di Alessandro
DellAira
Nei giorni scorsi Il Punto della Libreria
Einaudi di Trento in piazza Mostra ha esibito
otto opere di poesia visiva di Mariolina Damonte
Dallafior, con la presentazione di Donata Zoe
Zerbinati. Titolo della mostra:
LOcchio che ascolta.
Locchio vede le cose presenti e le cose
rappresentate, locchio intende il
visibile parlare. Concetto espresso
da Dante nel decimo canto del Purgatorio di
fronte al marmo istoriato della prima cornice del
Monte. Un colpo docchio di bellissime
scene, di una bellezza ignota allarte degli
uomini. Il colpo docchio è listante
in cui locchio non singanna (vede
quello che vede, ma attenzione ai miraggi, colpi
docchio ingannevoli come i colpi di fulmine
del cuore).
La scrittura più antica per locchio è la
pittura dei primitivi, che su massi levigati e
rocce aspre si esprime con segni di immagini
vaghe e riproduce avventure di conquista e di
caccia, figurazioni e sequenze parlanti. Il
pittogramma si frammenta in fonogrammi, svanisce
limmagine, i segni naufragano nel gran mare
delle lingue. Dalle fertili macerie della Torre
di Babele nascono gli alfabeti sillabici e
alfabetici, con il tempo e a fatica. Mariolina
Damonte percorre a ritroso questo itinerario
dellarte e della cultura universale quando
afferma che la parola scritta è disegno. Disegno
e parole si cercano sempre. A volte legano, a
volte si impacciano, il più delle volte si
respingono fino a rendere le lettere illeggibili
e impraticabili alla lingua. Cosicché di nuovo
possiamo apprezzare con grande stupore
semplicemente lelenco delle lettere.
Così recita il cartiglio di una creazione di
Mariolina, Alfabeto, in cui si citano
due versi di Casamor, poema
meccanico-mistico di Donata Zoe Zerbinati. A
Mariolina non occorrono matite né fogli di carta
per annotare pensieri e parole con lettere
abusate dallumanità. Le interessano
elaboratori alternativi di testi eterni, da usare
come alfabeto dellispirazione, come
inchiostro dellanima: legno, foglie,
pietruzze, conchiglie, scheletri di pesci,
granelli di sabbia, frammenti di corteccia e di
carta. Pulviscolo di una cosmogonia
personalissima, un mondo espresso esclusivamente
con cose trovate e raccolte, per esempio le
foglie ricamate dai morsi di bruco sul lago di
Levico, cariche di un sapere non destinato al
vaglio e alla censura del cervello, un sapere che
scorre libero nelle vene quasi fosse la linfa di
vegetali pensanti. Lalbero ha un pensiero
di polpa e un discorso di fibra, la carta è cosa
del mondo e ne porta il segno. E questo il
messaggio di una delle otto creazioni di
Mariolina, un rotolo di carta alloggiato nel cavo
di un tronchetto: Non sarà vana la morte
dellalbero se allanima sua darai
nuova dimora. Nuove dimore per un
sentimento trasfuso nel tronco rugoso di una
pianta, o graffito sulla patina gloriosa di una
panchina. Cuori incisi da lame leggere, mani che
giocano con la memoria. Chi non vuole capire, non
capisca. Presuma. Ascolti con gli occhi una
scatola ordinatissima e antica di Mariolina,
Storia Naturale, con reliquie fossili del Calisio
sistemate negli scomparti della scatola, ciascuna
corredata della sua cartuccella vergata con
inchiostro doro esondato a spiegare
linspiegabile, a complemento
delletichetta incollata allinterno
del coperchio con un messaggio altrettanto arcano
e presumibile. Oppure unaltra creazione, la
scatola dei libri da tenere sul comodino con
dentro i libri di Petrarca e Saramago, e lo
stesso libretto di poesie giapponesi di
Mariolina, un florilegio di haiku, epigrammi
esoterici scritti con le foglie. Diari di foglie
con fogliografie. Foglie che vogliono diventare
parole, colori che non resistono al desiderio di
diventare parole, come ha scritto lo stesso
Saramago sviluppando lintuizione di
Rimbaud. Non solo locchio guarda
distrattamente ciò che appare, ma vede quello
che vede e coglie le pieghe segrete
dellessere.