di Alessandro
DellAira
È fresco di stampa, Sandro Dise, «Un
interno mitteleuropeo, dopo» (Omega Edizioni,
Modena): vita e opere di un trentino famoso,
Sandro Disertori.
Col senno di poi, analizzata a posteriori
la loro filosofia politica, ho dovuto prendere
atto come i miei parenti più stretti fossero
tutti decisamente reazionari. Scoperte che
si fanno quando lesperienza di vita prevale
sulleducazione ricevuta. Un bilancio da
filosofo e da ingegnere idraulico. Sandro
Disertori è un ingegnere idraulico e sa che la
vita non puoi progettarla come una diga. Anche i
filosofi lo sanno. Il padre, ufficiale di Cecco
Beppe, dopo il Rebaltòn tornò a Trento da
Vienna con il figlio in fasce e si riciclò da
banchiere. La nonna materna era una matrona che
manovrava animali e mezzadri come soldatini di
piombo, così possessiva da staccare il nipotino
dalla madre Josephine, istriana, per gestirne
personalmente la formazione in villa. La gestì
così bene che gli mandò allaria i primi
esami universitari con la sua inattesa dipartita.
Un pezzo di Belle Époque in frantumi. Un altro
pezzo, Parigi, cadde in mano ai nazisti mentre
Sandro preparava Scienza delle costruzioni nella
casa paterna di Via Pietrastretta. La Ville
Lùmiere era finita peggio di Vienna e
dellAustria Felix, che ai tempi doro
gestiva matrimoni regali mentre a fare la guerra
erano gli altri. Ma in quegli interni
imperial-regi dellinfanzia trentina, tra le
Laste e Muralta e destate a Mojà, nonna
Anna leggeva placidamente Pinocchio sul
ticchettac dei ferri da calza, e il suo abito
nero diventava turchino, e il Pinocchio sapeva di
operetta tra i due gendarmi in divisa da
Kaserjäger.
Lo zio Marcello, fratello del padre, primo
libraio di Trento e massone conclamato, era
dispensatore di varia letteratura e sapere
asistematico. I Disertori ospitavano di nascosto
antifascisti come Oronzo Reale e Randolfo
Pacciardi. Non erano solo pomeriggi
intellettuali, più spesso erano veglie di filò
nelle stalle. Ispirato dagli spannocchiamenti e
dai racconti dei vecchi mescolati alla buona
musica suonata in casa, il ragazzo cominciò ad
avvertire il richiamo del non-Trentino, delle
non-montagne, del non-mondo meraviglioso di
Alice. Così si spiega perché, tra la morte
della nonna e la caduta di Parigi, si innamorò a
Campiglio della bella figlia di una pianista
boema e di un armatore danese. Vànicka si
chiamava, e gli dipinse un quadretto con la danza
favolosa delle lepri nel bosco, destinato a
perire nel 1944 tra le macerie della casa di Via
Pietrastretta. Così si spiega lattrazione
fatale e il perdurante rimpianto per gli occhi di
una zingara senza nome, incrociata e perduta
sulla via del ritorno a casa dopo la prigionia.
Sandro Disertori, classe 1918, oggi vive nella
sua villa sul Garda veneto. E ancora devoto
a Santa Barbara, patrona di chi maneggia
esplosivi in guerra e in pace. Dopo gli stenti
del lager non lascia più briciole sulle
tovaglie. Col nome di Sandro Dise ha appena messo
in piazza gioie e ribaltoni personali in Un
interno mitteleuropeo, dopo, edito a
Modena. Dagli anni del Liceo alla scuola di
roccia del rifugio Pedrotti, di cui nel 1941 fu
fondatore, dalle polemiche con il padre alla
partenza per la Russia con cinque esami ancora da
fare e uno spazzolino da denti fornitogli da un
compagno di studi e di montagne, Carlo Scotoni.
In Ucraina lo raggiunge un telegramma: ammesso in
extremis al corso allievi ufficiali di Pavia, una
manna visto il destino tragico che attendeva la
Julia e la prospettiva di nuovi studi in Italia.
Militare e dissenziente come il padre, qualche
trascorso padovano in Giustizia e Libertà, il 25
luglio 1943 diventa ufficiale responsabile del
comune di Garda, dove è di stanza Rommel.
L8 settembre di mattina presto, chiamato a
Villa Canossa per una sciocchezza, assiste al
primo annuncio dellarmistizio dato al
feldmaresciallo che a grandi passi sta lasciando
il suo studio. Klar! dice Rommel
senza fermarsi. Il giorno dopo un capitano della
Wehrmacht sottrae Sandro alle SS, lo fa
prigioniero e gli sequestra la Beretta. Gliela
restituirà da civile nove anni dopo a Tione,
durante i lavori della nuova centrale elettrica.
Questo spunto da solo vale tutto il libro.
Arrestato dalla Gestapo e deportato a Witzendorf,
nel lager per ufficiali italiani, Sandro vi
incontra decine di intellettuali di ogni parte
dItalia, grazie a uno dei quali, docente
universitario, rispolvera gli studi di
ingegneria. Tornato a Trento nel 45, si
laurea a Padova con una tesi su un gigantesco
quanto ipotetico impianto idrolettrico sul Sarca.
E siccome a tutti succede prima o poi di
cominciare a lavorare, a quellimpianto
finirà per lavorare davvero. Sarà la prima
grande opera di una lunga serie che lo porterà a
girare il mondo. Ancor più cara a lui perché a
Molveno, tra gli scoppi della dinamite che il 4
dicembre del 48, giorno di Santa Barbara,
davano il via agli scavi della galleria di valico
della centrale del Sarca, incontrerà la bella
Margherita Pallavicino, sua moglie. Nel
pomeriggio la compagnia di amici scese fino a
Riva e Torbole con le auto strombazzanti e tornò
a Molveno a notte fonda dopo averne fatte di
tutti i colori. La vita intensa e brava di Sandro
Dise sembra quella del barone di Munchausen ma è
tutta vera. Ancor più vera sembrerà ai trentini
della sua generazione e del suo ambiente, che
spigolando tra le sue memorie sapranno
ritrovarvi, con un po di commozione e
rimpianto, Die Welt von Gestern, il Mondo di
ieri.
Sandro Dise, Un interno mitteleuropeo, dopo. Omega
Edizioni, Modena, 2003. 740 pagine, 20 euro.