VENERDÌ, 5 MARZO 2004

Disertori, vita
fra Trento e Mitteleuropa


Pagina 52 - Cultura e Spettacoli

BIOGRAFIE
UNA FAMIGLIA CON PROFONDE RADICI, L'AUSTRIA, IL FASCISMO, IL BOOM. COSÌ ERAVAMO
 





 
     
 
 
 


di Alessandro Dell’Aira

È fresco di stampa, Sandro Dise, «Un interno mitteleuropeo, dopo» (Omega Edizioni, Modena): vita e opere di un trentino famoso, Sandro Disertori.

“Col senno di poi, analizzata a posteriori la loro filosofia politica, ho dovuto prendere atto come i miei parenti più stretti fossero tutti decisamente reazionari”. Scoperte che si fanno quando l’esperienza di vita prevale sull’educazione ricevuta. Un bilancio da filosofo e da ingegnere idraulico. Sandro Disertori è un ingegnere idraulico e sa che la vita non puoi progettarla come una diga. Anche i filosofi lo sanno. Il padre, ufficiale di Cecco Beppe, dopo il Rebaltòn tornò a Trento da Vienna con il figlio in fasce e si riciclò da banchiere. La nonna materna era una matrona che manovrava animali e mezzadri come soldatini di piombo, così possessiva da staccare il nipotino dalla madre Josephine, istriana, per gestirne personalmente la formazione in villa. La gestì così bene che gli mandò all’aria i primi esami universitari con la sua inattesa dipartita. Un pezzo di Belle Époque in frantumi. Un altro pezzo, Parigi, cadde in mano ai nazisti mentre Sandro preparava Scienza delle costruzioni nella casa paterna di Via Pietrastretta. La Ville Lùmiere era finita peggio di Vienna e dell’Austria Felix, che ai tempi d’oro gestiva matrimoni regali mentre a fare la guerra erano gli altri. Ma in quegli interni imperial-regi dell’infanzia trentina, tra le Laste e Muralta e d’estate a Mojà, nonna Anna leggeva placidamente Pinocchio sul ticchettac dei ferri da calza, e il suo abito nero diventava turchino, e il Pinocchio sapeva di operetta tra i due gendarmi in divisa da Kaserjäger.

Lo zio Marcello, fratello del padre, primo libraio di Trento e massone conclamato, era dispensatore di varia letteratura e sapere asistematico. I Disertori ospitavano di nascosto antifascisti come Oronzo Reale e Randolfo Pacciardi. Non erano solo pomeriggi intellettuali, più spesso erano veglie di filò nelle stalle. Ispirato dagli spannocchiamenti e dai racconti dei vecchi mescolati alla buona musica suonata in casa, il ragazzo cominciò ad avvertire il richiamo del non-Trentino, delle non-montagne, del non-mondo meraviglioso di Alice. Così si spiega perché, tra la morte della nonna e la caduta di Parigi, si innamorò a Campiglio della bella figlia di una pianista boema e di un armatore danese. Vànicka si chiamava, e gli dipinse un quadretto con la danza favolosa delle lepri nel bosco, destinato a perire nel 1944 tra le macerie della casa di Via Pietrastretta. Così si spiega l’attrazione fatale e il perdurante rimpianto per gli occhi di una zingara senza nome, incrociata e perduta sulla via del ritorno a casa dopo la prigionia.

Sandro Disertori, classe 1918, oggi vive nella sua villa sul Garda veneto. E’ ancora devoto a Santa Barbara, patrona di chi maneggia esplosivi in guerra e in pace. Dopo gli stenti del lager non lascia più briciole sulle tovaglie. Col nome di Sandro Dise ha appena messo in piazza gioie e ribaltoni personali in “Un interno mitteleuropeo, dopo”, edito a Modena. Dagli anni del Liceo alla scuola di roccia del rifugio Pedrotti, di cui nel 1941 fu fondatore, dalle polemiche con il padre alla partenza per la Russia con cinque esami ancora da fare e uno spazzolino da denti fornitogli da un compagno di studi e di montagne, Carlo Scotoni. In Ucraina lo raggiunge un telegramma: ammesso in extremis al corso allievi ufficiali di Pavia, una manna visto il destino tragico che attendeva la Julia e la prospettiva di nuovi studi in Italia. Militare e dissenziente come il padre, qualche trascorso padovano in Giustizia e Libertà, il 25 luglio 1943 diventa ufficiale responsabile del comune di Garda, dove è di stanza Rommel. L’8 settembre di mattina presto, chiamato a Villa Canossa per una sciocchezza, assiste al primo annuncio dell’armistizio dato al feldmaresciallo che a grandi passi sta lasciando il suo studio. “Klar!” dice Rommel senza fermarsi. Il giorno dopo un capitano della Wehrmacht sottrae Sandro alle SS, lo fa prigioniero e gli sequestra la Beretta. Gliela restituirà da civile nove anni dopo a Tione, durante i lavori della nuova centrale elettrica. Questo spunto da solo vale tutto il libro. Arrestato dalla Gestapo e deportato a Witzendorf, nel lager per ufficiali italiani, Sandro vi incontra decine di intellettuali di ogni parte d’Italia, grazie a uno dei quali, docente universitario, rispolvera gli studi di ingegneria. Tornato a Trento nel ’45, si laurea a Padova con una tesi su un gigantesco quanto ipotetico impianto idrolettrico sul Sarca. E siccome a tutti succede prima o poi di cominciare a lavorare, a quell’impianto finirà per lavorare davvero. Sarà la prima grande opera di una lunga serie che lo porterà a girare il mondo. Ancor più cara a lui perché a Molveno, tra gli scoppi della dinamite che il 4 dicembre del ‘48, giorno di Santa Barbara, davano il via agli scavi della galleria di valico della centrale del Sarca, incontrerà la bella Margherita Pallavicino, sua moglie. Nel pomeriggio la compagnia di amici scese fino a Riva e Torbole con le auto strombazzanti e tornò a Molveno a notte fonda dopo averne fatte di tutti i colori. La vita intensa e brava di Sandro Dise sembra quella del barone di Munchausen ma è tutta vera. Ancor più vera sembrerà ai trentini della sua generazione e del suo ambiente, che spigolando tra le sue memorie sapranno ritrovarvi, con un po’ di commozione e rimpianto, Die Welt von Gestern, il Mondo di ieri.

Sandro Dise, Un interno mitteleuropeo, dopo. Omega Edizioni, Modena, 2003. 740 pagine, 20 euro.