracoloso tra la divinità e la natura umana. Negli anni trenta e quaranta dell’Ottocento Domenico Udine fece spesso la spola tra Firenze e Rovereto.
 Alla sua morte, nel 1850, fu tumulato nei chiostri fiorentini di Santa Croce. Suo fratello Giovan Battista ottenne di estradare dal Granducato di Toscana una trentina di tele e un’ottantina di disegni di nudo e d’invenzione.