di Alessandro
DellAira
All'Università di Trento, ieri, si è
svolto un workshop di filosofia con un tema di
grande attualità: "Quale contributo può
dare la riflessione filosofica alla pratica
politica". Tra i presenti Marramao e
Baroncelli. Per chiarire gli snodi della
riflessione abbiamo intervistato Ermanno
Bencivenga.
Perché questo workshop di filosofia,
professore?
Non volevo un convegno affastellato da interventi
precotti. La nostra è una discussione aperta, in
cui si va al cuore dei problemi. Il primo
intervento di Flavio Baroncelli è stato
estremamente comunicativo. Salvatore Veca lo ha
giudicato di estrema godibilità e intelligenza.
Baroncelli, sessantenne, ha seguito il percorso
intellettuale della sua generazione, fatto di
speranze, delusioni, fallimenti nel rapporto
costante tra politica e filosofia. La filosofia
va intesa come autentica maestra di vita, come
guida per una saggezza comportamentale.
Perché questo ritorno a John Rawls, il
filosofo americano delle libertà fondamentali?
La riscoperta di John Rawls negli anni 80 in
Italia, in ritardo rispetto alla pubblicazione
americana del 71, è stata unoccasione
perduta per la costruzione del liberalismo
proletario visto dal basso, dalla parte
degli svantaggiati, dei poveri che in qualche
modo costituiscono il punto di riferimento e il
criterio valoriale. Assistendo al bellissimo
scambio tra Baroncelli e Veca, promotore della
traduzione italiana di Rawls, abbiamo appreso che
nel proporre certe alternative ci si può giocare
anche laccesso ai potentati della sinistra.
Il filosofo fiuta laria che tira o
laria che tirerà?
Da un punto di vista antropologico ho notato una
certa tendenza a fiutare non tanto le
possibilità quanto le realtà, le realtà che
funzionano sul momento. In verità il filosofo
deve procedere con modestia e umiltà,
proponendosi non come guida ma come
giullare di corte. Deve saper
affrontare quei discorsi che altrimenti nessuno
farebbe.
Che ruolo ha il filosofo oggi?
La lancia da spezzare è che la filosofia non sia
una guida per lazione, ma unapertura
allo spazio dellimmaginario, allo spazio
del possibile. Lo ha detto anche Laura
Bazzicalupo. Il politico non deve aspettarsi dal
filosofo unindicazione sulla direzione da
prendere, ma la messa in scena di tutte le voci e
di tutte le possibilità che lui politico non ha
ancora considerato.
A chi parla il filosofo? Ai politici o ai
cittadini?
La politica siamo noi. Noi facciamo politica
quando ci muoviamo nel mondo. Non dobbiamo
fossilizzarci cercando risposte precostituite. I
filosofi fanno considerazioni inattuali, lasciano
ai furbi la presunzione di sapere
come vanno le cose, di saperlo subito e in ogni
momento. La rapidità, la sicurezza non sono
virtù da filosofi. E in ogni caso anche i
filosofi sbagliano, come i bambini che giocano e
mettono le mani nella presa di corrente. Noi
filosofi abbiamo il dovere di rischiare fuori
delle torri davorio, di entrare nel gioco
della vita da protagonisti consapevoli e attivi.
Le nostre pratiche filosofiche hanno alle spalle
una sedimentazione di storie e di autobiografie
collettive.